| Il volto totalitario dell’Islam intervista a Victor Zaslavsky di Cristiana 
        Vivenzio
 da 
        Ideazione, maggio-giugno 2004
 
 «Il fondamentalismo islamico? Il suo programma politico mira a 
        costituire regimi per molti versi assimilabili a quelli totalitari». Ne 
        è convinto Victor Zaslavsky, professore di Sociologia politica alla 
        Luiss e direttore dell’International center for transition studies. 
        Russo di origine, praticamente italiano, è forse il nostro maggior 
        studioso di totalitarismo sovietico. Recentemente ha pubblicato per 
        Mondadori Lo stalinismo e la sinistra italiana, un libro che non ha 
        mancato di scatenare polemiche e discussioni. «Prima di estendere il 
        concetto di totalitarismo al fondamentalismo islamico penso sia 
        necessario fare una premessa. Quando parliamo dello studio dei sistemi 
        socio-politici appartenenti alla cosiddetta famiglia totalitaria, 
        dobbiamo riconoscere il grande contributo di almeno settantacinque anni 
        di studi condotti dagli scienziati sociali. Senza quel lavoro non è 
        possibile comprendere l’eredità storica del Ventesimo secolo. Quegli 
        studi ci hanno insegnato che il totalitarismo non è la descrizione di 
        una certa realtà sociale e politica ma è una categoria relativa più che 
        assoluta. Va usata come costruzione concettuale, come un idealtipo 
        weberiano, per analizzare le tendenze e gli elementi totalitari in 
        diversi regimi. E questo punto è molto importante, perché utilizzando 
        questa metodologia si approda ad un risultato fondamentale proprio degli 
        studi sul totalitarismo: abbiamo potuto dimostrare che aldilà delle 
        ovvie differenze tra il regime nazista e staliniano si possono concepire 
        livelli di analisi in cui le somiglianze tra loro diventano 
        significative se non addirittura prevalenti».
 
 Professor Zaslasvky, a suo avviso esiste allora 
        una relazione tra le esperienze totalitarie del Novecento e le questioni 
        mediorientali?
 
 L’utilizzo di un meta-concetto di totalitarismo ci consente di applicare 
        tale categoria ad alcuni regimi politici, per capire la struttura e il 
        funzionamento di singoli casi e per individuare altri regimi del genere. 
        Come termine di paragone si tenga presente l’esperienza dell’Urss. Il 
        sistema sovietico è passato attraverso tutti i periodi di sviluppo 
        perché, a differenza dei regimi nazista e fascista sconfitti alla fine 
        della seconda guerra mondiale, l’Urss è resistito a lungo, ed è passato 
        attraverso tutte le fasi del ciclo vitale: dalla nascita al periodo 
        formativo, per poi vivere una fase prolungata e stabile di 
        funzionamento, fino al collasso finale.
 
 In qualche modo, quindi, l’analisi dell’evoluzione 
        del regime sovietico, in tutte le sue fasi, ci permette oggi di poter 
        esaminare la nascita di movimenti totalitari che non si sono ancora 
        sviluppati?
 
 Direi di sì. Perché l’evoluzione che il totalitarismo subisce è 
        sintomatica e, in qualche modo, ciclica. Guardiamo appunto 
        all’evoluzione del regime sovietico: è passato dalla fase di costruzione 
        alla fase del mantenimento, del funzionamento stabile del sistema. 
        Conoscere l’evoluzione che il totalitarismo subisce è essenziale nella 
        comparazione: del resto, com’è facile intuire, non è possibile comparare 
        un regime in fase di costruzione ad un regime nella sua fase di 
        funzionamento. Guardiamo a due casi concreti, in cui la comparazione è 
        possibile: il regime sovietico e quello di Saddam in Iraq. Ebbene, 
        quando parliamo del sistema sovietico in genere discutiamo di due 
        periodi: il periodo staliniano, cioè quello di costruzione del sistema, 
        e il periodo post-staliniano – che ha visto l’avvicendarsi di almeno tre 
        generazioni di leader – durante il quale si è assistito alla fase del 
        funzionamento stabile del regime, quella in cui si poteva vederne il 
        reale funzionamento, con tutte le sue istituzioni già operative. 
        All’interno di queste due fasi si sono realizzate alcune condizioni che 
        astrattamente possono essere considerate connotative di un regime 
        totalitario. Nel periodo staliniano della costruzione del regime, si è 
        imposto un sistema monopartitico, cui si è aggiunto un rigido sistema di 
        controllo statale sull’economia, concretizzatosi nel progetto di 
        pianificazione economica centrale, che ha prodotto conseguenze anche 
        sulla sfera culturale e su tutta la vita sociale. Il terzo elemento è 
        rappresentato dalla presenza di un’ideologia molto forte che ha un 
        carattere aggressivo. Un’ideologia messianica che deve trasformare il 
        mondo e che divide quel mondo tra chi la pensa come noi e gli altri. 
        Questo tipo di ideologia non può che portare ad uno scontro tra noi e 
        quegli altri, ad uno scontro che noi dobbiamo vincere. Questo, di 
        solito, si trasforma in una politica estera espansionista. Il regime è 
        sempre aggressivo e cerca di espandersi se non è fermato.
 
