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      Oggi 
      parliamo di laicitàconversazione con Daniele Capezzone di Enrico 
      Palumbo*
 [06 ott 05]
 
      L’annoso 
      problema del rapporto tra laici e credenti sul tema della “laicità” troppo 
      spesso si occupa dei confini che gli uni devono rispettare e gli altri non 
      violare, ma sempre nell’ambito del sistema concordatario europeo. Sappiamo 
      anche che sia da una parte del fronte laico (i radicali) sia da una parte 
      di quello cattolico (lo stesso Pontefice) si guarda con interesse al 
      modello americano di rapporti tra Stato e Chiese. L’obbiettivo dichiarato 
      è quello: le differenze, semmai, permangono su tempi e modi del suo 
      conseguimento. La sfida è aperta. Di questi temi abbiamo provato a 
      discutere, un po’ informalmente, con Daniele Capezzone, segretario dei 
      Radicali italiani.
 Enrico Palumbo. E’ noto che sei un cultore 
      del modello americano di laicità. Spesso però dai l’idea di essere un po’ 
      troppo influenzato da quello francese. Se il Papa afferma che non si deve 
      estromettere Dio dalla vita pubblica (e attenzione: ha detto Dio, non “il 
      clero”, anche ammesso che sia giusto estromettere dei cittadini italiani 
      solo perché vestono diversamente da noi), secondo me rispecchia né più né 
      meno quel modello americano la cui contrapposizione a quello francese (che 
      invece predica separazione e assenza della dimensione religiosa dalla 
      sfera pubblica) è oggetto del capitolo introduttivo del tuo
      
      libro. Ricordo che Bush e Kerry, in 
      occasione di una catastrofe verificatasi durante la campagna elettorale, 
      dichiararono pubblicamente di avere pregato Dio per le vittime (non riesco 
      a immaginare cosa accadrebbe se Prodi e Berlusconi facessero altrettanto) 
      e ciò fu fonte soltanto di consensi. Perché dunque protestare di fronte 
      alla dichiarazione – per me ovvia – del Papa?
 
 Daniele Capezzone. Procediamo con ordine. 
      Intanto, ti propongo un...«pacs», un «patto civile di solidarietà 
      telematica». Visto che siamo entrambi (e non capita spesso) “persone 
      informate sui fatti”, mettiamo al bando un paio di sciocchezze che tocca 
      leggere con sempre maggiore frequenza. Primo: nessuno ha una visione 
      “antireligiosa”, e meno che mai “anticristiana” e “anticattolica” (tra 
      l’altro, se vi sono cristiani perseguitati nel mondo, è più facile che se 
      ne occupino Pannella e Bonino che non Giovanardi o Mastella.... Secondo: 
      nessuno vuole imbavagliare il cardinale Ruini (anzi, mentre si discute del 
      suo imbavagliamento prossimo venturo, il presunto “imbavagliato” o 
      “imbavagliando”, in genere, sta concionando a reti unificate...).
 
      Il tema è un 
      altro, ed è tutto “americano”, dal mio punto di vista. Non mi risulta che 
      esistano ordinamenti funzionanti in cui le gerarchie di una (sottolineo, 
      di una) confessione religiosa, da una parte godano di privilegi 
      particolari (Concordato, otto per mille, insegnanti scelti da loro stessi 
      e pagati dallo Stato, straordinaria presenza sugli organi informativi sul 
      servizio pubblico, ecc.) e dall’altra pretendano di “entrare a gamba tesa” 
      nell’agone politico di quel paese (addirittura, divenendo protagonisti di 
      campagne elettorali – condotte anche grazie ai finanziamenti pubblici di 
      cui sopra! –, disquisendo sulla costituzionalità di norme future, ecc.).
 Io vorrei, invece, la linearità e la chiarezza del modello americano: 
      ognuno dica e faccia quello che gli pare, ma senza Concordati, senza otto 
      per mille, senza privilegi particolari. Non si può avere (insieme) la 
      botte piena e la moglie ubriaca (e magari pure l’uva nella vigna...).
 
