| Combattere per fermare i tagliatori di teste di Alessandro Bezzi
 
 Le ore di angoscia per la sorte delle due volontarie italiane rapite a 
        Baghdad sparite nel cono scuro di un inedito terrorismo mediatico. 
        Quelle per i due dipendenti iracheni dell’organizzazione “Un ponte per” 
        colpevoli di lavorare per una struttura occidentale (per quanto 
        pacifista). I due ostaggi americani decapitati a distanza di 
        ventiquattr’ore. L’ostaggio inglese con un tremendo destino ormai 
        segnato. I due giornalisti francesi, veterani dei reportage dal Medio 
        Oriente, per liberare i quali la diplomazia transalpina ha tentato ogni 
        via, compresa quella dell’umiliazione delle proprie istituzioni che 
        hanno incassato senza batter ciglio (e purtroppo sinora senza risultati) 
        la solidarietà delle peggiori organizzazioni terroristiche palestinesi. 
        Altri ostaggi sono nelle mani di questa rete del terrore che ha radunato 
        nel famigerato triangolo sunnita Falluja-Ramadi-Samarra la propria 
        roccaforte. Sfugge ormai al controllo il numero di iracheni e stranieri 
        privati della libertà o uccisi e la tendenza a dividerli in ostaggi 
        buoni e ostaggi cattivi appare priva, oltre che di buonsenso, di una 
        qualche utilità.
 
 La pratica dello sgozzamento ripugna le coscienze del mondo civile sopra 
        ogni cosa. Siti internet rimandano le immagini dei macellai, divenute 
        ormai il mezzo di propaganda preferito dai terroristi, nell’atto di 
        togliere la vita ai loro detenuti come fecero le orde musulmane di Ahmed 
        Pascià, quando nel 1480 invasero la cittadina pugliese di 
        Otranto martirizzando ottocento cittadini che rifiutarono di 
        convertirsi. Oggi, nell’Iraq martoriato dai “resistenti” di Al Zarqawi, 
        gli ostaggi implorano e piangono, senza commuovere i loro carcerieri. La 
        lama del Medioevo islamista si abbatte inesorabile contro di loro.
 
 Che fare, dunque? Abbandonare il campo, come sostengono i pasdaran 
        dell’appeasement? Ripiegare sulla vecchia, realista, politica di 
        contenimento, che fruttò all’occidente liberale, democratico e 
        capitalista una vittoria in tempi lunghi contro il comunismo durante la 
        Guerra Fredda? O non sarebbe più realistico ammettere che quella 
        politica di contenimento, contro un attacco terroristico come quello 
        lanciato dalla rete di Al Qaeda fin dagli anni Novanta, ha prodotto l’11 
        settembre, cioè il più grave atto unilaterale di guerra dalla fine del 
        secondo conflitto bellico mondiale? Gli Stati Uniti devono tener duro, 
        assicurare al loro commander-in-chief una sicura rielezione e riprendere 
        con rinnovato vigore la guerra al terrorismo avviata all’indomani 
        dell’11 settembre. L’Iraq resta uno snodo cruciale in questa lunga 
        guerra e la difficile strada della democrazia in Medio Oriente - 
        preludio per la stabilizzazione e la pacificazione dell’intera area - 
        resta a tutt’oggi l’unica strategia praticabile per evitare di 
        dichiarare perduta la guerra e prepararci al peggio.
 
        
        23 settembre 2004   |