Oggi
parliamo di laicità
conversazione con Daniele Capezzone di Enrico
Palumbo*
[06 ott 05]
L’annoso
problema del rapporto tra laici e credenti sul tema della “laicità” troppo
spesso si occupa dei confini che gli uni devono rispettare e gli altri non
violare, ma sempre nell’ambito del sistema concordatario europeo. Sappiamo
anche che sia da una parte del fronte laico (i radicali) sia da una parte
di quello cattolico (lo stesso Pontefice) si guarda con interesse al
modello americano di rapporti tra Stato e Chiese. L’obbiettivo dichiarato
è quello: le differenze, semmai, permangono su tempi e modi del suo
conseguimento. La sfida è aperta. Di questi temi abbiamo provato a
discutere, un po’ informalmente, con Daniele Capezzone, segretario dei
Radicali italiani.
Enrico Palumbo. E’ noto che sei un cultore
del modello americano di laicità. Spesso però dai l’idea di essere un po’
troppo influenzato da quello francese. Se il Papa afferma che non si deve
estromettere Dio dalla vita pubblica (e attenzione: ha detto Dio, non “il
clero”, anche ammesso che sia giusto estromettere dei cittadini italiani
solo perché vestono diversamente da noi), secondo me rispecchia né più né
meno quel modello americano la cui contrapposizione a quello francese (che
invece predica separazione e assenza della dimensione religiosa dalla
sfera pubblica) è oggetto del capitolo introduttivo del tuo
libro. Ricordo che Bush e Kerry, in
occasione di una catastrofe verificatasi durante la campagna elettorale,
dichiararono pubblicamente di avere pregato Dio per le vittime (non riesco
a immaginare cosa accadrebbe se Prodi e Berlusconi facessero altrettanto)
e ciò fu fonte soltanto di consensi. Perché dunque protestare di fronte
alla dichiarazione – per me ovvia – del Papa?
Daniele Capezzone. Procediamo con ordine.
Intanto, ti propongo un...«pacs», un «patto civile di solidarietà
telematica». Visto che siamo entrambi (e non capita spesso) “persone
informate sui fatti”, mettiamo al bando un paio di sciocchezze che tocca
leggere con sempre maggiore frequenza. Primo: nessuno ha una visione
“antireligiosa”, e meno che mai “anticristiana” e “anticattolica” (tra
l’altro, se vi sono cristiani perseguitati nel mondo, è più facile che se
ne occupino Pannella e Bonino che non Giovanardi o Mastella.... Secondo:
nessuno vuole imbavagliare il cardinale Ruini (anzi, mentre si discute del
suo imbavagliamento prossimo venturo, il presunto “imbavagliato” o
“imbavagliando”, in genere, sta concionando a reti unificate...).
Il tema è un
altro, ed è tutto “americano”, dal mio punto di vista. Non mi risulta che
esistano ordinamenti funzionanti in cui le gerarchie di una (sottolineo,
di una) confessione religiosa, da una parte godano di privilegi
particolari (Concordato, otto per mille, insegnanti scelti da loro stessi
e pagati dallo Stato, straordinaria presenza sugli organi informativi sul
servizio pubblico, ecc.) e dall’altra pretendano di “entrare a gamba tesa”
nell’agone politico di quel paese (addirittura, divenendo protagonisti di
campagne elettorali – condotte anche grazie ai finanziamenti pubblici di
cui sopra! –, disquisendo sulla costituzionalità di norme future, ecc.).
Io vorrei, invece, la linearità e la chiarezza del modello americano:
ognuno dica e faccia quello che gli pare, ma senza Concordati, senza otto
per mille, senza privilegi particolari. Non si può avere (insieme) la
botte piena e la moglie ubriaca (e magari pure l’uva nella vigna...).
Peraltro, lo schema “americano” mostra la sua superiorità anche da un
altro punto di vista: al centro c’è il cittadino (e, nella fattispecie, il
cittadino credente), non una comunità, un’organizzazione, un’entità
collettiva con cui lo Stato “viene a patti”. La realtà italiana, al
contrario, mi piace poco proprio da questo punto di vista: e l’estensione
dello schema concordatario ad altre confessioni porterà ad una specie di
“tavolo di concertazione delle confessioni riconosciute”, con il triplo
rischio di clericalizzazione degli ordinamenti, di parastatalizzazione
delle chiese e di messa tra parentesi della centralità dell’individuo (a
beneficio, ancora una volta, di entità collettive).
Enrico Palumbo.