 Peraltro, lo schema “americano” mostra la sua superiorità anche da un 
      altro punto di vista: al centro c’è il cittadino (e, nella fattispecie, il 
      cittadino credente), non una comunità, un’organizzazione, un’entità 
      collettiva con cui lo Stato “viene a patti”. La realtà italiana, al 
      contrario, mi piace poco proprio da questo punto di vista: e l’estensione 
      dello schema concordatario ad altre confessioni porterà ad una specie di 
      “tavolo di concertazione delle confessioni riconosciute”, con il triplo 
      rischio di clericalizzazione degli ordinamenti, di parastatalizzazione 
      delle chiese e di messa tra parentesi della centralità dell’individuo (a 
      beneficio, ancora una volta, di entità collettive).
 
 Enrico Palumbo. 
      Sono 
      consapevole del ruolo importante per i cristiani svolto dai radicali in 
      alcune aree del mondo (non per fare il difensore di Giovanardi, ma costui 
      non si occupa di vicende internazionali come accade per gli 
      europarlamentari, quindi non ha colpe, mentre esistono migliaia di 
      missionari cattolici ogni giorno sulle barricate e Giovanardi, grazie a 
      Dio, non rappresenta i cattolici). Vorrei far presente che la Chiesa 
      cattolica non è l’unica che vive una dimensione concordataria e che il suo 
      ruolo pubblico dominante è dovuto forse dal fatto che le altre confessioni 
      (le protestanti e l’ebraica) sono praticate da un numero ridotto di 
      persone (tant’è che, mentre “A sua immagine” fa ascolti di mercato, le 
      bellissime “Fonte di vita” e “Protestantesimo” vanno in onda, fuori 
      mercato, per garantire la presenza di tutti). Comunque, in linea di 
      principio sono d’accordo sull’obbiettivo di ispirarci al modello americano 
      che, come ben saprai, lo stesso attuale Pontefice ha più volte elogiato 
      anche nei suoi scritti, esprimendo disagio per quello europeo (non solo 
      italiano). Penso però che gli ultimi duecento anni di storia europea non 
      si possano cancellare con un colpo di spugna. Le scorie delle guerre di 
      religione e delle guerre alla religione, esacerbate dalla Rivoluzione 
      francese, secondo me sono di difficile superamento. E comunque ciò non si 
      risolve con un atto formale, ma con una rivoluzione culturale di lungo 
      periodo (e l’atto formale verrà da sé). L’allora Cardinale Ratzinger, nel 
      suo dialogo con Pera, affermò d’essere pronto a raccogliere la sfida, ma 
      non credo sia compito solo della Chiesa rinunciare a qualcosa: secondo te 
      un mondo laico che guarda più ai Paolo Flores d’Arcais che ai Norberto 
      Bobbio quante possibilità ha di fare altrettanto?
 
 Quanto invece alla richiesta alla Chiesa di scegliere tra il fare azione 
      di lobbying (termine cui noi filoamericani non diamo accezione negativa, 
      s’intende) o di moral suasion, e ricevere finanziamenti pubblici tramite 
      l’8 per mille, penso che per coerenza bisognerebbe combattere tutte le 
      lobby e tutte le forme di finanziamento pubblico a chi nel contempo vuole 
      il diritto di parola. Per esempio, imponendo a Confindustria di scegliere 
      tra le dichiarazioni pubbliche e il finanziamento ai settori industriali a 
      essa legati. Chiedere a fondazioni e associazioni di optare tra le 
      sovvenzioni e un chiaro ruolo pubblico. Perfino Radio Radicale fa 
      legittima azione di pubblica moral suasion (come tanti organi di stampa), 
      pur ricevendo denaro pubblico. Perché limitare alla Chiesa questa 
      richiesta? Chi stabilisce che il ruolo sociale della Chiesa è meno 
      meritevole di sovvenzioni di quello di Radio Radicale (pur con le dovute 
      proporzioni del caso)?
 
 E, infine, proponi una ‘individualizzazione’ della Chiesa cattolica: ma tu 
      sai meglio di me che la dimensione comunitaria e l’esistenza delle 
      gerarchie sono elementi imprescindibili per la Chiesa cattolica: chi si 
      voglia confrontare con essa non può pretendere di ignorarne la natura 
      prima, a meno di imporre leggi speciali che sciolgano l’istituzione 
      collettiva, sancendo l’introduzione forzata del luteranesimo (so che è 
      un’iperbole, ma so anche che saprai distinguere tra esercizio retorico e 
      contenuti).
 
