| L'Era di Ronald Reagan di Alberto Mingardi
 da Ideazione.com del 7 giugno 2002
 
 Neppure l'11 settembre è riuscito a farci rivalutare Ronald Reagan. 
        L'orgia di bandiere a stelle-e-strisce, il "siamo tutti americani", 
        l'ai-do-spik-inglisc d'ordinanza s'ispirano al JFK tirato a lucido dalla 
        più sfrenata apologetica hollywoodiana, agli sbrodolamenti retorici di 
        Franklin Delano Roosevelt, all'umanità circoncisa di Bill Clinton. 
        Persino al new world order di George Bush. Ma per Reagan non c'è posto 
        nel tempietto dei nuovi eroi americani, l'intellettuale organico snobba 
        il reaganismo come l'episodio più increscioso di un decennio da 
        dimenticare - quegli anni Ottanta così indigesti, così rozzi, così 
        "commerciali". Ecco perché questo libro di Steven Hayward, appena uscito 
        negli States ed accolto favorevolmente dal grosso della critica, risulta 
        tanto prezioso. Hayward azzarda una sintesi, parziale certo, eppure 
        efficace, dell' "educazione di un leader", se vogliamo chiamarla così. 
        Sono i sedici anni (1964-1980) che separano i due momenti più alti della 
        carriera di Reagan. Nel 1964, la candidatura di Barry Goldwater si arena 
        sugli scogli del conformismo. Gli volta le spalle metà del suo partito, 
        e l'intellighenzia della East Coast ha gioco facile nel farlo a pezzi 
        come una bambolina voodoo. Fioccano gli insulti: "fascista" è il più 
        gentile. Sicuri della sconfitta, i dirigenti del Grand Old Party cercano 
        di salvare la faccia, e organizzano una maratona televisiva per 
        raccogliere i fondi necessari per chiudere la campagna elettorale "in 
        pari", evitando se non altro la bancarotta. Sul piccolo schermo appare 
        Reagan, e pronuncia un discorso storico, The Speech lo chiameranno poi, 
        dove riassume e sviluppa gli argomenti di Goldwater.
 
 E' un piccolo trionfo. Reagan sarà, poi, governatore della California, 
        affronterà, perdendole, le primarie del dopo-Nixon, fino a conquistare, 
        gaffes dopo gaffes, la nomination presidenziale e poi la Casa Bianca nel 
        1980. Al Reagan gaffeur Hayward dedica una certa attenzione: e risulta 
        evidente, dalla sua ricostruzione minuziosa, come più che di "papere" si 
        trattasse semplicemente di affermazioni che l'élite intellettuale non 
        poteva digerire. Ad esempio: nel 1979, in piena campagna elettorale, 
        Reagan se ne uscì paragonando il New Deal al fascismo. Uno scivolone 
        secondo i media di mezzo mondo - non però per l'ex governatore della 
        California, che anziché rimangiarsi prudentemente quanto aveva detto, si 
        soffermò sul concetto. Reminiscenza, senz'altro, della lettura de La via 
        della schiavitù di Hayek - ma non solo. Hayward curiosamente non lo 
        ricorda in queste sue pagine appassionanti, ma Reagan nei primi anni 
        Settanta venne ingaggiato per fare lo "speaker" di una serie di 
        trasmissioni radiofoniche, finanziate da un'associazione di imprenditori 
        con l'obiettivo di ingaggiare un duello in onde medie contro i soliti 
        critici dell'economia di mercato. Il bollettino si basava, perlopiù, 
        sulla lettura di testi pubblicati dalla Foundation for Economic 
        Education, decana fra i think-tank statunitensi: editore di Henry 
        Hazlitt, Ludwig von Mises e soprattutto di Frédéric Bastiat.
 
 Ci sono buone ragioni per ritenere che (malgrado Hayward documenti un 
        suo costante interesse per la pubblicistica conservatrice e libertaria), 
        Reagan dovesse le proprie convinzioni in gran parte alle lettura di 
        Frédéric Bastiat (curiosamente, secondo il suo speech-writer Alfred 
        Sherman, Bastiat era anche l'autore più apprezzato da Margaret 
        Thatcher). Il filo rosso che nega la sonora sconfitta di Goldwater, e la 
        speranzosa alba del reaganismo, si riassume bene con questa illuminante 
        battuta di George Will: "non è vero che Goldwater nel 1964 perse le 
        elezioni - solo, ci sono voluti 16 anni per contare i voti". Perdente 
        sul piano politico, Goldwater aveva restituito ai repubblicani (secondo 
        l'allora giovane Bob Dole) la forza di smascherare a voce alta e chiara 
        le truffe del welfare state. Reagan sicuramente ha avuto un impatto 
        incredibile sulla retorica politica, costringendo persino i personaggi 
        più improbabili a riesumare il valore eterno della libertà. Quanto la 
        sua azione sia stata efficace a livello pratico è, purtroppo, tutt'altra 
        faccenda.
 
 6 giugno 2004
 
 Steven F. Hayward, "The Age of Reagan: the Fall of the Old Liberal 
        Order 1964 -1980", Forum, New York, 2001, pp. 848 - € 35,00
 
 
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