| Tutti pazzi per Erdogan. O quasi di Francesco Di Blasi
 
 L’Italia dice sì alla Turchia in Europa. Non solo il governo, ma 
        sostanzialmente tutte le forze politiche: chi con entusiasmo, chi con 
        cautela, chi con dubbi. Al dibattito organizzato dal Riformista e da 
        Quaderni radicali, giovedì 7 ottobre presso la Biblioteca della Camera, 
        i rappresentanti dei partiti hanno manifestato un consenso forse 
        inedito, almeno in questa legislatura, sui grandi temi di politica 
        internazionale che investono il nostro paese. Gennaro Malgieri di 
        Alleanza Nazionale, Giovanni Russo Spena di Rifondazione comunista, 
        Dario Rivolta di Forza Italia, Vincenzo Siniscalchi e Umberto Ranieri 
        dei Democratici di sinistra e l’eurodeputato radicale Emma Bonino hanno 
        presentato la decisione del prossimo 17 dicembre, quando il Consiglio 
        europeo si pronuncerà sull’inizio dei negoziati per l’ingresso di Ankara 
        nell’UE, come un’opportunità storica da non sprecare, sia per la Turchia 
        sia per l’Europa.
 
 Malgieri, ad esempio, ha sottolineato la straordinaria evoluzione 
        politica ed economica, negli ultimi decenni, di uno Stato musulmano 
        avviato con convinzione e impegno sulla strada della democrazia – una 
        prospettiva condivisa dagli esponenti diessini e da Rivolta, il quale ha 
        lodato la laicità ben radicata dello Stato turco, in grado di dare 
        lezioni di modernità persino a qualche paese europeo. Russo Spena, pur 
        con qualche cautela sul rispetto dei diritti dell’uomo e sui rapporti 
        con le minoranze interne (cioè, coi curdi), ha invece criticato chi 
        obietta all’ingresso della Turchia in Europa per ragioni di carattere 
        religioso-culturale: è una pessima ragione, ha sostenuto Russo Spena, 
        far prevalere ataviche diffidenze basate sulla presunta incompatibilità 
        tra cristiani e musulmani, quando la sfida della democrazia è proprio di 
        far coesistere in pace religione e gruppi etnici diversi. Il pragmatismo 
        ha ispirato gli interventi di Antonio Polito (il direttore del 
        Riformista), di Giuseppe Rippa (il direttore di Quaderni radicali) e di 
        Emma Bonino: che hanno individuato nel potenziale economico della 
        Turchia (forza lavoro a buon mercato e trasporto di petrolio e gas 
        naturale in Eropa), nel dialogo con l’Islam moderato, nella possibilità 
        di dinamizzare ulteriormente il processo di integrazione europea, 
        nell’avvicinamento anche geografico al Medio Oriente tante buone ragioni 
        per entusiasmarsi della nuova avventura di un’Europa costruttrice di 
        stabilità e di prosperità.
 
 Ottime ragioni che rendono più deboli le obiezioni dell’unica voce 
        controcorrente della serata, quella del leghista Edouard Ballan, che ha 
        espresso dubbi di natura giuridica (sempre i diritti umani e i curdi, 
        oltre all’occupazione di Cipro) ed economica (l’arretratezza strutturale 
        della Turchia nei confronti del resto d’Europa), oltre a obiezioni di 
        carattere geografico (in Europa, la Turchia possiede solo uno spicchio 
        di territorio), culturale e religioso. In realtà, però, già l’Impero 
        ottomano ha fatto parte del continente europeo: geograficamente, 
        politicamente (l’Impero ottomano partecipò al Concerto delle grandi 
        potenze europee dal 1856) e culturalmente. La scelta modernista e 
        laicista della nuova Turchia nel 1924 è stata una scelta europea. Di 
        certo non è un caso se quasi tutti i giovani turchi sono nati e sono 
        stati formati nella porzione europea dell’Impero e se il movimento è 
        nato a Salonicco – come il loro leader e poi padre della patria e di 
        tutti i turchi, Ataturk.
 
        
        11 ottobre 2004   |