 Daniele Capezzone. 
      Attenzione, 
      perché rischiamo un po’ di “fritto misto”... Per questo, aggiungo (e 
      distinguo tra loro) alcune brevi osservazioni: Se si pone la questione 
      dell'attacco ai finanziamenti pubblici, beh, con i radicali si sfonda una 
      porta aperta: siamo l’unico (sottolineo: l’unico) soggetto politico che, 
      con richieste referendarie o con proposte di legge, si è battuto (e 
      continuerà a farlo) per la contestuale abolizione dei finanziamenti 
      pubblici a partiti, sindacati, chiese, ecc. Quindi, da questo punto di 
      vista, nulla quaestio (rispetto a me, a noi); e, invece, “multae 
      quaestiones” – diciamo così – per tutti gli altri (destri e sinistri, 
      mezzi destri e mezzi sinistri...), che da quest’orecchio sembrano non 
      sentire...
 
 E però (chiarita la mia contrarietà ad ogni forma di finanziamento 
      pubblico), resta la speciale anomalia di chi non solo goda di questo, ma 
      anche di un complesso apparato di privilegi (il Concordato) che fa di 
      quella entità qualcosa di diverso rispetto a qualunque altro cittadini, a 
      qualunque altra comunità. Insisto: o quei privilegi, o l'entrata a pieno 
      titolo nell’agone politico. Fosse per me, preferirei, all'americana, un 
      Ruini – addirittura – candidato ed eletto, ma senza privilegi. Se invece 
      si preferisce l’attuale assetto concordatario, beh, almeno lo si rispetti 
      in ogni sua parte: anche in quelle che non consentono 
      l'intervento/interferenza in materia elettorale.
 
 Guarda che la commistione di cui parlo non è un “danno” solo dal punto di 
      vista laico (della serie: che ci andiamo a fare in Afghanistan, se poi 
      dimentichiamo a casa nostra l’“abc” della separazione tra stato e chiese, 
      della differenza tra norma morale e norma giuridica, tra peccato e reato, 
      ecc.), ma anche da un punto di vista religioso. Insomma, se il cardinale 
      Ruini entra tutte le sere nei “pastoni” di Pionati al Tg1, subisce una 
      clamorosa “deminutio”: da pastore di anime, diventa come ...un Capezzone 
      qualsiasi, e rischia di essere percepito come un capofazione, come un 
      capopartito. Io, invece, ho sempre pensato (di qui, anche, il mio essere 
      affezionato alla ricorrenza del 20 settembre) che, se le chiese (in questo 
      caso, la Chiesa cattolica) sono libere dal potere temporale, vengono – 
      appunto – liberate da un giogo, da un gravame...
 
 Attenzione! Non usiamo come sinonimi le parole “gerarchie ecclesiastiche” 
      e “chiesa (o Chiesa)”. Quest’ultima è la comunità dei credenti, e immagino 
      che per molti di essi (magari, per tanti sturziani e degasperiani, o per 
      tanti eredi – andando ancora più a ritroso – del cattolicesimo 
      risorgimentale liberale, manzoniano, rosminiano – tutti scomunicati, 
      allora...) essere schierati “militarmente” su una e una sola posizione 
      dalle gerarchie, comprimendo il laico, laicissimo (anche e soprattutto per 
      i credenti!) spazio della scelta politica sia stato molto doloroso. E non 
      è un caso (come, a mio avviso a ragione, ha fatto notare Pannella) se uno 
      come Andreotti, al tempo del referendum, ha parlato di “obbedienza” a 
      Ruini: la sua (di Ruini, voglio dire) scelta politica ha – di fatto – 
      posto tanti nella condizione di dover “obbedire”, non di scegliere...
 
