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        Quindici anni dopo. Berlino ai tempi del Murodi Pierluigi Mennitti
 
 Quando nella notte fra il 12 e il 13 agosto 1961 la settantasettenne 
        Frieda Schultze sentì uno scalpiccìo di scarponi militari salire dal 
        marciapiede sotto la finestra della sua casa, al numero 7 della Bernauer 
        Strasse a Berlino Est, non pensò neppure per un secondo di alzarsi dal 
        letto e affacciarsi incuriosita. Affondò la testa nel cuscino, in modo 
        da attutire il fastidioso rumore, e provò a riprender sonno. Pochi 
        giorni dopo, Frau Frieda Schultze pendeva dalla finestra del suo 
        appartamento al secondo piano, drammaticamente aggrappata al cornicione, 
        ancora incerta se lanciarsi nel vuoto per essere raccolta dal telone di 
        sicurezza che i vigili del fuoco di Berlino Ovest le avevano teso di 
        sotto o rinunciare a tutto e tentare, con il peso dei suoi settantasette 
        anni, di riguadagnare il solido pavimento della sua casa.
 
 Il vecchio stabile nel quale abitava, sopravvissuto miracolosamente ai 
        bombardamenti della seconda guerra mondiale, correva proprio lungo la 
        linea di confine tra Est e Ovest. Gli appartamenti si trovavano ad Est, 
        la strada sottostante ad Ovest. Ma il nuovo confine murario, che da 
        qualche giorno divideva la città, si era intrufolato anche nelle sue 
        stanze, facendo di questo palazzo una vera e propria prigione: il 
        portone era stato sigillato e poliziotti e operai avevano iniziato a 
        murare le finestre del piano inferiore. Presto gli inquilini rimasti 
        sarebbero stati evacuati. Non c'era più tempo da perdere. Ma fu 
        l'irruzione dei Vopos nel suo salotto, accompagnata dal plateale lancio 
        di un lacrimogeno, a mettere fine a quell'indugio che da una decina di 
        minuti teneva con il fiato sospeso la piccola folla di berlinesi 
        occidentali radunatasi nel frattempo nella Bernauer Strasse. Frau Frieda 
        chiuse gli occhi, mollò il cornicione e svenne. Si risvegliò dopo 
        qualche minuto, alcuni metri più sotto, ancora avvolta nel telone dei 
        pompieri, finalmente nel settore occidentale della sua Berlino.
 
 La decisione delle autorità sovietiche di bloccare tutti gli accessi tra 
        le due Berlino e addirittura di cingere i settori occidentali con un 
        muro che fisicamente impedisse qualsiasi contatto (e qualsiasi fuga), 
        non giunse del tutto inaspettata. Furono i tempi e le modalità a 
        cogliere di sorpresa i comandi occidentali. Se fin dal 1958 i servizi 
        segreti americani avevano intercettato istruzioni per la costruzione di 
        un muro tra le due Berlino, denominata in codice "Muraglia cinese", un 
        comunicato dell'Ufficio statale per la protezione della Costituzione di 
        Berlino Ovest assicurava, il venerdì 11 agosto 1961 (qualche ora prima 
        del via all'operazione "Muraglia cinese"), che "secondo informazioni 
        disponibili nessun evento inusuale" era atteso per il successivo 
        week-end.
 
 I Flüchtlinge della Ddr
 
 In realtà la situazione nella Ddr, la Repubblica democratica tedesca, si 
        era andata aggravando di anno in anno e, nell'ultimo lustro, le fughe di 
        cittadini, spaventati dalle riforme economiche stataliste imposte dalla 
        dirigenza comunista e dalle continue restrizioni alle libertà e ai 
        diritti civili, si andavano moltiplicando mettendo in forse la 
        legittimità e l'esistenza stessa del fragile Stato nato all'ombra di 
        Mosca. Si trattava di un esodo massiccio, qualitativamente devastante, 
        che coinvolgeva soprattutto giovani, medici, laureati, quadri dirigenti, 
        tecnici, commercianti, professori universitari: insomma, ad un tempo 
        l'élite e il futuro del paese. Berlino, grazie al suo particolare status 
        giuridico, era rimasta l'unica via di fuga da quando, nel 1952, le 
        autorità orientali decisero la progressiva chiusura delle vie di 
        transito tra i due Stati tedeschi e l'interruzione delle linee 
        telefoniche tra le due Berlino, in seguito alla firma di Stati Uniti, 
        Gran Bretagna e Francia a Bonn del Deutschlandvertrag, il trattato che 
        restituiva alla Repubblica federale tedesca una sovranità quasi piena.
 
