| L'occasione di George W. Bush di Andrea Mancia
 
 Secondo
		
		Mark Steyn, commentatore del Daily 
		Telegraph, George W. Bush è un abilissimo giocatore di poker. Quello 
		vero. La fonte del giornalista britannico è un ex compagno di università 
		del presidente alla Harvard Business School, che ricorda come il giovane 
		Bush riuscisse con maestria a "costringere gli avversari a puntare forte 
		sulle mani perdenti". Un po' quello che è successo a John F. Kerry 
		durante la convention democratica, quando l'ex senatore del 
		Massachusetts, invece di incalzare il presidente in carica sui suoi 
		presunti punti deboli (il dopoguerra in Iraq, i dati contrastanti sulla 
		crescita economica), ha giocato tutte le proprie carte (e sprecato molte 
		ore di prime-time sui network nazionali) con una imbarazzante 
		ricostruzione hollywoodiana dei quattro mesi da lui trascorsi a 
		pattugliare il delta del Mekong a bordo di una swift-boat. Per poi 
		rimanere incomprensibilmente spiazzato quando un gruppo di veterani del 
		Vietnam, ancora imbufaliti per il suo "voltafaccia" pacifista al rientro 
		in patria, hanno sollevato dubbi - alcuni molto documentati - sulla 
		integerrima carriera militare di questo eroe di guerra amico di
		
		Jane Fonda e Mark Lane.
 
		Invece di 
		sfruttare l'effetto-convention per far finalmente decollare la propria 
		candidatura alla Casa Bianca, Kerry è iniziato a scendere nei 
		sondaggi, dopo essere stato a lungo in testa seppure con un margine 
		esiguo. Per il
		
		Rasmussen Report, che analizza giorno 
		per giorno il testa a testa elettorale, questa appena trascorsa è stata 
		la peggiore settimana per Kerry dall'inizio di aprile. Dopo 60 milioni 
		di dollari spesi in spot televisivi dalla sinistra radicale per accusare 
		Bush di genocidio paragonandolo a Hitler, è bastato un libro contro 
		Kerry - "Unfit 
		for Command" - per provocare uno spostamento considerevole di 
		consensi (virtuali) registrato dai sondaggisti di
		
		Los Angeles Times,
		
		Wall Street Journal,
		
		Gallup e
		
		Time. Senza contare il sorpasso 
		effettuato da Bush negli stati-chiave di Ohio, Pennsylvania, Wisconsin e 
		Florida.  Nella 
		convention repubblicana del Madison Square Garden di New York, il 
		presidente ha 
		l'occasione di consolidare questo ancora minimo vantaggio, per 
		affrontare l'autunno caldo della campagna elettorale in una posizione di 
		forza. La line-up degli interventi che saranno trasmessi dalle maggiori 
		reti televisive sembra (ed è) costruita per portare dalla 
		parte di Bush quel piccolo numero di indecisi che fino ad oggi 
		non si sono fatti travolgere dall'estrema polarizzazione del quadro 
		politico statunitense. Secondo l'ultimo sondaggio di Zogby International, 
		un pollster filo-democratico che certo non può essere accusato di far parte della "right-wing 
		conspiracy" invocata da Hillary Clinton nei giorni del procedimento di 
		impeachment che ha segnato la presidenza del suo focoso marito, questa 
		categoria in via d'estinzione nella politica a stelle e strisce non è 
		affatto soddisfatta della presidenza Bush. Eppure lo preferisce a Kerry 
		con una maggioranza schiacciante (35 per cento contro 10).  Tocca ora 
		a George W. e ai repubblicani, per completare l'opera, dimostrare che il 
		GOP non è soltanto l'alfiere della destra religiosa e delle comunità 
		rurali conservatrici, ma anche il partito di John McCain, Rudolph 
		Giuliani e Arnold Schwarzenegger. E che Bush è in grado di attirare il 
		consenso di quella minoranza di moderati democratici che non hanno 
		portato il cervello all'ammasso nella fiera ABB (Anybody But Bush) 
		orchestrata per conto di Kerry da clown come Michael Moore ed 
		ex-speculatori malvagi (prima di finanziare la sinistra con decine di 
		milioni di dollari) come George Soros. L'endorsement del senatore 
		democratico della Georgia, Zell Miller, e dell'ex sindaco democratico di 
		New York, Ed Koch, sembra una buon passo in avanti nel rafforzamento di 
		questa strategia. 
 31 agosto 2004
 
 mancia@ideazione.com
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