 Non offrire troppe ciambelle di salvataggio ai Giovanardi e ai Mastella (e 
      al “tipo” che incarnano). Non è tollerabile usare il crocifisso come 
      “corpo contundente” (magari per dire no ai radicali, e acchiappare qualche 
      collegio in più...) e –contemporaneamente – non dedicare un solo pensiero, 
      una sola parola, una sola azione concreta (essendo ministri, avendo 
      centinaia di parlamentari!) a drammi come quelli dei Montagnard in 
      Vietnam, o delle comunità cristiane in Sudan, per fare solo un paio di 
      esempi...
 
 Enrico Palumbo. 
      Concordo nel 
      merito dei finanziamenti pubblici. La mia osservazione era, un po’ 
      provocatoriamente, un invito a comportarvi come chiedete alla Chiesa di 
      comportarsi: compiere il primo passo, fare la prima rinuncia.
 
 Che la fine del potere temporale sia un bene credo non sia nemmeno in 
      discussione. Ma è proprio questo il punto: non esercitando più un potere 
      politico definito, tutto diventa politica, anche il ruolo morale della 
      Chiesa stessa. Come sai, spesso non condivido alcune affermazioni di 
      merito del presidente della Cei (o di altri prelati), ma da fedele non 
      posso non tenerne conto, salvo poi decidere per conto mio nell’urna. 
      Questo è ciò che è sempre avvenuto. La questione che poni (cioè quella 
      dello scambio “libertà di opinioni per rinunce” ) pone sullo stesso piano 
      ogni tipo di presa di posizione di Ruini o di chi per lui. Sarei d’accordo 
      con te se si criticasse la presa di posizione politica in sostegno di 
      questo o quel partito, ma il problema è che tu riduci a “intervento 
      politico” o “ingerenza” ogni tipo di intervento pubblico dei vescovi. Non 
      vedo contrapposizione tra il modello concordatario e la guida morale su 
      grandi temi etici (non partitici): è il compito della Chiesa, anzi di 
      tutte le Chiese. E credo che noi elettori abbiamo dimostrato di saper 
      discernere molto bene l’intervento politico da quello spirituale. Prendi 
      le consultazioni regionali: Ruini aveva schierato massicciamente la Cei al 
      fianco di Storace, uscito poi sconfitto alle urne. Furono i credenti 
      stessi a dimostrare di non essere “militarizzati”, come dici tu: non è il 
      primo caso e non sarà l’ultimo. Del resto i cattolici sono sempre stati 
      assai più numerosi degli elettori della Dc. Al referendum, invece, nemmeno 
      i proponenti i quesiti (cioè i Ds) sono riusciti a portare il proprio 
      elettorato al voto, forse perché in quel caso la parola di Ruini è stata 
      interpretata come un ammonimento di natura morale su un tema ritenuto 
      fondamentale, quale la tutela della vita umana. E’ davvero ingerenza? Sai 
      bene che la questione dell’astensione è stata semplicemente strumentale: 
      chi ha “obbedito” l’ha fatto per ragioni di opportunità (così come voi 
      dicevate che dovevamo andare a votare “no”). Ma l’obbedienza a una 
      indicazione morale è secondo me scelta di pari livello morale a quella 
      della disobbedienza: non ritengo il dissenso un valore a priori. Penso che 
      Andreotti, l’esegesi delle cui parole spetta a lui soltanto, abbia “scelto 
      di obbedire”, così come altri, Scalfaro per esempio, hanno scelto di non 
      obbedire.
 
 Credo che in Italia il problema sia di tutt’altra natura: politico e non 
      religioso. Il problema non è della Chiesa, che ha il diritto di parlare, 
      ma della politica che – per dirla come Emma Bonino – “si fa ingerire”. 
      Penso che le tue parole sarebbe accolte con maggiore interesse, anche 
      dalle gerarchie cattoliche, se tu dicessi a Ruini che non sei d’accordo 
      (argomentando, come sai egregiamente fare), e non dicendo che non è suo 
      diritto parlare. Viceversa, credo che le accuse di ingerenza dovrebbero 
      essere rivolte ai politici che cambiano idea se Ruini parla (penso a Forza 
      Italia che ha mutato posizione sui «Pacs»), non a Ruini che parla. Perché 
      dunque non provare a cambiare prospettiva?
 
