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		La foto ingiallita del governo Prodidi Pierluigi Mennitti
 [18 mag 06]
 
 A guardare la lista dei ministri, più che un governo Prodi pare un 
		D'Alema bis, tanti sono i dalemiani nelle caselle ministeriali. Certo, 
		il "prodiano" Padoa Schioppa si aggiudica il ministero chiave 
		dell'Economia ma i dalemiani sono sparpagliati un po' dovunque, come 
		mine pronte a saltare. A Fassino dunque il partito, quello piccolo dei 
		Ds o quello grande dei democratici, tutto da inventare, tutto da creare. 
		A D’Alema la vendetta da consumare giorno per giorno nel Consiglio dei 
		ministri. Il premier è messo in ombra anche da un altro leone della 
		politica, Francesco Rutelli. Anche lui vice-premier, anche lui socio di 
		primo piano della maggioranza e dell'esecutivo: gli insider dicono che 
		sia quello che meglio di tutti ha lavorato politicamente in queste 
		settimane. I due vicepremier, come due controllori ingombranti, 
		appesantiscono un po' le ali del leader debole: Prodi ritenne di aver 
		ricevuto forza dal popolo delle primarie, quello dei seggi veri gliel’ha 
		tolta e ora è in mano ai partiti grandi e piccoli, comunque tanti, che 
		compongono la maggioranza.
 
 Ecco perché la compagine ministeriale non scalda i cuori e non offre 
		segnali forti. Certo ci sono personaggi autorevoli, messi in fila 
		pescando dalla nomenclatura del centrosinistra in versione Seconda 
		Repubblica, ma nulla di quell’entusiasmo e di quella progettualità con 
		la quale Prodi, comunque la si volesse vedere, aveva avviato la sua 
		stagione politica nel 1996. Allora c’era l’euro, la moneta unica da 
		offrire a un’Italia in affanno sui criteri di Maastricht. Oggi questo 
		esecutivo pare un po’ fuori tempo, senza un sogno da offrire a 
		quest’Italia del secolo nuovo. Non lo è l’Europa, che torna spesso nel 
		discorso di fiducia pronunciato dal premier al Senato, ma che viene 
		declinata come uno spazio politico neutro, edulcorato dalla pesante 
		crisi che ne ha investito istituzioni, strategie e funzione. Non lo è il 
		rilancio economico, immaginato sull’onda di una ventata statalista 
		rintracciabile nei troppi post e neo-comunisti infilati nei ministeri 
		sociali. Non lo è la guerra al terrorismo, per la quale si prospetta 
		l’impiego delle forze militari italiane sotto l’egida delle 
		organizzazioni internazionali. Intanto si ritirano le truppe dall’Iraq 
		in modo un po’ tartufesco: “Proporremo al Parlamento il rientro dei 
		soldati nei tempi tecnici necessari”, scandisce Prodi in aula. E se ha 
		buon gioco a chiedere ai fischianti senatori della CdL in che cosa 
		differisca questa posizione rispetto a quella recente di Berlusconi sul 
		ritiro delle truppe dall’Iraq, è ugualmente agevole chiedere a Prodi 
		dove sia la novità nella disponibilità a inviare truppe sotto l’egida 
		delle organizzazioni internazionali: è esattamente quello che è accaduto 
		per l’Iraq, dove esiste una risoluzione in proposito dell’Onu.
 
 In realtà, nei confronti del terrorismo islamico manca una strategia 
		perché manca la consapevolezza del pericolo. E mentre i rappresentanti 
		degli ex “governi pacifisti” di Francia e Germania corrono ai ripari 
		indurendo le legislazioni sull’immigrazione, l’Italia sembra offrire il 
		ventre molle del proprio buonismo ai barconi di immigranti che tornano 
		ad approdare illegalmente sulle nostre coste: notizie di cronaca degli 
		ultimi giorni.
 
 Per tornare agli equilibri interni al governo, anche Cencelli, l'autore 
		del famoso manuale di democristiana memoria, riesumato in questi giorni 
		per descrivere la costruzione del Prodi due, s'è un po' stupito della 
		deriva dalemiana di uomini e poltrone. Vedremo come andrà a finire. La 
		facciata odierna è di sorrisi e pacche sulle spalle, anche perché sotto 
		i riflettori ci sono i prescelti, quelli che sono dentro, quelli che ce 
		l'hanno fatta. In realtà, nelle pieghe dei partiti, delle correnti, 
		dello stesso elettorato di centro-sinistra, i mugugni sono qualcosa di 
		più della scontata delusione di chi è rimasto fuori. La fazione moderata 
		è convinta che l'esecutivo sia troppo sbilanciato a sinistra, quella 
		antagonista s'è già stufata pure di Bertinotti perché s'è imborghesito 
		in un ruolo istituzionale. Poi si tiene la pancia nel vedere Mastella 
		alla Giustizia. I radicali piazzano la Bonino in un bugigattolo con 
		striminzita vista su Bruxelles, tanto per ravvivare la malinconia. Di 
		Pietro già s'appiccica con tutta la truppa no-global, no-ponte, no-tav, 
		no-no. Donne poche e sbattute in fondo alla lista, dove il portafoglio è 
		smilzo e vuoto. Di giovane c'è il solo Letta (Enrico) messo nel posto 
		più imbarazzante che potessero dargli: l'ufficetto dello zio. Insomma, 
		l'operato del governo lo valuteremo giorno per giorno nelle sue 
		iniziative concrete. La prima impressione, però, è che sia stata 
		partorita una compagine sbiadita con poca o nessuna innovazione. 
		Autorevole appena un po': una cartolina ingiallita, vecchia di dieci 
		anni.
 
		
		18 maggio 2006 |