Sono
consapevole del ruolo importante per i cristiani svolto dai radicali in
alcune aree del mondo (non per fare il difensore di Giovanardi, ma costui
non si occupa di vicende internazionali come accade per gli
europarlamentari, quindi non ha colpe, mentre esistono migliaia di
missionari cattolici ogni giorno sulle barricate e Giovanardi, grazie a
Dio, non rappresenta i cattolici). Vorrei far presente che la Chiesa
cattolica non è l’unica che vive una dimensione concordataria e che il suo
ruolo pubblico dominante è dovuto forse dal fatto che le altre confessioni
(le protestanti e l’ebraica) sono praticate da un numero ridotto di
persone (tant’è che, mentre “A sua immagine” fa ascolti di mercato, le
bellissime “Fonte di vita” e “Protestantesimo” vanno in onda, fuori
mercato, per garantire la presenza di tutti). Comunque, in linea di
principio sono d’accordo sull’obbiettivo di ispirarci al modello americano
che, come ben saprai, lo stesso attuale Pontefice ha più volte elogiato
anche nei suoi scritti, esprimendo disagio per quello europeo (non solo
italiano). Penso però che gli ultimi duecento anni di storia europea non
si possano cancellare con un colpo di spugna. Le scorie delle guerre di
religione e delle guerre alla religione, esacerbate dalla Rivoluzione
francese, secondo me sono di difficile superamento. E comunque ciò non si
risolve con un atto formale, ma con una rivoluzione culturale di lungo
periodo (e l’atto formale verrà da sé). L’allora Cardinale Ratzinger, nel
suo dialogo con Pera, affermò d’essere pronto a raccogliere la sfida, ma
non credo sia compito solo della Chiesa rinunciare a qualcosa: secondo te
un mondo laico che guarda più ai Paolo Flores d’Arcais che ai Norberto
Bobbio quante possibilità ha di fare altrettanto?
Quanto invece alla richiesta alla Chiesa di scegliere tra il fare azione
di lobbying (termine cui noi filoamericani non diamo accezione negativa,
s’intende) o di moral suasion, e ricevere finanziamenti pubblici tramite
l’8 per mille, penso che per coerenza bisognerebbe combattere tutte le
lobby e tutte le forme di finanziamento pubblico a chi nel contempo vuole
il diritto di parola. Per esempio, imponendo a Confindustria di scegliere
tra le dichiarazioni pubbliche e il finanziamento ai settori industriali a
essa legati. Chiedere a fondazioni e associazioni di optare tra le
sovvenzioni e un chiaro ruolo pubblico. Perfino Radio Radicale fa
legittima azione di pubblica moral suasion (come tanti organi di stampa),
pur ricevendo denaro pubblico. Perché limitare alla Chiesa questa
richiesta? Chi stabilisce che il ruolo sociale della Chiesa è meno
meritevole di sovvenzioni di quello di Radio Radicale (pur con le dovute
proporzioni del caso)?
E, infine, proponi una ‘individualizzazione’ della Chiesa cattolica: ma tu
sai meglio di me che la dimensione comunitaria e l’esistenza delle
gerarchie sono elementi imprescindibili per la Chiesa cattolica: chi si
voglia confrontare con essa non può pretendere di ignorarne la natura
prima, a meno di imporre leggi speciali che sciolgano l’istituzione
collettiva, sancendo l’introduzione forzata del luteranesimo (so che è
un’iperbole, ma so anche che saprai distinguere tra esercizio retorico e
contenuti).
Daniele Capezzone.
Attenzione,
perché rischiamo un po’ di “fritto misto”... Per questo, aggiungo (e
distinguo tra loro) alcune brevi osservazioni: Se si pone la questione
dell'attacco ai finanziamenti pubblici, beh, con i radicali si sfonda una
porta aperta: siamo l’unico (sottolineo: l’unico) soggetto politico che,
con richieste referendarie o con proposte di legge, si è battuto (e
continuerà a farlo) per la contestuale abolizione dei finanziamenti
pubblici a partiti, sindacati, chiese, ecc. Quindi, da questo punto di
vista, nulla quaestio (rispetto a me, a noi); e, invece, “multae
quaestiones” – diciamo così – per tutti gli altri (destri e sinistri,
mezzi destri e mezzi sinistri...), che da quest’orecchio sembrano non
sentire...
