Università: giù le mani dalla riforma
di Cristiana Vivenzio
[02 nov 05]
Chissà quanti di coloro che nei giorni scorsi hanno democraticamente e
liberamente contestato questo governo reazionario e fascista tirando
sedie, tavolini, bicchieri di vetro e bottiglie d’acqua, coperti da
caschi e passamontagna saranno destinati ad una brillante e feconda
carriera universitaria? Chissà quanti di quei manifestanti disciplinati
dai nostri onorevoli parlamentari dell’opposizione sanno davvero per che
cosa e per chi hanno deciso di scendere in piazza? Molti di loro
solcheranno aule di ogni genere, certo, ma chissà quanti in quelle
universitarie riterranno che il proprio destino è stato tradito da una
legge che regolamenta lo “Stato giuridico dei docenti universitari”,
modificando il reclutamento dei giovani e rampanti studiosi pieni di
aspirazioni e velleità? La Riforma Moratti è legge. Il governo ha dovuto
porre la fiducia perché lo divenisse, nonostante il testo abbia subito
nell’ultimo anno a dir poco accomodanti modifiche di sostanza, divenendo
quindi solo un primissimo passo su una strada che avrebbe voluto portare
le università italiane a competere con i migliori centri di formazione
del mondo.
Le intenzioni iniziali erano quelle di produrre un testo di riforma che
cambiasse in senso liberale e meritocratico l’intera struttura
universitaria. Nei fatti quel testo si è ridotto a disciplinare le vie
d’accesso all’università, introducendo una vera novità di rilievo:
l’abolizione del ruolo di ricercatore a tempo indeterminato. Niente più
concorsi, dunque, per svolgere attività di ricerca all’interno delle
Università, ma contratti triennali rinnovabili di altri tre anni. A
questa novità, che di fatto non solo moltiplica le possibilità di
accesso al mondo accademico ma rende la competizione molto più accesa –
requisito indispensabile per tenere alto il livello qualitativo dei
giovani ricercatori – si affianca l’altra importante novità di questa
legge, che è relativa ai concorsi di idoneità. Niente più corporativismo
e baronati locali, ma molta più trasparenza nella selezione del
personale docente, attraverso concorsi indetti su base nazionale, con
commissioni giudicatrici sorteggiate tra una rosa di possibili
commissari.
Via libera anche ai cosiddetti visiting professor. D’ora in poi le
università per ricoprire posti da professore ordinario e associato
potranno chiamare direttamente studiosi stranieri o italiani impegnati
all’estero e reclutare professori straordinari in convenzione con
Fondazioni, imprese e soggetti pubblici o privati. Uno dei punti più
controversi e dibattuti ha riguardato il destino degli attuali
ricercatori. La legge ha stabilito che, dopo aver sostenuto un concorso
di idoneità da professore associato, essi potranno essere integrati
negli organici in numero pari alle richieste degli Atenei, maggiorato
del 40 per cento. Tale meccanismo dovrebbe in pochi anni – sostengono
dal ministero – consentire “il passaggio di tutti gli attuali
ricercatori nella fascia degli associati, una volta superato il giudizio
rigoroso e selettivo di idoneità nazionale”. Una strada selettiva e
rigorosa. Forse i giovani studenti sapevano di manifestare contro
questo.
02 novembre 2005 |