 In questo tipo di regime non basta, quindi, 
        raggiungere la totale obbedienza dei sudditi?
 
 È un elemento necessario ma non sufficiente. Ciò che conta è la 
        costruzione di un nuovo mondo e di un uomo nuovo oppure la 
        trasformazione del preesistente, attraverso l’eliminazione di intere 
        categorie di individui, di interi gruppi: si riuniscano essi su base 
        etnica, di classe o di religione, si tratti dei fedeli contro gli 
        infedeli, dei marxisti-leninisti contro il capitalismo o di altre forme 
        ideologiche contrapposte poco importa. Certo, perché il regime 
        totalitario riesca a costruire questo mondo nuovo in cui si imponga la 
        propria ideologia deve fare uso del terrore, un terrore di massa. Ne fa 
        ricorso soprattutto nel periodo formativo, un periodo normalmente 
        abbastanza breve, che si chiude nell’arco di una generazione. Nel 
        periodo di funzionamento stabile il terrore perde la sua centralità e 
        anche l’ideologia perde della sua importanza, perché tutte le 
        istituzioni sono formate. Allora, ricapitolando: sistema monopartitico, 
        controllo totale sull’economia, ideologia militante che deve trasformare 
        il mondo e vincere contro il nemico. Nel regime di Saddam tutte queste 
        caratteristiche esistono. Nell’Iraq di Saddam è esistito un sistema a 
        partito unico; uno stretto controllo economico: anche se non c’è stata 
        una vera e propria pianificazione centrale, tutte le risorse sono state 
        praticamente controllate, soprattutto quelle petrolifere; c’è stata 
        anche una grande militarizzazione, il regime non ha preteso solo di 
        mantenere il controllo e l’ubbidienza dei suoi sudditi, ma ha voluto 
        anche espandersi, conquistare altri territori. La concomitanza di questi 
        elementi spiega perché si può benissimo applicare la categoria del 
        totalitarismo al regime di Saddam Hussein. Del resto, non si può 
        immaginare un regime monopartitico stabile senza un controllo 
        sull’economia. Non reggerebbe a lungo, così come non si può mantenere la 
        popolazione su standard di vita molto bassi se non c’è militarizzazione 
        e un forte apparato repressivo. Ma dopo la distruzione del regime di 
        Saddam a mio avviso è emersa un’assoluta novità.
 
 Che cosa è accaduto, professore?
 
 Per la prima volta una nuova, micidiale arma, il terrorismo suicida, è 
        stata impiegata contro la civiltà tecnologica occidentale. Il terrorismo 
        suicida è potenzialmente uno strumento più potente delle armi di 
        distruzione di massa, compresa la bomba atomica. E da qui mi ricollego 
        alla nostra domanda iniziale: il fondamentalismo islamico può rientrare 
        nella categoria idealtipica di totalitarismo? Certamente esso presenta i 
        tratti di una fortissima ideologia che tenta di mettere in pratica il 
        suo programma messianico. Questa è una forma di totalitarismo nascente 
        in cerca di un suo Stato, in cerca di un territorio in cui radicarsi. Un 
        tentativo si è fatto in Cecenia e anche in Iraq. Ora si sta cercando 
        qualche altro Stato in cui questo tipo di regime potrebbe attecchire. 
        Questa è una grande novità, cui il Novecento non aveva assistito. Nel 
        secolo scorso il mondo bipolare era diviso in due blocchi, ognuno 
        controllava la sua sfera di influenza, la propria circoscrizione 
        territoriale, ed esisteva un certo equilibrio.
 
 Ma esiste un’entità statale che potrebbe prestarsi 
        al “gioco totalitario”?
 
 Non ancora… Però c’è un altro elemento da valutare: che cosa ha 
        significato la guerra in Iraq. Come abbiamo detto, oggi vi è una nuova 
        arma di distruzione, il terrorismo suicida, contro cui non è stata 
        predisposta alcuna difesa idonea. Se dovesse emergere uno Stato che 
        appoggia questo tipo di politica in altre parti del mondo si 
        concretizzerebbe un pericolo enorme per tutti: si dovrebbe auspicare un 
        cambiamento delle leggi internazionali, perché i regimi che appoggiano 
        il terrorismo suicida presentano un pericolo comune, a prescindere 
        dall’obiettivo dichiarato. Ciò che conta è che devono essere fermati. Ma 
        mi pare che la comunità internazionale non abbia ben chiara la reale 
        consistenza di questo pericolo. Tanto che nessuno è stato in grado di 
        prevedere l’11 settembre, nonostante già nella prima metà degli anni ’90 
        ci sia stato il tentativo a New York di far esplodere le Twin Towers. Ci 
        sono poi altri due aspetti che non vanno sottovalutati.
 
 Quali, professore?
 