E però (chiarita la mia contrarietà ad ogni forma di finanziamento
pubblico), resta la speciale anomalia di chi non solo goda di questo, ma
anche di un complesso apparato di privilegi (il Concordato) che fa di
quella entità qualcosa di diverso rispetto a qualunque altro cittadini, a
qualunque altra comunità. Insisto: o quei privilegi, o l'entrata a pieno
titolo nell’agone politico. Fosse per me, preferirei, all'americana, un
Ruini – addirittura – candidato ed eletto, ma senza privilegi. Se invece
si preferisce l’attuale assetto concordatario, beh, almeno lo si rispetti
in ogni sua parte: anche in quelle che non consentono
l'intervento/interferenza in materia elettorale.
Guarda che la commistione di cui parlo non è un “danno” solo dal punto di
vista laico (della serie: che ci andiamo a fare in Afghanistan, se poi
dimentichiamo a casa nostra l’“abc” della separazione tra stato e chiese,
della differenza tra norma morale e norma giuridica, tra peccato e reato,
ecc.), ma anche da un punto di vista religioso. Insomma, se il cardinale
Ruini entra tutte le sere nei “pastoni” di Pionati al Tg1, subisce una
clamorosa “deminutio”: da pastore di anime, diventa come ...un Capezzone
qualsiasi, e rischia di essere percepito come un capofazione, come un
capopartito. Io, invece, ho sempre pensato (di qui, anche, il mio essere
affezionato alla ricorrenza del 20 settembre) che, se le chiese (in questo
caso, la Chiesa cattolica) sono libere dal potere temporale, vengono –
appunto – liberate da un giogo, da un gravame...
Attenzione! Non usiamo come sinonimi le parole “gerarchie ecclesiastiche”
e “chiesa (o Chiesa)”. Quest’ultima è la comunità dei credenti, e immagino
che per molti di essi (magari, per tanti sturziani e degasperiani, o per
tanti eredi – andando ancora più a ritroso – del cattolicesimo
risorgimentale liberale, manzoniano, rosminiano – tutti scomunicati,
allora...) essere schierati “militarmente” su una e una sola posizione
dalle gerarchie, comprimendo il laico, laicissimo (anche e soprattutto per
i credenti!) spazio della scelta politica sia stato molto doloroso. E non
è un caso (come, a mio avviso a ragione, ha fatto notare Pannella) se uno
come Andreotti, al tempo del referendum, ha parlato di “obbedienza” a
Ruini: la sua (di Ruini, voglio dire) scelta politica ha – di fatto –
posto tanti nella condizione di dover “obbedire”, non di scegliere...
Non offrire troppe ciambelle di salvataggio ai Giovanardi e ai Mastella (e
al “tipo” che incarnano). Non è tollerabile usare il crocifisso come
“corpo contundente” (magari per dire no ai radicali, e acchiappare qualche
collegio in più...) e –contemporaneamente – non dedicare un solo pensiero,
una sola parola, una sola azione concreta (essendo ministri, avendo
centinaia di parlamentari!) a drammi come quelli dei Montagnard in
Vietnam, o delle comunità cristiane in Sudan, per fare solo un paio di
esempi...
Enrico Palumbo.
Concordo nel
merito dei finanziamenti pubblici. La mia osservazione era, un po’
provocatoriamente, un invito a comportarvi come chiedete alla Chiesa di
comportarsi: compiere il primo passo, fare la prima rinuncia.
Che la fine del potere temporale sia un bene credo non sia nemmeno in
discussione. Ma è proprio questo il punto: non esercitando più un potere
politico definito, tutto diventa politica, anche il ruolo morale della
Chiesa stessa. Come sai, spesso non condivido alcune affermazioni di
merito del presidente della Cei (o di altri prelati), ma da fedele non
posso non tenerne conto, salvo poi decidere per conto mio nell’urna.
