| Bush: in Iraq fino a missione compiuta di Alessandro Gisotti
 
 “Non ce ne andremo prima di aver finito il lavoro”. Un Bush 
        “unapologetic” – che non chiede scusa – come hanno sottolineato in 
        molti, si è rivolto martedì alla nazione per rassicurare gli americani 
        sulla sempre più spinosa questione irachena. Soprattutto, per ribadire 
        che la Casa Bianca conosce una via d’uscita dalle sabbie mesopotamiche e 
        che l’Iraq non sarà un nuovo Vietnam, come preconizzato dal senatore Ted 
        Kennedy, acerrimo nemico di Bush jr. Per la terza volta da quando è in 
        carica, il presidente repubblicano si è rivolto alla nazione attraverso 
        una conferenza stampa, trasmessa in diretta – in prime time – da tutti i 
        principali network statunitensi. Una mossa a sorpresa, decisa dal 
        presidente stesso, ha scritto qualcuno. Ma secondo i ben informati, 
        l’idea della “news conference” sarebbe stata suggerita dai consiglieri 
        più stretti del Commander-in-chief, che non avrebbero giudicato 
        abbastanza efficace la deposizione di Condi Rice di fronte alla 
        commissione parlamentare sulla strage dell’11 settembre.
 
 Per il New York Times, mai tenero con l’attuale inquilino della Casa 
        Bianca, George W. non ha tracciato una strategia per risolvere la crisi. 
        Piuttosto, afferma David E. Sanger, si è fermato a parlare della 
        “missione morale dell’America” per la libertà e la democrazia nel mondo. 
        “Non ha usato la parola crociata, ma ne ha descritta una”. Insomma, roba 
        da tempi di Teddy Roosvelt. Non ammettendo alcun errore, ha concluso il 
        New York Times, Bush ha confermato la sua grande forza davanti agli 
        occhi dei suoi ammiratori e la sua testardaggine pericolosa di fronte 
        agli occhi dei detrattori. Una valutazione condivisa dal senatore John 
        F. Kerry, candidato democratico alla presidenza. “Stasera – ha 
        sostenuto, poco dopo la conferenza stampa – il presidente ha avuto 
        l’opportunità di spiegare agli americani quali passi verranno compiuti 
        per stabilizzare la situazione irachena. Purtroppo, non ha fornito alcun 
        piano”. Giudizio echeggiato dal Washington Post, per il quale Bush ha 
        offerto un’immagine di ciò che l’Iraq diverrà, lasciando insoluto il 
        quesito su come potrà raggiungere il traguardo.
 
 Tuttavia, ha evidenziato Usa Today, lo staff di Bush non si aspettava di 
        porre fine alle domande sull’Iraq in un sol colpo. La finalità 
        dell’intervento era, invece, di dimostrare all’elettorato che il 
        presidente è in grado di tenere sotto controllo la situazione. La gente, 
        ha detto lo stratega repubblicano Scott Reed, vuole “vedere una 
        direzione”. Dal canto suo, David Lanoue, politologo dell’università 
        dell’Alabama ritiene “difficile che Bush abbia cambiato le sensazioni di 
        molti elettori, ma certamente ha dimostrato ai suoi sostenitori che 
        terrà duro sino alla fine”. Luce verde per Bush da Fred Barnes che, sul 
        neoconservatore Weekly Standard, ha messo l’accento sull’atteggiamento 
        del presidente alla conferenza. Ignorando i giornalisti, Bush si è 
        rivolto direttamente al popolo. Nessuno, ha scritto, doveva aspettarsi 
        da lui una strategia “à la Kissinger” sull’azione americana in Iraq. 
        L’argomento di Bush è, in verità, molto semplice, secondo il Weekly 
        Standard: “La libertà in Iraq è una buona cosa per gli iracheni, per 
        l’America e per il mondo”. Poi, a dimostrare la rude semplicità, tanto 
        amata e tanto odiata, del texano alla Casa Bianca, Barnes ha riferito di 
        uno scambio tra Bush e un giornalista della National Public Radio. A Don 
        Gonyea, che gli chiedeva un commento su chi lo ritiene un cattivo 
        comunicatore, ha risposto: “Dico ciò che penso, e penso ciò che dico”.
 
        
        15 aprile 2004
 gisotti@iol.it
 
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