| "Ma i democratici rischiano di risvegliarsi con 
        Bush" intervista a Christian Rocca di 
        Alessandro Gisotti
 
 In principio era Howard Dean. L’ex governatore del Vermont, che da 
        populista divenne anche popolare grazie ad Internet e al coraggio - si 
        disse allora - azzardo - si afferma oggi - di guidare il fronte antiBush 
        dei pacifisti “senza se e senza ma”. Quando i voti virtuali dei sondaggi 
        hanno però dovuto lasciare il posto ai voti materiali, i primi 
        appuntamenti delle primarie hanno polverizzato il radicale e arrabbiato 
        Dean. Dalle consultazioni è invece emerso John Forbes Kerry, che per 
        molti democratici, fin dal suo acronimo J.F.K., può raccogliere il 
        testimone – la torcia avrebbe detto lui – di John Fitzgerald Kennedy.
 
 Per capire dove va il partito democratico americano e quali sono le 
        strategie repubblicane per ottenere il secondo mandato di Bush alla Casa 
        Bianca abbiamo intervistato Christian Rocca del Foglio, che sta seguendo 
        in presa diretta la marcia di avvicinamento alle elezioni presidenziali 
        del 2 novembre: “Dean era il beniamino della stampa americana che, come 
        quella europea e italiana, è fondamentalmente liberal, di sinistra, 
        nella nostra definizione. L'ex governatore del Vermont era, ed è, il 
        candidato che più chiaramente si è opposto a Bush, sia sulla guerra sia 
        su tutto il resto. Gli altri candidati sono meno credibili, visto che 
        hanno votato per la guerra e per il Patriot Act. Dean quindi ha scaldato 
        i cuori della chattering class, gli intellettuali e i giornalisti, i 
        quali come al solito vivono, viviamo, in una realtà tutta nostra, 
        lontanissimi dal mondo reale. Dean, comunque, insieme a Joe Lieberman, 
        altro grande sconfitto, è l'unico che dice una cosa chiara, senza 
        infingimenti retorici. E uno che scalda i cuori, dice quello che gli 
        odiatori di Bush si vogliono sentire dire. Ha lo stesso ruolo dei 
        girotondi contro Belrusconi. Ma questa campagna si è centrata su chi può 
        meglio di tutti affrontare Bush. Secondo i democratici l'uomo, per 
        quanto noioso, è John Kerry. E, quindi, turandosi il naso hanno scelto 
        Kerry, ‘Dated Dean, married Kerry’, per spassarsela c'è Dean, ma per 
        sistermarsi, per sposarsi, la persona adatta è Kerry. Il punto è che a 
        furia di far calcoli e di non avere una vision, rischiano di wake up, di 
        svegliarsi, ancora con Bush”.
 
 L’aristocratico eroe di guerra del nord est e il 
        passionale avvocato del sud. Il ticket Kerry-Edwards sembra ideato da un 
        regista hollywoodiano. Ma sarà davvero questo il duo che sfiderà Bush e 
        Cheney, o dobbiamo aspettarci qualche sorpresa?
 
 Intanto, si dice, che una possibile sorpresa potrebbe esserci anche sul 
        fronte repubblicano. Cheney non è popolare e, di fronte alla freschezza 
        di Edwards, Bush potrebbe tentare una carta nuova, la novità: Rudy 
        Giuliani. Ma, al momento, penso sia fantapolitica. Kerry dice 
        esplicitamente che il sud non è necessario per vincere, ma non credo che 
        potrà ripeterlo in campagna elettorale. Al momento mi pare in pole 
        position per la vicepresidenza Dick Gephardt, perché Kerry ed Edwards 
        non mi pare vadano molto d'accordo. Resta il fatto che sarebbe la coppia 
        migliore oggi. Edwards non ha grande esperienza è un grande oratore, 
        riesce a convincere le persone che incontra con un messaggio semplice e 
        comprensibile, retaggio del suo rapporto con le giurie popolari di 
        quando faceva l’avvocato. Fin qui però ha giocato questa carta di 
        populista felice, senza mai dire veramente che cosa farebbe una volta 
        alla Casa Bianca.
 
 I democratici stanno votando alle primarie con 
        un’affluenza che non si registrava da anni. Ma è davvero così forte il 
        partito Abb, anybody but Bush (chiunque tranne Bush)?
 
 Sì, ma solo nella costa est e nella costa ovest. Tutto il resto è Bush 
        country o red state (rosso è il colore che i network danno agli Stati 
        conquistati dai repubblicani). A New York è addirittura difficile 
        trovare un bushiano. In parte ho risposto anche prima, ma va considerato 
        che già nel 2000 i voti anti Bush furono circa sette milioni in più 
        rispetto a quelli del presidente (a quelli di Gore vanno sommati quelli 
        di Nader, che considerava Gore poco di sinistra).
 
 L’eclissi di Dean e l’ascesa di Kerry hanno 
        certamente rappresentato un cambio di scenario rispetto alle previsioni 
        iniziali. E’ mutata anche la strategia dei repubblicani, dobbiamo 
        aspettarci qualche colpo di teatro da parte di Karl Rove, il Richelieu 
        della Casa Bianca?
 
 Intanto va ricordato che Kerry l’anno scorso era il front runner. Il 
        fenomeno Dean, con questa intensità, è nato e morto nel giro di un mese, 
        il mese precedente quello del caucus dello Iowa. Rove potrebbe, appunto, 
        suggerire la carta Giuliani, ma mi piacerebbe davvero capire se il suo 
        ruolo sia così importante come si dice, il cervello di Bush è stato 
        scritto, oppure sia sovrastimato, uno dei tanti classici errori di 
        percezione della stampa. L’altro giorno al New York Times, Laura Bush ha 
        negato questo ruolo da Richelieu di Rove, ha detto che lui diverte molto 
        a far credere alla stampa che in realtà è potentissimo.
 
 Quali sono le valutazioni che danno i 
        neoconservatori dell’evoluzione delle primarie democratiche?
 
 I neoconservatori non esistono. Nel senso che non esiste un partito, 
        un’associazione, una sede, un’insegna, una bandiera, un inno dei neocon. 
        Sono un gruppo, molto diviso tra loro, di intellettuali, opinionisti e 
        funzionari governativi che hanno un passato comune tra i liberal e che 
        oggi considerano i repubblicani i migliori difensori del liberalismo. 
        Quindi non c’è una posizione sulle primarie repubblicane. Ovviamente, 
        chi tra loro sta ancora a sinistra, come quelli della rivista New 
        Republic, sostenevano Lieberman.
 
 Quanto influiranno realmente i neocon sui 
        contenuti della campagna presidenziale di Bush?
 
 I neocon avranno un’influenza indiretta. Se per il tempo delle elezioni 
        l’Iraq sarà un paese visibilmente, anche per gli americani non solo per 
        gli iracheni, migliore, avranno dato un grande aiuto alla rielezione. Se 
        dovesse andare storto, avranno un’influenza negativa.
 
 9 febbraio 2004
 
 gisotti@iol.it
 
 
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