Questo è ciò che è sempre avvenuto. La questione che poni (cioè quella
dello scambio “libertà di opinioni per rinunce” ) pone sullo stesso piano
ogni tipo di presa di posizione di Ruini o di chi per lui. Sarei d’accordo
con te se si criticasse la presa di posizione politica in sostegno di
questo o quel partito, ma il problema è che tu riduci a “intervento
politico” o “ingerenza” ogni tipo di intervento pubblico dei vescovi. Non
vedo contrapposizione tra il modello concordatario e la guida morale su
grandi temi etici (non partitici): è il compito della Chiesa, anzi di
tutte le Chiese. E credo che noi elettori abbiamo dimostrato di saper
discernere molto bene l’intervento politico da quello spirituale. Prendi
le consultazioni regionali: Ruini aveva schierato massicciamente la Cei al
fianco di Storace, uscito poi sconfitto alle urne. Furono i credenti
stessi a dimostrare di non essere “militarizzati”, come dici tu: non è il
primo caso e non sarà l’ultimo. Del resto i cattolici sono sempre stati
assai più numerosi degli elettori della Dc. Al referendum, invece, nemmeno
i proponenti i quesiti (cioè i Ds) sono riusciti a portare il proprio
elettorato al voto, forse perché in quel caso la parola di Ruini è stata
interpretata come un ammonimento di natura morale su un tema ritenuto
fondamentale, quale la tutela della vita umana. E’ davvero ingerenza? Sai
bene che la questione dell’astensione è stata semplicemente strumentale:
chi ha “obbedito” l’ha fatto per ragioni di opportunità (così come voi
dicevate che dovevamo andare a votare “no”). Ma l’obbedienza a una
indicazione morale è secondo me scelta di pari livello morale a quella
della disobbedienza: non ritengo il dissenso un valore a priori. Penso che
Andreotti, l’esegesi delle cui parole spetta a lui soltanto, abbia “scelto
di obbedire”, così come altri, Scalfaro per esempio, hanno scelto di non
obbedire.
Credo che in Italia il problema sia di tutt’altra natura: politico e non
religioso. Il problema non è della Chiesa, che ha il diritto di parlare,
ma della politica che – per dirla come Emma Bonino – “si fa ingerire”.
Penso che le tue parole sarebbe accolte con maggiore interesse, anche
dalle gerarchie cattoliche, se tu dicessi a Ruini che non sei d’accordo
(argomentando, come sai egregiamente fare), e non dicendo che non è suo
diritto parlare. Viceversa, credo che le accuse di ingerenza dovrebbero
essere rivolte ai politici che cambiano idea se Ruini parla (penso a Forza
Italia che ha mutato posizione sui «Pacs»), non a Ruini che parla. Perché
dunque non provare a cambiare prospettiva?
Daniele Capezzone.
Aaaaaalt! Mi
appello (e mi permetto di richiamarti) al «pacs» iniziale! Perché mi
attribuisci la negazione del “diritto di Ruini a parlare”? Nun ce provà...
Come ti ho già detto (e lo ribadisco ora brevemente) io non solo vorrei
che parlasse, ma che potesse candidarsi (se lo volesse) e che fosse pure
eletto (se gli elettori così dovessero decidere). Ma ciò non è compatibile
con quell’assetto concordatario che invece viene difeso (da lui e da
altri) con le unghie e con i denti. Insomma, non si può giocare una
partita “asimmetrica”, per cui – quando fa comodo – si rivendica il
diritto “americano” di entrare nell'agone politico-elettorale, e invece –
sempre quando fa comodo – si rivendica una posizione “italiana” di difesa
dei privilegi e delle prerogative concordatarie. La “botte piena” e la
“moglie ubriaca”, appunto.
Per il resto, due osservazioni:
Ribadisco il mio “nun ce provà” anche quando mi parli di finanziamenti
pubblici. E che altro dobbiamo fare noi radicali? Come sai, ce le siamo
inventate tutte: referendum, restituzioni pubbliche del nostro
finanziamento, ecc... Anche qui, semmai, si tratta di scegliere: o
l'America (e prova a chiedere a un repubblicano o a un democratico Usa se
sarebbero disposti a dare un solo cent di denaro pubblico alla Cei o a
Legambiente o all'Udeur...), o l’assetto attuale italiano. Ma, se si
difende l’assetto attuale anche sul piano dei quattrini, si potrebbe
almeno avere il buon gusto di correggere la “piccola” norma truffaldina
per cui, anche se solo il 36% degli italiani mette la famosa crocetta
dell'8 per mille, la ripartizione avviene proiettando e trasponendo i
risultati relativi a quel 36% sul 100% (cioè triplicando le entrate della
Cei...).
Quanto al fatto che i politici e la politica sono genuflessi, anche qui
sfondi una porta aperta. Ma (pure qui) un “male” non cancella l’altro, e
semmai lo rilancia e lo amplifica: in altre parole, il fatto che tanti
politici (venendo meno ad un auspicabile impegno di laicità e di
tolleranza) cedano alle pressioni delle gerarchie non cancella il fatto
che quelle pressioni rispondano al meccanismo “botte piena/moglie
ubriaca”. Insomma, fa male Ruini e fanno male i politici: occupiamoci
degli uni e degli altri. A difesa, simultaneamente, della laicità degli
ordinamenti e della libertà sia dei cittadini credenti sia di quelli che
credenti non sono.
