| Ma le idee non muoiono mai di Pierluigi Mennitti
 
 Se n’è andato come era arrivato, il vecchio Ronnie, nel silenzio di una 
        malattia lunga e terribile che lo aveva strappato ormai da molto tempo 
        alla scena pubblica e al meritato riconoscimento dei suoi cittadini. 
        Ventiquattro anni fa era arrivato alla Casa Bianca nello scetticismo dei 
        commentatori e degli avversari, che non riuscivano a capacitarsi di come 
        lui, Ronald Reagan, ex attore hollywoodiano di medio livello, avesse 
        potuto interpretare la voglia di riscatto degli americani dopo i quattro 
        anni grigi di Jimmy Carter. Arrivò, dopo una brillante esperienza come 
        governatore della California, e per i conservatori di tutto il mondo non 
        fu più la stessa storia.
 
 Reagan prese in mano un’America stanca e umiliata, economicamente alle 
        corde e diplomaticamente sepolta nelle sabbie del deserto iraniano e le 
        restituì smalto, fiducia e coraggio. Restituì l’orgoglio ai suoi 
        cittadini, dandogli una voce vibrante e un carisma mai più eguagliato. 
        Restituì vigore all’economia rilanciando i sani principi dell’America 
        dei pionieri, lassaire faire, libertà di impresa, voglia di scommettere, 
        emergere e vincere. Restituì ai Repubblicani il ruolo politico perduto, 
        facendone il partito più adatto ad interpretare la sfida con la 
        modernità. Assieme a Margaret Thatcher che propagandava lo stesso verbo 
        in Gran Bretagna segnò la vita politica degli anni Ottanta, rinnovando 
        profondamente il programma della destra e dettandole un’agenda che 
        ancora oggi, a un quarto di secolo di distanza, segna le ambizioni deei 
        partiti conservatori e liberali del mondo occidentale.
 
 Segnò anche il costume di quel decennio, imponendo una way of life 
        sganciata dalle ideologie, piena di ottimismo e di concretezza che fece 
        piazza pulita dei luoghi comuni e delle angosce del decennio 
        precedente. L’onda lunga reaganiana giunse anche in Europa sul 
        canovaccio del neo-liberismo (così ben sviluppato in Gran Bretagna dalla 
        Thatcher) e investì un’Italia ancora bloccata nelle sabbie mobili del 
        consociativismo politico, del mefitico abbraccio pauperista del 
        catto-comunismo. Fu una bella boccata d’ossigeno, finché durò, l’era 
        reaganiana, anche se in politica, qui da noi, non trovò mai un vero 
        leader o partito di riferimento.
 
 L’ultimo e più importante capolavoro fu la politica estera, la sconfitta 
        del comunismo, l’Impero del Male affrontato con tenacia e durezza nel 
        momento in cui molti puntavano sull’appeasement. “Mr. Gorbaciov, venga 
        qui e tiri giù questo muro” gridò da un palco di Berlino Ovest a pochi 
        metri dal muro che divideva l’Europa, un paio d’anni prima che quel muro 
        si sgretolasse. Grazie Presidente, ora che la malattia lo ha finalmente 
        lasciato, riposi in pace. Toccherà a noi portare ancora avanti le sue 
        idee per un mondo migliore.
 
 6 giugno 2004
 
        
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