 E lungi dall'arrestarsi, la marea dei profughi aveva preso ad aumentare 
        alla media di 250 mila persone all'anno. Anzi, dopo le riforme 
        collettivistiche dell'economia varate nel 1959, i Flüchtlinge (come 
        venivano chiamati i fuggitivi) avevano ripreso a crescere, costringendo 
        la Ddr a varare nuove misure restrittive nella concessione dei visti e 
        dei permessi temporanei. Nulla sembrava fermare questa marea 
        inarrestabile e, ad ogni nuovo segnale di crisi o di inasprimento dei 
        controlli nella Germania orientale, il flusso cresceva. Nei primi mesi 
        del 1961 l'esodo raggiunse livelli impressionanti: 16.697 a gennaio, 
        13.576 a febbraio, 16.094 a marzo, 19.803 ad aprile, 17.791 a maggio, 
        19.198 a giugno, 30.415 a luglio. Centotrentamila persone in soli sei 
        mesi e il ritmo era destinato a crescere ancora. Di questi, la metà era 
        costituita da giovani sotto i venticinque anni. Quasi tutti, ormai, 
        fuggivano attraverso i valichi di passaggio dell'ex capitale.
 
 La divisione della città simbolo
 
 Nei primi mesi dell'anno la tensione a Berlino era tornata ai massimi 
        livelli. Per molti versi sembrava di rivivere i drammatici giorni del 
        giugno 1948, quelli del primo blocco sovietico, superato dall'epopea del 
        ponte aereo organizzato dagli americani e dai britannici, che per un 
        anno trasportarono ogni giorno, a bordo dei C-47, circa 6.400 tonnellate 
        di materiale all'aeroporto di Tempelhof. O quelli del giugno 1953, 
        quando la rivolta operaia contro il regime comunista di Berlino Est 
        venne repressa nel sangue dall'intervento dei carri armati sovietici. Si 
        tornava a respirare l'aria dei momenti più duri, nei quali il confronto 
        tra gli ex alleati - americani, britannici e francesi da un lato e 
        sovietici dall'altro - si concentrava ancora una volta su questa città 
        da sempre simbolo di qualcosa. Prima del militarismo prussiano degli 
        Hohenzollern, poi dell’eccentricità weimariana, quindi dell'incubo 
        nazista, infine, ridotta ad un cumulo di macerie morali e 
        architettoniche, simbolo della guerra fredda.
 
 Da quando nel 1945 i tre Grandi (Roosevelt, Churchill e Stalin) 
        stabilirono a Yalta la divisione della Germania e quella di Berlino in 
        tre zone di influenza (che diventeranno poi quattro, con l'inclusione 
        della Francia tra le potenze vincitrici) la storia dell'ex capitale 
        tedesca percorrerà binari del tutto nuovi. Divisa in quattro settori e 
        retta nei mesi immediatamente seguenti alla capitolazione del Terzo 
        Reich da una Kommandatura quadripartita, Berlino sconterà molto presto 
        l'incrinarsi dei rapporti tra gli Alleati, la successiva rottura tra 
        sovietici e occidentali e la sua nuova e speciale collocazione 
        geografica all'interno della zona di occupazione sovietica che diventerà 
        la Ddr, la Repubblica democratica tedesca. Coordinate geografiche che è 
        necessario rammentare per inserire la storia del Muro nel contesto degli 
        equilibri internazionali postbellici e della guerra fredda che, di lì a 
        qualche anno, si dispiegherà in tutta la sua virulenza.
 
 Come si arrivò alla decisione del muro
 
 Il muro, dunque, fu solo lo sbocco finale di un confronto tra due mondi, 
        due sistemi di vita, due ideologie e fu la reazione di una parte, quella 
        comunista, alla capacità di attrazione e di fascino che l'altra metà del 
        mondo, quella liberale, democratica e capitalista riuscì ad esercitare 
        fin dai primi anni del dopoguerra.
 