Infine, voglio dirti (scusa l’accusa perfida, dal tuo – e pure dal mio –
punto di vista...) che – sotto sotto – stai facendo il “riformista”, anzi
il “riformista italiano” tutto dedito al “giustificazionismo”: in altre
parole, non dedicare energie a spiegare ex post e a giustificare quel che
accade (e cioè l’assetto “italiano” che non ci piace); semmai,
dedichiamoci, insieme, a marciare verso il modello americano (libertà
piena di parola e di azione politico-elettorale, senza privilegi,
Concordati e otto per mille!). Che dici, i “libbberali” (di destra e di
sinistra...) ci staranno, o – diciamo così – spariranno alla chetichella?
Enrico Palumbo.
Mi hai dato
del “riformista”: nun ce provà lo dico io, sennò comincio a ricordarti che
stai per entrare in un governo Dossetti-Togliatti!
Daniele Capezzone.
Aaaaah! Sto
entrando in un Governo? An interesting piece of news...Piuttosto, sta’
attento tu: ché, se fai ‘sti paragoni, prima o poi ti quereleranno gli
eredi di Togliatti (accostato a Diliberto e magari a Folena e Mussi!)
Enrico Palumbo.
Comunque, e
su questo non ci incontreremo mai, il discrimine è tutto qui: io non
considero “intervento politico-elettorale” l’ammonimento morale sulla
bioetica o sulla vita umana (che al contrario ritengo possa convivere con
un sistema concordatario). Quanto al resto, le “condizioni” che poni
sembrano individuare nella Chiesa l’origine prima d’ogni male. A me
risulta che anche in Italia si siano commessi, a cavallo tra sette e
ottocento e al termine della resistenza (in condizioni storiche e
politiche differenti, s’intende), crimini anticattolici (e non soltanto
anticlericali). Non solo in Italia: anche in Francia e Spagna. Ma il
problema è molto più complesso di come lo poni: io non vedo in larghissima
parte del mondo cosiddetto “laico” la maturità per confrontarsi
laicamente, all’americana, con la dimensione religiosa.
Detto questo, vorrei volgere lo sguardo alla Spagna. Perché assurgi
Zapatero a modello di presunta “laicità” (tanto da indicarlo come
ispiratore del nuovo soggetto radical-socialista) se nel merito poi avanzi
proposte fortemente alternative a quelle zapateriane (penso alla
contrapposizione “matrimoni vs pacs”)? Mi sembra che tu sia affascinato
dal metodo più che dal merito, o sbaglio? Ma in tal caso non credi che la
strada dello scontro frontale e il tentativo di “annichilire” la Chiesa
(sempre che una legge di un parlamento qualsiasi possa davvero minare
duemila anni di storia) non faccia che radicalizzare lo scontro, invece di
trovare un possibile terreno comune di dialogo (che, su questi stessi
temi, in altri paesi europei, ma anche in fasi alterne della storia
radicale, non è mancato)?
Daniele Capezzone.
In sintesi:
Mai dire mai (rispetto al tuo “non ci incontreremo mai”)...
Non dimenticare il peso della storia: un conto è l’avventura dei “pilgrim
fathers” e poi dei costituenti americani, con la religione che è stata
fattore di unità civile, elemento di un tessuto connettivo; altro conto è
la storia italiana, con la Chiesa cattolica che ha lottato contro
l’unificazione nazionale, e ha perfino scomunicato i cattolici liberali
protagonisti del Risorgimento italiano!
Insisto: non facciamo del giustificazionismo sulla pasticciata situazione
esistente in Italia. Piuttosto, apriamo la porta ad una svolta “americana”
nel senso che ho più volte ricordato.