 Daniele Capezzone. 
      Aaaaaalt! Mi 
      appello (e mi permetto di richiamarti) al «pacs» iniziale! Perché mi 
      attribuisci la negazione del “diritto di Ruini a parlare”? Nun ce provà...
 
 Come ti ho già detto (e lo ribadisco ora brevemente) io non solo vorrei 
      che parlasse, ma che potesse candidarsi (se lo volesse) e che fosse pure 
      eletto (se gli elettori così dovessero decidere). Ma ciò non è compatibile 
      con quell’assetto concordatario che invece viene difeso (da lui e da 
      altri) con le unghie e con i denti. Insomma, non si può giocare una 
      partita “asimmetrica”, per cui – quando fa comodo – si rivendica il 
      diritto “americano” di entrare nell'agone politico-elettorale, e invece – 
      sempre quando fa comodo – si rivendica una posizione “italiana” di difesa 
      dei privilegi e delle prerogative concordatarie. La “botte piena” e la 
      “moglie ubriaca”, appunto.
 
 Per il resto, due osservazioni:
 
 Ribadisco il mio “nun ce provà” anche quando mi parli di finanziamenti 
      pubblici. E che altro dobbiamo fare noi radicali? Come sai, ce le siamo 
      inventate tutte: referendum, restituzioni pubbliche del nostro 
      finanziamento, ecc... Anche qui, semmai, si tratta di scegliere: o 
      l'America (e prova a chiedere a un repubblicano o a un democratico Usa se 
      sarebbero disposti a dare un solo cent di denaro pubblico alla Cei o a 
      Legambiente o all'Udeur...), o l’assetto attuale italiano. Ma, se si 
      difende l’assetto attuale anche sul piano dei quattrini, si potrebbe 
      almeno avere il buon gusto di correggere la “piccola” norma truffaldina 
      per cui, anche se solo il 36% degli italiani mette la famosa crocetta 
      dell'8 per mille, la ripartizione avviene proiettando e trasponendo i 
      risultati relativi a quel 36% sul 100% (cioè triplicando le entrate della 
      Cei...).
 
 Quanto al fatto che i politici e la politica sono genuflessi, anche qui 
      sfondi una porta aperta. Ma (pure qui) un “male” non cancella l’altro, e 
      semmai lo rilancia e lo amplifica: in altre parole, il fatto che tanti 
      politici (venendo meno ad un auspicabile impegno di laicità e di 
      tolleranza) cedano alle pressioni delle gerarchie non cancella il fatto 
      che quelle pressioni rispondano al meccanismo “botte piena/moglie 
      ubriaca”. Insomma, fa male Ruini e fanno male i politici: occupiamoci 
      degli uni e degli altri. A difesa, simultaneamente, della laicità degli 
      ordinamenti e della libertà sia dei cittadini credenti sia di quelli che 
      credenti non sono.
 
 Infine, voglio dirti (scusa l’accusa perfida, dal tuo – e pure dal mio – 
      punto di vista...) che – sotto sotto – stai facendo il “riformista”, anzi 
      il “riformista italiano” tutto dedito al “giustificazionismo”: in altre 
      parole, non dedicare energie a spiegare ex post e a giustificare quel che 
      accade (e cioè l’assetto “italiano” che non ci piace); semmai, 
      dedichiamoci, insieme, a marciare verso il modello americano (libertà 
      piena di parola e di azione politico-elettorale, senza privilegi, 
      Concordati e otto per mille!). Che dici, i “libbberali” (di destra e di 
      sinistra...) ci staranno, o – diciamo così – spariranno alla chetichella?
 
 Enrico Palumbo. 
      Mi hai dato 
      del “riformista”: nun ce provà lo dico io, sennò comincio a ricordarti che 
      stai per entrare in un governo Dossetti-Togliatti!
 
 Daniele Capezzone. 
      Aaaaah! Sto 
      entrando in un Governo? An interesting piece of news...Piuttosto, sta’ 
      attento tu: ché, se fai ‘sti paragoni, prima o poi ti quereleranno gli 
      eredi di Togliatti (accostato a Diliberto e magari a Folena e Mussi!)
 
