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        Italians do it better in Bostondi Alessandro Gisotti
 
 Qual è la città in cui i tre massimi rappresentanti istituzionali si 
        chiamano Menino, Travaglini e Di Masi? Isernia? No. Salerno? Neppure. Si 
        trovano a Boston, dove dalla settimana scorsa il primo cittadino ed i 
        presidenti di Senato e Parlamento del Massachusetts (Stato di cui Boston 
        è capitale) sono italo-americani. Rispettivamente, Thomas Menino, Robert 
        Travaglini e Salvatore Di Masi. Proprio quest’ultimo ha conquistato, nei 
        giorni scorsi, la carica di House speaker (presidente del parlamento 
        statale), completando lo storico trio. Dunque, nello “Stato degli 
        irlandesi”, nella terra dei Kennedy, degli O’Neill dove il quadrifoglio 
        d’Irlanda campeggia ancora sulla divisa della squadra di basket, i 
        “Boston Celtics”, dove, insomma, il giorno di San Patrizio conta più di 
        quello del Ringraziamento, ora comandano gli italiani. Per comprendere 
        il significato profondo dell’avvenimento, basti questo: in 224 anni di 
        storia del Massachusetts è la prima volta che due italo-americani 
        siedono sugli scranni più alti dello Stato che ha dato i natali a JFK.
 
 Se poi si aggiunge che il revisore dei conti risponde al nome di Joe De 
        Nucci ce n’è abbastanza per parlare di rivincita italiana nella 
        “gaelica” Boston. E proprio in questi termini si esprime De Nucci, che 
        ha ricordato i tempi in cui gli irlandesi erano “agevolati dal fatto di 
        essere arrivati prima e di conoscere la lingua, mentre gli italiani 
        erano discriminati e trattati come gangster”. Euforica la reazione di 
        Johnny Cammarata, barbiere del quartiere North End, che all’Associated 
        Press ha dichiarato: “Gli irlandesi hanno avuto la loro epoca d’oro, ora 
        tocca a noi. Abbiamo Menino, Travaglini e ora Di Masi. Che altro 
        possiamo desiderare?”. D’altro canto, a North End - distretto tricolore, 
        dove si può sorseggiare un caffè veramente degno di tal nome – sono in 
        molti a festeggiare. Tanto che, da quelle parti, nei supermarket si 
        vendono cartelli con su scritto: “Parkings for Italians Only” 
        (parcheggio autorizzato solo agli italiani).
 
 “Per Di Masi e gli altri, è tempo di festeggiare”, ha scritto il Boston 
        Globe in un servizio firmato - neanche a dirlo - dall’italo-americana 
        Elise Castelli. “Non è una coincidenza che gli italiani eccellano in 
        politica; noi – ha spiegato soddisfatto al Globe il parlamentare Robert 
        De Leo – abbiamo un senso del dovere che ci deriva direttamente dal 
        nostro senso di comunità”. Gli ha fatto eco Dino Garvani della Società 
        Dante Alighieri di Medford, alla periferia di Boston: “Penso che la 
        generazione dei Di Masi, De Nucci e Travaglini stia facendo cambiare la 
        percezione che negli Stati Uniti si ha degli italiani. Se sono arrivati 
        lì è perché se lo sono meritato”. E gli irlandesi come hanno reagito? 
        Non bene. Anche perché il candidato democratico alla Casa Bianca, John 
        F. Kerry, è sì un bostoniano Doc, ma non ha tracce di sangue irlandese 
        nelle vene. Tuttavia, c’è chi l’ha presa con filosofia. E’ il caso di 
        John J. Somers, titolare del pub Green Dragon Irish: “Molti italiani – 
        ha fatto notare – hanno sposato donne irlandesi. Anche per questo, 
        abbiamo ancora molta influenza”.
 
        
        19 ottobre 2004
 gisotti@iol.it
 
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