“Annichilire?” Nun ce provà. Zapatero, semmai, al di là dell'una o
dell’altra delle sue specifiche proposte (alcune per me condivisibili,
altre no), si pone in continuità con Aznar, espressione (lui sì, per
fortuna della Spagna!) di una destra innovativa e liberale che, mentre
faceva una splendida politica economica, faceva anche passi avanti sul
terreno dei diritti civili (pacs approvati in tre regioni; esperimenti di
distribuzione di droga sotto controllo medico a Madrid, eccetera). E
simmetricamente, anche nell’esperienza di Zapatero, una cosa che è poco
sottolineata è che, mentre il premier socialista ha fatto le sue campagne
libertarie, si è ben guardato dall’abolire le buone norme in materia di
diritto del lavoro varate da Aznar (come invece gli era chiesto ...dalla
“CGIL di lì”!). Insomma, in Spagna (che non a caso ci bagna il naso da
anni, ormai) hai una destra e una sinistra che si sfidano sul terreno
dell’innovazione, e sono capaci di marciare (pur con le loro differenze)
sia sul terreno delle libertà individuali che su quello
dell’ammodernamento economico-sociale. Proprio il contrario di quel che
accade qua, dove il centrodestra ha fallito sulle liberalizzazioni e pure
sui diritti civili; così come la sinistra, oltre ad essere insoddisfacente
sul piano libertario, rischia di essere regressiva sul terreno economico
sociale (con la minaccia di abolizione della legge Biagi e della legge
Moratti, ad esempio). Ripeto in altra forma: lì ciascuno sa farsi forte
del meglio dell’altro, e avanzare dove l’altro era stato più lento; qui,
rischia di esserci una corsa all’indietro, degna di una “competition” tra
gamberi...
Non confondere (lo accennavo prima) le gerarchie con la comunità dei
credenti: con questi ultimi e con le loro coscienze bisogna sempre cercare
di tenere vivo, vivissimo il dialogo, anche nei momenti in cui il
confronto con le gerarchie (come accade ora) è reso di fatto impossibile.
Enrico Palumbo.
Per me
Zapatero è in forte discontinuità con Aznar, perché mentre il leader del
PP cercava di promuovere i diritti civili, l’attuale premier pensa a un
modo per vincere la guerra civile. Dialogare con la controparte non
significa necessariamente negoziare al ribasso, ma promuovere riforme
condivise. Cosa che in Spagna (non solo su questo tema: penso
all’appeasement col terrorismo, sia esso di Al Qaeda o dell’Eta) non sta
avvenendo.
Daniele Capezzone.
No, no, no,
non confondiamo le pere con le mele...E, soprattutto, non “arruolarmi” tra
i sostenitori della politica estera di Zapatero: io sono pur sempre un
“perfido” amico dei “perfidi” neocon...
Quello che a me importa è, come accennavo, il fatto che (pur con chiavi
diverse, e a volte non poco) la destra e la sinistra spagnola vanno
avanti, e lo fanno sia sul piano delle libertà personali che su quello
dell’innovazione economica. Sarei confortato se una situazione simile si
verificasse pure qua: insomma, se ci fosse una destra come quella di Aznar
(libertà economiche + pacs, libertà di ricerca, ecc.) e una sinistra come
quella di Zapatero (altri passi sulle libertà individuali, senza
cancellare le riforme economiche del PP).
Enrico Palumbo.
Ti do una
possibile definizione di laicità: «luogo di comunicazione fra le diverse
tradizioni spirituali e la nazione». Ti ci potresti riconoscere?
Daniele Capezzone.
Mi pare che
ponga troppo l’accento sugli elementi “comunitari”, e troppo poco su
quelli “individuali”. Io credo che noi usciamo da un secolo in cui la
parola “persona” e – ancor più severamente – la parola “individuo” sono
state sempre scavalcate e obliterate a beneficio di qualche entità
collettiva (minacciosamente maiuscola, peraltro: Chiesa, Stato, Partito,
Sindacato, ecc.). Punterei piuttosto su una formula del tipo: «La laicità
è l'adozione di quella che potremmo chiamare “etica delle etiche”, e cioè
la promozione e la garanzia delle opportunità di scelta individuale, nel
rispetto delle altre scelte individuali. Senza cioè che lo stato adotti un
solo orientamento morale, per poi imporlo a tutti quanti».
Affare fatto?
Enrico Palumbo.
Naturalmente
no! Penso che questa tua definizione non risolverebbe alcuni nodi (per
esempio: il bambino nel grembo materno è solo oggetto delle libere scelte,
oppure può aspirare ad avere dei diritti?), che affronteremo in un
successivo incontro sull’aborto. Comunque, per la cronaca, la definizione
di prima era di Giovanni Paolo II.
Daniele Capezzone.
Grazie,
intanto, per la piacevolissima “chiacchierata” telematica.
Enrico Palumbo.
Grazie a te
per l’estrema gentilezza!
Quando nei discorsi di un radicale “vino” e “vigna” ricorrono più volte
di “Pannella” è evidente che siamo di fronte a un dato di fatto: il
pontificato dell’«umile lavoratore nella vigna del Signore» sta già dando
i primi frutti!
06 ottobre 2005
*
Enrico Palumbo è il titolare del blog
Harry |