 Enrico Palumbo. 
      Comunque, e 
      su questo non ci incontreremo mai, il discrimine è tutto qui: io non 
      considero “intervento politico-elettorale” l’ammonimento morale sulla 
      bioetica o sulla vita umana (che al contrario ritengo possa convivere con 
      un sistema concordatario). Quanto al resto, le “condizioni” che poni 
      sembrano individuare nella Chiesa l’origine prima d’ogni male. A me 
      risulta che anche in Italia si siano commessi, a cavallo tra sette e 
      ottocento e al termine della resistenza (in condizioni storiche e 
      politiche differenti, s’intende), crimini anticattolici (e non soltanto 
      anticlericali). Non solo in Italia: anche in Francia e Spagna. Ma il 
      problema è molto più complesso di come lo poni: io non vedo in larghissima 
      parte del mondo cosiddetto “laico” la maturità per confrontarsi 
      laicamente, all’americana, con la dimensione religiosa.
 
 Detto questo, vorrei volgere lo sguardo alla Spagna. Perché assurgi 
      Zapatero a modello di presunta “laicità” (tanto da indicarlo come 
      ispiratore del nuovo soggetto radical-socialista) se nel merito poi avanzi 
      proposte fortemente alternative a quelle zapateriane (penso alla 
      contrapposizione “matrimoni vs pacs”)? Mi sembra che tu sia affascinato 
      dal metodo più che dal merito, o sbaglio? Ma in tal caso non credi che la 
      strada dello scontro frontale e il tentativo di “annichilire” la Chiesa 
      (sempre che una legge di un parlamento qualsiasi possa davvero minare 
      duemila anni di storia) non faccia che radicalizzare lo scontro, invece di 
      trovare un possibile terreno comune di dialogo (che, su questi stessi 
      temi, in altri paesi europei, ma anche in fasi alterne della storia 
      radicale, non è mancato)?
 
 Daniele Capezzone. 
      In sintesi:
 
 Mai dire mai (rispetto al tuo “non ci incontreremo mai”)...
 
 Non dimenticare il peso della storia: un conto è l’avventura dei “pilgrim 
      fathers” e poi dei costituenti americani, con la religione che è stata 
      fattore di unità civile, elemento di un tessuto connettivo; altro conto è 
      la storia italiana, con la Chiesa cattolica che ha lottato contro 
      l’unificazione nazionale, e ha perfino scomunicato i cattolici liberali 
      protagonisti del Risorgimento italiano!
 
 Insisto: non facciamo del giustificazionismo sulla pasticciata situazione 
      esistente in Italia. Piuttosto, apriamo la porta ad una svolta “americana” 
      nel senso che ho più volte ricordato.
 
 “Annichilire?” Nun ce provà. Zapatero, semmai, al di là dell'una o 
      dell’altra delle sue specifiche proposte (alcune per me condivisibili, 
      altre no), si pone in continuità con Aznar, espressione (lui sì, per 
      fortuna della Spagna!) di una destra innovativa e liberale che, mentre 
      faceva una splendida politica economica, faceva anche passi avanti sul 
      terreno dei diritti civili (pacs approvati in tre regioni; esperimenti di 
      distribuzione di droga sotto controllo medico a Madrid, eccetera). E 
      simmetricamente, anche nell’esperienza di Zapatero, una cosa che è poco 
      sottolineata è che, mentre il premier socialista ha fatto le sue campagne 
      libertarie, si è ben guardato dall’abolire le buone norme in materia di 
      diritto del lavoro varate da Aznar (come invece gli era chiesto ...dalla 
      “CGIL di lì”!). Insomma, in Spagna (che non a caso ci bagna il naso da 
      anni, ormai) hai una destra e una sinistra che si sfidano sul terreno 
      dell’innovazione, e sono capaci di marciare (pur con le loro differenze) 
      sia sul terreno delle libertà individuali che su quello 
      dell’ammodernamento economico-sociale. Proprio il contrario di quel che 
      accade qua, dove il centrodestra ha fallito sulle liberalizzazioni e pure 
      sui diritti civili; così come la sinistra, oltre ad essere insoddisfacente 
      sul piano libertario, rischia di essere regressiva sul terreno economico 
      sociale (con la minaccia di abolizione della legge Biagi e della legge 
      Moratti, ad esempio). Ripeto in altra forma: lì ciascuno sa farsi forte 
      del meglio dell’altro, e avanzare dove l’altro era stato più lento; qui, 
      rischia di esserci una corsa all’indietro, degna di una “competition” tra 
      gamberi...
 
