Addio, Presidente
di Andrea Mancia
"Ronald Reagan ha ottenuto il rispetto dell'America grazie alla sua
grandezza, ma si è guadagnato l'amore degli americani con la bontà.
Aveva la fiducia in se stesso che viene dalle proprie convinzioni, la
forza che viene dal carattere, la grazia che viene dall'umiltà e
l'umorismo che viene dalla saggezza. Ha lasciato dietro di sé una
nazione che ha contribuito a risanare e un mondo che ha aiutato a
salvare". Con queste parole, George W. Bush ha ricordato la figura di
Ronald Reagan, 40° presidente degli Stati Uniti d'America, scomparso
ieri all'età di 93 anni dopo un decennio di malattia.
Salutato in
Europa, dopo la sua elezione del 1980, come l'ultima e più aberrante
degenerazione di un sistema politico ormai in crisi irreversibile,
Reagan è sopravvissuto - almeno politicamente - a tutti i suoi
detrattori, conquistandosi un posto di assoluto rilievo nella storia del
Novecento. Con un'aggressiva politica di difesa, lontana anni luce dalla
molle e pigra filosofia di appeasement del suo predecessore Jimmy
Carter, l'America di Reagan riuscì a mettere a nudo la fragilità
economica e militare dell'Unione Sovietica, ponendo le basi per la
vittoria della Guerra Fredda, per il crollo rovinoso del comunismo
internazionale (Afghanistan, Angola, Nicaragua) e per la restituzione
della libertà alle nazioni dell'est europeo. Con l'aiuto dei Chicago
Boys di Milton Friedman, Reagan cambiò per sempre l'approccio alla
politica economica dell'Occidente, dando vita - insieme a Margaret
Thatcher - ad una "rivoluzione liberista" che non a caso molti hanno
chiamato Reaganomics.
I suoi
successi in politica estera ed interna, uniti ad una straordinaria
abilità retorica, gli hanno garantito un secondo mandato presidenziale
nel 1984, con una vittoria elettorale larghissima in cui il suo
avversario, Walter Mondale, riuscì a conquistare un solo stato (il
Minnesota) su 50. Anno dopo anno, discorso dopo discorso, battuta dopo
battuta, il Grande Comunicatore è riuscito a conquistare il cuore degli
americani, compresi molti fedelissimi democratici (i Reagan's Democrat),
fino ad essere universalmente riconosciuto come uno dei più grandi
presidenti della storia statunitense.
"Come la
prima metà del ventesimo secolo è di solito descritta come l'Era di
Roosevelt, io penso che la seconda metà del secolo sarà chiamata l'Era
di Reagan" - ha scritto ieri lo studioso conservatore
Lee Edwards su National Review Online.
"Proprio come Franklin D. Roosevelt aveva condotto l'America fuori da
una grande depressione economica, Reagan è riuscito a risollevare un
paese traumatizzato dalla morte violenta di John F. Kennedy e Martin
Luther King, dalla guerra in Vietnam e dalla presidenza di Jimmy
Carter". "Reagan - conclude Edwards - ha usato gli stessi strumenti
politici di Roosevelt e la stessa retorica leggera ed ottimista. Ma
sebbene Roosevelt e Reagan si siano entrambi appellati al meglio
dell'America, c'è stata una grande differenza filosofica tra i due
presidenti: Roosevelt si è rivolto al governo per la risoluzione dei
problemi, mentre Reagan si è rivolto al popolo americano". Il popolo
americano non ha dimenticato e non dimenticherà il suo presidente. Ma
anche al di qua dell'Atlantico qualcuno, oggi, non è riuscito a
trattenere una lacrima.
6 giugno 2004
mancia@ideazione.com
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