| Osama ha un nemico in meno di Pino Bongiorno
 
 Se il terrorismo stragista, l’internazionale del terrore che da due anni 
        e mezzo ha dichiarato guerra al mondo libero e democratico, chiamando a 
        raccolta tutti i nemici a qualche titolo dell’Occidente, si riprometteva 
        di spingere la Spagna a rinnegare le scelte politiche recenti e 
        preferire, sotto l’effetto obnubilante del sangue e della morte, la fuga 
        dalle responsabilità o il basso profilo, nazionale e internazionale, ha 
        sicuramente segnato un punto a suo favore. La Spagna orfana, vedova, 
        scossa come nei giorni più difficili della sua difficile storia, si è 
        recata alle urne, dopo appena settantadue ore dalla carneficina di 
        Madrid, e ha decretato la sconfitta del Partito popolare (Pp) e, 
        soprattutto, di José Maria Aznar. E’ lui, infatti, il principale 
        sconfitto, “don nada”, come lo chiamavano i suoi primi sprezzanti 
        detrattori.
 
 Ha perso Aznar, anche se ha perso Mariano Rajoy. Ha perso lo strenuo 
        difensore della Costituzione del 1978 o, che è lo stesso, dell’unità del 
        paese, il leader che non ha dato respiro ai terroristi dell’Eta e in 
        tutti i modi possibili ha provato a fare loro terra bruciata intorno. Ha 
        perso l’uomo che nel giorno dell’infamia non è indietreggiato di un solo 
        passo e ha rivolto ai suoi concittadini, e ai cittadini di tutto il 
        mondo libero e democratico, le parole che ognuno di essi, anche il più 
        addolorato e spaventato, dovrebbe sentirsi dire in questi momenti: “Li 
        sconfiggeremo. Che nessuno abbia il minimo dubbio. Riusciremo a porre 
        fine alla banda terrorista con la forza dello Stato di diritto e con 
        l’unità di tutti gli spagnoli. Porremo loro fine con leggi forti, con 
        forze di sicurezza e tribunali di giustizia fermamente sostenuti e 
        decisamente risolti ad applicare la legge. Non c’è negoziato possibile 
        né auspicabile con questi assassini. Che nessuno cerchi di ingannarsi: 
        solo con la fermezza potremo ottenere la fine degli attentati”. Poco 
        importa se nel pronunciare queste parole pensasse all’Eta e non ad Al 
        Qaeda, Aznar, infatti, la guerra al terrorismo l’ha combattuta, nei suoi 
        anni di governo, a trecentosessanta gradi.
 
 Ha perso il fiero sostenitore delle ragioni di Bush, il suo fedele 
        alleato, quello che dall’11 settembre 2001 ne ha condiviso le scelte e 
        non si è nascosto dietro i distinguo della diplomazia, né ha assecondato 
        le piazze e gli impulsi antiamericani. Ha perso l’artefice del miracolo 
        economico, colui cioè che è stato capace dal 1996, anno dell’inizio del 
        suo primo mandato, di ridurre la spesa pubblica dal 48 al 40 per cento 
        del prodotto interno lordo e la disoccupazione dal 24 all’11,2 per 
        cento, di creare 4,5 milioni di posti di lavoro, di favorire una 
        crescita record del 4 per cento annuo (nel 2003 è scesa al 2,4 per 
        cento, quattro volte comunque quella dei vicini europei), di 
        approssimare il disavanzo del bilancio allo zero, ossia ben lontano dal 
        tetto del 3 per cento del Pil fissato dai criteri di Maastricht e 
        sforato da paesi come la Francia e la Germania, con ben altre 
        potenzialità complessive. A queste cifre, qualora non bastassero a 
        rendere conto del boom spagnolo, se ne può aggiungere un’altra, relativa 
        a un settore in crisi ovunque: nel febbraio scorso sono state vendute in 
        Spagna 120 mila 493 automobili, ben il 22,5 per cento in più rispetto 
        allo stesso mese del 2003. Tutto ciò, e altro ancora, non solo 
        utilizzando il pugno di ferro, ma anche il guanto di velluto: da 
        ricordare, a questo proposito, le intese “istituzionali”, che hanno 
        consentito alla Spagna di dotarsi del decentramento più federalista 
        d’Europa, e quelle “con le parti sociali”, insieme alle quali Aznar è 
        stato capace, soprattutto durante la prima legislatura, di smantellare 
        il sistema corporativo, retaggio opprimente della lunga stagione 
        franchista, e liberare le energie economiche e lavorative inespresse del 
        paese.
 
 Ha perso Aznar, dunque, e ha vinto il Partito socialista (Psoe) di José 
        Luis Rodriguez Zapatero, che ha prospettato una Spagna diversa, una 
        “Spagna plurale” ma imbelle, dialogante con i terroristi di casa ed 
        esitante contro quelli che minacciano la sicurezza del mondo intero. Le 
        elezioni del 14 marzo 2004, tenutesi nella terra che separa il Mar 
        Mediterraneo e l’Oceano Atlantico e dalla quale sono partite quelle 
        spedizioni cui dobbiamo la scoperta del continente americano, hanno 
        soprattutto questo significato. Il terrorismo ha oggi un avversario di 
        meno, mentre il mondo democratico e libe-ro ha più motivi di 
        preoccupazione rispetto a quanti già ne avesse.
 
 15 marzo 2004
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