 Non confondere (lo accennavo prima) le gerarchie con la comunità dei 
      credenti: con questi ultimi e con le loro coscienze bisogna sempre cercare 
      di tenere vivo, vivissimo il dialogo, anche nei momenti in cui il 
      confronto con le gerarchie (come accade ora) è reso di fatto impossibile.
 
 Enrico Palumbo. 
      Per me 
      Zapatero è in forte discontinuità con Aznar, perché mentre il leader del 
      PP cercava di promuovere i diritti civili, l’attuale premier pensa a un 
      modo per vincere la guerra civile. Dialogare con la controparte non 
      significa necessariamente negoziare al ribasso, ma promuovere riforme 
      condivise. Cosa che in Spagna (non solo su questo tema: penso 
      all’appeasement col terrorismo, sia esso di Al Qaeda o dell’Eta) non sta 
      avvenendo.
 
 Daniele Capezzone. 
      No, no, no, 
      non confondiamo le pere con le mele...E, soprattutto, non “arruolarmi” tra 
      i sostenitori della politica estera di Zapatero: io sono pur sempre un 
      “perfido” amico dei “perfidi” neocon...
 
 Quello che a me importa è, come accennavo, il fatto che (pur con chiavi 
      diverse, e a volte non poco) la destra e la sinistra spagnola vanno 
      avanti, e lo fanno sia sul piano delle libertà personali che su quello 
      dell’innovazione economica. Sarei confortato se una situazione simile si 
      verificasse pure qua: insomma, se ci fosse una destra come quella di Aznar 
      (libertà economiche + pacs, libertà di ricerca, ecc.) e una sinistra come 
      quella di Zapatero (altri passi sulle libertà individuali, senza 
      cancellare le riforme economiche del PP).
 
 Enrico Palumbo. 
      Ti do una 
      possibile definizione di laicità: «luogo di comunicazione fra le diverse 
      tradizioni spirituali e la nazione». Ti ci potresti riconoscere?
 
 Daniele Capezzone. 
      Mi pare che 
      ponga troppo l’accento sugli elementi “comunitari”, e troppo poco su 
      quelli “individuali”. Io credo che noi usciamo da un secolo in cui la 
      parola “persona” e – ancor più severamente – la parola “individuo” sono 
      state sempre scavalcate e obliterate a beneficio di qualche entità 
      collettiva (minacciosamente maiuscola, peraltro: Chiesa, Stato, Partito, 
      Sindacato, ecc.). Punterei piuttosto su una formula del tipo: «La laicità 
      è l'adozione di quella che potremmo chiamare “etica delle etiche”, e cioè 
      la promozione e la garanzia delle opportunità di scelta individuale, nel 
      rispetto delle altre scelte individuali. Senza cioè che lo stato adotti un 
      solo orientamento morale, per poi imporlo a tutti quanti».
 
 Affare fatto?
 
 Enrico Palumbo. 
      Naturalmente 
      no! Penso che questa tua definizione non risolverebbe alcuni nodi (per 
      esempio: il bambino nel grembo materno è solo oggetto delle libere scelte, 
      oppure può aspirare ad avere dei diritti?), che affronteremo in un 
      successivo incontro sull’aborto. Comunque, per la cronaca, la definizione 
      di prima era di Giovanni Paolo II.
 
 Daniele Capezzone. 
      Grazie, 
      intanto, per la piacevolissima “chiacchierata” telematica.
 
 Enrico Palumbo. 
      Grazie a te 
      per l’estrema gentilezza!
 
 Quando nei discorsi di un radicale “vino” e “vigna” ricorrono più volte 
      di “Pannella” è evidente che siamo di fronte a un dato di fatto: il 
      pontificato dell’«umile lavoratore nella vigna del Signore» sta già dando 
      i primi frutti!
 
      
		06 ottobre 2005 
        * 
		Enrico Palumbo è il titolare del blog 
      
		
		
      Harry |