 Il primo è la crescita demografica. Stiamo assistendo ad un’enorme 
        crescita della popolazione. Siamo 6 miliardi e 300 milioni di persone e 
        questa crescita si concentra per ragioni di tradizione, cultura e 
        religione in certe zone del mondo. I paesi musulmani rappresentano 
        un’area di altissimi tassi di crescita. Più di metà della popolazione ha 
        un’età tra 16 e 40 anni, questa è una fascia d’età pericolosa, 
        rappresenta un terreno fertile per lo sviluppo di ideologie estremiste, 
        che potrebbero utilizzare il terrorismo suicida. Il secondo punto da 
        ricordare è che il mondo islamico non è monolitico. Per comprendere che 
        cosa sta succedendo oggi si deve guardare a fondo al rapporto tra 
        l’Islam moderato e quello estremista. A mio avviso, nonostante il 
        tentativo dei terroristi fondamentalisti, non esiste scontro delle 
        civiltà; sono convinto che all’interno della religione islamica, la 
        maggior parte delle persone sono pacifiche. Inoltre, i terroristi non 
        hanno uno Stato di riferimento, almeno non ancora; non possiedono un 
        vero retroterra. Esistono solo cellule, sparse in vari territori. Ma qui 
        si pone un problema di lungo periodo: la crescita incontrollata della 
        popolazione ostacola ogni tentativo di migliorare lo standard di vita 
        della popolazione esistente. In queste condizioni, la crescita 
        demografica rafforza la capacità di arruolamento e proselitismo da parte 
        delle frange estremiste, minoritarie in termini relativi, ma cospicue in 
        numero assoluto.
 L’esito dello scontro tra moderati ed estremisti dipende in larga misura 
        dalla politica dell’occidente. L’appoggio dell’occidente all’Islam 
        moderato è cruciale. Si consideri, per esempio, il caso dell’ingresso 
        della Turchia nell’Ue. Esiste un’influente settore dell’opinione 
        pubblica decisamente contrario. Ma credo che sostenere l’Islam moderato 
        richieda un approccio favorevole alla Turchia in Europa. L’Unione deve 
        essere pronta a sostenere i costi di questa adesione e accettare certi 
        sacrifici temporanei per assicurare un aumento degli standard di vita di 
        quella popolazione.
 
 Ma lei crede alla possibilità di esportare la 
        democrazia in Medio Oriente?
 
 Fondamentalmente sì. Solo che ritengo che l’istituzione di un sistema 
        democratico – penso alla Turchia ma anche a Taiwan, alla Corea del Sud, 
        a Singapore – debba essere preceduta da un periodo abbastanza lungo di 
        quello che definirei “autoritarismo paternalistico”. Un periodo in cui 
        si assiste all’affermazione di un sistema autoritario, che stabilisca 
        come punto prioritario della propria agenda politica un certo tipo di 
        sviluppo e modernizzazione. Nel caso cinese il regime autoritario si è 
        impegnato su due fronti: lo sviluppo economico e una forte politica di 
        controllo demografico mirata alla crescita zero. Questo tipo di regime 
        costituisce, a mio avviso, una fase di transizione necessaria. Pensare 
        che dopo un regime come quello di Saddam Hussein si possa subito 
        arrivare alla democrazia non solo non è verosimile ma contraddice tutta 
        l’esperienza storica. Ci vuole un regime che punti su mete raggiungibili 
        e che contrasti vari tipi di ideologismi che rappresentano un pericolo 
        mortale per tutti. In un certo senso anche lo sviluppo russo va in 
        questa direzione. Nell’ultimo periodo, con Putin, si osserva un nuovo 
        rafforzamento dei tratti autoritari dello Stato. L’esperienza dimostra 
        che ci vuole un grande rafforzamento dello Stato per costruire le 
        infrastrutture del mercato. Il mercato non attecchisce da solo, è 
        un’organizzazione molto complessa e il passaggio da un sistema di tipo 
        sovietico ad uno di tipo liberal-democratico richiede tempo, un 
        cambiamento generazionale e la costruzione delle strutture del mercato e 
        di un sistema pluripartitico. La democrazia elettorale da sola non 
        garantisce questi risultati.
 
 Oriana Fallaci, ha definito il fondamentalismo 
        islamico una forma di “totalitarismo teocratico”. Lo condivide?
 
 Non ho ancora letto il libro, e non posso giudicare il contesto entro 
        cui la Fallaci utilizza tale espressione. Ma il problema del 
        totalitarismo teocratico non è una novità. Gli studiosi del sistema 
        sovietico hanno spesso paragonato il partito comunista sovietico, il 
        partito-Stato, a una Chiesa senza Dio. I totalitarismi del Novecento 
        hanno sempre cercato di combinare tecnologia d’avanguardia con una forma 
        di organizzazione del lavoro e di vita pre-industriali, conseguendo 
        grandi successi tecnologici nel campo bellico, ma reintroducendo la 
        schiavitù nel mondo contemporaneo. Alcuni regimi del mondo islamico, 
        come quelli di Saddam e Gheddafi in certi periodi, miravano agli stessi 
        obiettivi.
 
 31 maggio 2004
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