| Iraq tra guerra e dopoguerra di Andrea Mancia
 
 Una serie di violenti combattimenti nella parte nordoccidentale di 
        Falluja, in cui sono rimasti feriti una decina di marines, ha incrinato 
        la tregua tra le forze della Coalizione e gli insorti della cittā 
        sunnita, appena poche ore dopo la scadenza dell'ultimatum per la 
        consegna delle armi pesanti che, secondo il pro-console americano Paul 
        Bremer, sono state nascoste dai guerriglieri nelle moschee e nelle 
        scuole. Non si č trattato, in ogni caso, di un attacco per la 
        riconquista della cittā, operazione rimandata dal presidente Bush anche 
        per non intralciare le trattative diplomatiche per la liberazione degli 
        ostaggi italiani, quanto piuttosto di una serie di pattugliamenti 
        congiunti tra marines e forze di polizia irachene. Le operazioni hanno 
        scatenato una violenta reazione degli insorti e la contro-reazione dei 
        marines, con l'appoggio aereo degli AC-130 Spectre. Ancora incerto il 
        numero delle vittime irachene.
 
        Un'offensiva 
        militare in piena regola, invece, č stata scatentata dai marines nei 
        dintorni di Najaf, cittā santa degli sciiti dove si nasconde il leader 
        integralista al-Sadr. Ieri gli elicotteri della Coalizione, appoggiati 
        da un aereo da combattimento, hanno attaccato numerose 
        roccaforti del cosiddetto esercito Mehdi sulla strada tra Najaf e Kufa, 
        ritirandosi dopo aver inflitto pesanti perdite al nemico (si parla di 
        circa 70 guerriglieri uccisi). Anche in questo caso, le autoritā 
        americane hanno invitato gli insorti a rimuovere "immediatamente" le 
        armi accumulate nelle scuole e nei luoghi di culto, per "evitare 
        provvedimenti" da parte delle forze della Coalizione. Le battaglie di 
        ieri pomeriggio ed oggi sulla riva orientale dell'Eufrate potrebbero 
        aver indebolito il potenziale offensivo delle milizie di al-Sadr, 
        permettendo ai marines di evitare un assalto diretto contro le moschee 
        che avrebbe un impatto senza dubbio negativo sull'opinione pubblica 
        sciita in Iraq. Secondo il generale di brigata americano, Mark Kimmit, 
        gli insorti di Najaf sarebbero "centinaia, sicuramente non migliaia" e 
        contro di loro sarebbero state condotte alcune "decisive operazioni 
        militari" che hanno impedito i "tentativi di boicottare il processo 
        democratico iracheno" Sembra 
        difficile, insomma, parlare di rivolta popolare anti-americana come una 
        parte dei mass media occidentali ed arabi ha cercato di fare nelle 
        ultime settimane. Un "esercito" appoggiato dalla popolazione non avrebbe 
        affatto la necessitā di rifugiarsi nelle moschee, confidando in una 
        dubbia interpretazione della Convenzione di Ginevra e nell'occhio 
        "amico" delle telecamere.  La 
        situazione resta in ogni caso molto fluida, sia sotto il profilo 
        militare che sotto quello diplomatico. Mentre č definitivamente 
        confermato che la fortissima esplosione di stamattina che ha scosso un 
        quartiere della periferia settentrionale di Baghdad, in un primo tempo 
        attribuita ad un attacco contro un convoglio militare americano, č 
        invece avvenuta all'interno di un deposito di materiale chimico nel 
        quale stavano tentando di entrare soldati statunitensi accompagnati da 
        esperti iracheni di armi di distruzione di massa. Fonti diverse parlano 
        di uno o due morti e almeno quattro feriti, ma manca ancora qualsiasi 
        conferma ufficiale.  
        
        27 aprile 2004 
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