Il fantasma che s’aggira per l’Europa
da Ideazione, gennaio-febbraio 2004

Molti analisti hanno messo in luce come la data del 14 dicembre 2003 abbia rappresentato uno spartiacque nella politica internazionale. Gli Usa hanno segnato un grosso punto a favore nella lunga guerra al terrorismo con la cattura di Saddam Hussein, corroborando con un risultato di prestigio l’ardita strategia di ridisegnare la geografia politica del Medio Oriente. L’Unione europea ha invece registrato un’amara sconfitta fallendo il varo della nuova Costituzione e mancando sul piano istituzionale l’appuntamento con la storica riunificazione del continente: la Nuova Europa nascerà senza il supporto di una cornice costituzionale che ne sorregga ambizioni e speranze. Nella carta geografica del mondo, gli Stati Uniti rimarcano la propria presenza, l’Europa la propria assenza.

L’allargamento dell’Unione andrà comunque avanti, nonostante Bruxelles. Gli accordi di Nizza guideranno le decisioni che le istituzioni continentali prenderanno dal 1° maggio, quando rappresenteranno venticinque paesi. Quello che mancherà sarà il supporto istituzionale che avrebbe dovuto dotare la Nuova Europa degli strumenti per divenire un soggetto di politica internazionale. E avrebbe dovuto consentirle di giocare un ruolo da protagonista tra gli Stati Uniti e i nuovi giganti asiatici, la Cina, la Russia, l’India. Questo non è avvenuto e a Bruxelles i capi di Stato e di governo riuniti per la Conferenza intergovernativa dello scorso dicembre hanno semplicemente scontato le divisioni che da mesi lacerano l’Europa.
Da qualche tempo un fantasma s’aggira per il continente. Si tratta del vecchio asse franco-tedesco, l’architrave attorno al quale s’era costruita l’unità europea a partire dagli anni Cinquanta. Altri tempi, altri equilibri, altre necessità storico-politiche. La caduta dei regimi comunisti dell’Est e il processo d’allargamento ai nuovi Stati richiedevano altre sensibilità e altri equilibri rispetto a quelli pre-ottantanove. L’Europa aveva provato a trovarli, muovendosi attraverso gli egoismi degli Stati aderenti, nel tentativo di quadrare un cerchio che si è dimostrato via via sempre più sfuggente.
Le valutazioni sui rapporti con gli Stati Uniti e sulla lunga guerra al terrorismo internazionale hanno accentuato divisioni strategiche che pre-esistevano fra le nazioni europee, facendo emergere, grosso modo, due gruppi contrapposti: da un lato l’asse franco-tedesco supportato dai piccoli Stati del Benelux che devono la loro importanza soprattutto al fatto di aver partecipato alla fondazione della Comunità; dall’altro il triangolo Inghilterra-Spagna-Italia corroborato da piccoli paesi come Portogallo e Danimarca e dall’apporto massiccio di tutti i paesi centro-orientali. Per usare uno schema divenuto famoso, da un lato la Vecchia Europa, dall’altro la Nuova Europa.

Senonché la Vecchia Europa s’è messa in testa di condizionare la Nuova. Lungi dall’impostare un discorso di responsabilità rinnovando quanto, tra politica ed economia, impedisce a Francia e Germania di guidare con spirito innovativo un’Europa allargata, i due paesi hanno riproposto, nelle forme e nei contenuti, l’egemonia continentale del passato. L’Economist ha rappresentato questo asse redivivo come un Frankenstein a due teste, una del presidente francese Jacques Chirac l’altra del cancelliere tedesco Gerhard Schröder. I due leader avevano portato le relazioni fra i loro paesi ai livelli più bassi dal dopoguerra. Il fondo era stato toccato al summit di Nizza, fine 2000. Poi, di colpo, la rinascita. Che non coincide però con la rinascita dei due paesi. Quello che Francia e Germania propongono all’Europa del ventunesimo secolo non è infatti un asse solido e in buona salute. Non ha le carte in regola sul piano economico, non ha le idee chiare su quello geopolitico. Di declino in Francia ha parlato un intellettuale ben noto ai lettori di Ideazione, Nicolas Bavarez, che ha agitato il panorama culturale d’Oltralpe con la pubblicazione di un libro divenuto ben presto un successo: La France qui tombe. In Germania il dibattito è meno esplosivo ma non per questo meno attuale: la locomotiva d’Europa non tira più i vagoni del continente, appesantita dalla crisi strutturale del suo modello economico. Questo asse, che il presidente della Commissione Romano Prodi sponsorizza con forza, può far deragliare l’Unione. E preparare quella che lo stesso Economist chiama “un’alleanza stile-Metternich nel cuore dell’Europa”. Un’Europa qui tombe. (p.men.)

29 gennaio 2004
 

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