La Slovenia è pronta a fare la sua parte
intervista con Anton Grizold
di Rodolfo Bastianelli e Pierluigi Mennitti
La Slovenia non è più una sorpresa per l’Italia. Paese confinante, primo
Stato ad emergere dalla catastrofe della ex-Jugoslavia, si appresta a
tagliare fra qualche giorno il traguardo dell’ingresso nell’Unione
Europea con uno “score” di tutto rispetto. Fra i nuovi membri è quello
che ha i voti migliori. Percorrendo le nuove autostrade che tagliano da
nord a sud il paese, aggirandosi per le vie deliziose della sua
capitale, attraversando le piazze in stile veneziano dei suoi centri
marinari, si ha netta l’impressione che il vicino di casa abbia percorso
la strada della crescita economica e culturale con grande rapidità. Ne
parliamo con Anton Grizold, ministro della Difesa sloveno, di recente in
visita ufficiale nel nostro paese, con il quale abbiamo anche
l’opportunità di spingerci ad affrontare questioni geopolitiche
rilevanti per un’area di comune interesse come quella balcanica.
Signor ministro, delle nazioni che entrano a far
parte dell’Unione Europea, la Slovenia è tra quelle che hanno registrato
progressi più rapidi sia sul piano della democrazia politica e
istituzionale, sia su quello economico. Qual è il segreto della ricetta
slovena?
Rispetto agli altri paesi dell’ex-Jugoslavia noi abbiamo vissuto una
guerra breve che è durata appena dieci giorni. Questo ci ha permesso di
limitare i danni materiali e di avviare immediatamente politiche di
sviluppo e di crescita economica. Inoltre la classe politica è stata
consapevole di dover rapidamente dotare il nuovo Stato di istituzioni
democratiche per governare con trasparenza il proprio popolo e per
inserirsi con autorevolezza nel contesto internazionale. Il nostro
veloce avvicinamento all’Unione Europea e alla Nato è il risultato della
combinazione di questi due fattori.
Il suo paese può dunque rappresentare un esempio
positivo per le altre nazioni sorte dal dissolvimento della Jugoslavia?
E soprattutto, dopo aver guardato a Nord-Ovest verso l’Europa, la
Slovenia tornerà a guardare a Sud, immaginando un ruolo di leadership
nell’area balcanica?
Mi auguro che la Slovenia possa essere un buon esempio. Ci rendiamo
conto della nostra importanza nello scacchiere balcanico. L’Unione
Europea e la Nato ci chiedono spesso quale possa essere il nostro
contributo in quell’area. Ad esempio noi siamo già presenti in Bosnia
con la nostra polizia militare alle dipendenze della Sfor dove i nostri
poliziotti non soltanto contribuiscono all’ordine pubblico ma riescono
ad avere con la popolazione un rapporto cordiale e privilegiato:
conoscono la lingua, le tradizioni culturali, le abitudini di quei
popoli e dunque sono un fattore di unione, di tranquillità e di
stabilità. Per questo non ci interessa assumere ruoli di leadership nei
Balcani. Ci interessa contribuire concretamente alla stabilizzazione
dell’intera area: è su questo che possiamo svolgere un ruolo decisivo.
Dunque favorirete in futuro l’ingresso di tutti i
paesi dell’ex-Jugoslavia nell’Unione Europea?
Siamo favorevoli al loro ingresso e ci stiamo già muovendo concretamente
per rendere possibile questo sbocco.
Italia e Slovenia. Dai freddi e sospettosi
rapporti iniziali si è passati a una “relationship” sempre migliore. I
due paesi cooperano all’interno di molte organizzazioni internazionali e
l’Italia è per la Slovenia il secondo partner commerciale dopo la
Germania. Quali sono, a suo avviso, i campi in cui è possibile
accrescere tale collaborazione?
Italia e Slovenia sono paesi confinanti che hanno in comune storia e
cultura. Entrambi sono nella Nato e tra qualche giorno entrambi saranno
anche nella Ue: è necessaria la più stretta collaborazione per
affrontare e risolvere i problemi comuni. Sono molto felice che i
rapporti tra i nostri governi stiano migliorando in tutti i campi. Ma
devo limitarmi a prendere in considerazione solo gli aspetti che mi
competono, quelli di ordine militare. Vorrei rispondere alla vostra
domanda con un esempio. Da qualche tempo si discute sulle modalità di
trasferimento dalla Nato all’Unione Europea del comando di una missione
militare in Bosnia. Tre paesi - Austria, Italia e Slovenia - stanno
riflettendo assieme sulle forme di collaborazione che dovremo offrire
sotto l’egida di Bruxelles. E’ un tema sensibile, perché la politica
comunitaria di difesa evolve molto lentamente ma il nostro impegno può
rappresentare un esempio di come le cose possano muoversi più
velocemente. Sul piano militare, dunque, i rapporti tra i nostri due
paesi sono buoni e sono destinati a diventare ottimi nel futuro.
Restiamo in ambito militare. In una fase segnata
dall'emergenza terrorismo, quale pensa debba essere la strategia
dell'Europa per fronteggiare il pericolo terrorista e quale contributo
può dare la Slovenia, anche alla luce della sua collocazione
geopolitica?
Il processo di globalizzazione ha tolto a tutti gli Stati l’illusione di
poter affrontare i problemi da soli. In passato si è ritenuto che ci si
potesse chiudere in se stessi di fronte a minacce come il terrorismo, la
criminalità organizzata, il commercio illegale, l’immigrazione
clandestina. Oggi, a dodici anni dalla fine della guerra fredda, è
evidente che si debba lavorare assieme: queste minacce sono divenute
anch’esse globali ed è impensabile che gli Stati possano affrontarle
singolarmente. E’ necessario dunque anche per la Slovenia muoversi
all’interno di una strategia comune decisa dall’Unione Europea. Ad essa
il nostro paese può contribuire rappresentando un elemento di stabilità
della regione balcanica. La Slovenia è ormai un’entità stabile sia dal
punto di vista politico che economico, è membro attivo e affidabile
della Nato, diffonde tranquillità e fiducia in tutta l’area
dell’ex-Jugoslavia. Geograficamente, il nostro è un ruolo decisivo per
tutta l’Europa meridionale.
Il recente ingresso della Slovenia nella Nato accentuerà il profilo
militare del paese nella lotta al terrorismo?
I problemi della sicurezza militare sono affrontati all’interno della
Nato secondo il copione della divisione del lavoro. Non è necessario che
ogni forza armata statale svolga tutti i compiti della sicurezza: ognuno
realizza quello che sa meglio fare, quello per cui le proprie forze
armate sono più indicate. La sicurezza è, anche in ambito Nato, il
prodotto di un lavoro comune. Per scendere sul piano concreto, la
Slovenia già assolve impegni militari nell’area balcanica, in Bosnia, in
Macedonia e in Kossovo. E, nell’ambito delle iniziative della Nato, è
presente in Afghanistan dove collabora al ristabilimento della pace.
In caso di richiesta americana pensate di inviare
truppe slovene in Iraq?
Il nostro profilo militare è ormai inserito all’interno delle strutture
della Nato. Al momento la priorità della Nato è di lavorare al
ristabilimento della pace in Afghanistan, un paese che ha bisogno di
completare la propria transizione. E’ lì il nostro posto.
28 aprile 2004 |