 Anno difficile il 1961. Il confronto con l'Occidente, la fuga dei 
        cittadini dalla Ddr, gli equilibri fragili di un sistema - quello delle 
        democrazie popolari dell’Europa orientale cementificatosi militarmente 
        nel Patto di Varsavia ed economicamente nel Comecom - che aveva da poco 
        superato il trauma della rivolta di Budapest e che tentava con fatica di 
        impostare solidi sistemi economici, sociali e politici in grado di 
        reggere la competizione con il mondo capitalista. Nel mese di marzo, il 
        presidente del Consiglio di Stato della Ddr (l’equivalente del 
        presidente della Repubblica), Walter Ulbricht, avanzò la proposta di 
        costruire una grande barriera di filo spinato lungo il confine delle due 
        Berlino. Il veto di Krusciov bloccò temporaneamente questa iniziativa.
 
 Ma la dirigenza tedesco-orientale aveva già delineato tre ipotesi di 
        intervento per bloccare l'emorragia di popolazione e riprendere il 
        controllo della situazione interna: la chiusura dei corridoi aerei 
        utilizzati dagli Alleati occidentali, la costruzione di un muro, 
        l'isolamento dell'intera Berlino dal resto della Ddr. L'ipotesi di una 
        barriera fisica fra le due parti dell'ex capitale cominciò a serpeggiare 
        nell'opinione pubblica. Il 15 giugno, durante una conferenza stampa 
        internazionale a Lipsia, la corrispondente della Frankfurter Rundschau 
        chiese ad Ulbricht se la posizione sovietica su Berlino comportasse la 
        fissazione di un confine di Stato alla Porta di Brandeburgo. La 
        risposta, rimasta famosa, fu: "Nessuno ha intenzione di costruire un 
        muro". Non dovette essere troppo convincente, se nei giorni successivi 
        alla conferenza di Lipsia il flusso dei profughi subì un'ulteriore 
        impennata. Il 25 luglio, in risposta a un bellicoso memorandum di 
        Krusciov sulla questione di Berlino, il nuovo presidente degli Stati 
        Uniti, John Fitzgerald Kennedy, annunciò i tre punti essenziali per gli 
        americani: il diritto degli Alleati occidentali a una presenza militare 
        a Berlino Ovest, il diritto di accesso dalla Repubblica federale al 
        settore occidentale della città, il diritto degli abitanti di Berlino 
        Ovest all'autodeterminazione e alla libertà. Nessuno di questi tre punti 
        "essenziali" servirà da deterrente alla costruzione del Muro perché 
        nessuno di essi sarà messo in discussione.
 
 Il 13 agosto 1961: la notte del Muro
 
 Che qualcosa stesse per accadere era ormai nell'aria. Nei primi giorni 
        di agosto, l'esodo raggiunse punte mai prima toccate: oltre 1.600 
        persone ingrossavano quotidianamente i centri di raccolta profughi di 
        Berlino Ovest. Eppure, quando il già citato comunicato dell'ufficio 
        statale per la protezione della Costituzione giunse sui banchi del 
        Senato di Berlino Ovest nel tardo pomeriggio di venerdì 11 agosto 
        ("Nessun evento inusuale è atteso per il prossimo week-end"), tutti 
        tirarono un respiro di sollievo e si apprestarono, per il giorno 
        seguente, a invadere le spiagge sul Wansee.
 
 Nelle stesse ore, a Berlino Est, un signore che avrebbe poi segnato la 
        storia della Ddr, Erich Honecker, allora componente del Politburo e 
        segretario del Comitato centrale della Sed (il Partito socialista 
        unitario), riceveva da Walter Ulbricht il via libera all'Azione X, il 
        piano segretamente messo a punto nei giorni precedenti per la 
        costruzione di un confine permanente tra la zona orientale di Berlino e 
        quella occidentale: il Muro, ovvero il "bastione di difesa 
        antifascista".
 
 La sera del giorno successivo, sabato 12 agosto, Honecker assunse il 
        comando delle operazioni stabilendosi nel quartier generale della 
        polizia di Berlino Est, nella Keibelstrasse. Da quelle stanze, il futuro 
        leader della Ddr, affiancato da uno staff di otto persone, mosse 
        l'intera macchina operativa militare e politica. La polizia e gli uomini 
        della Nationale Volksarmee, affiancati dalle cosiddette Kampfgruppen, 
        unità paramiitari costituite da lavoratori, in sostanza l'esercito 
        privato della Sed, erano pronti a entrare in azione. Le truppe 
        sovietiche di stanza nell'ex capitale erano al massimo grado d'allerta. 
        Si attesero le prime ore di buio. Allo scoccare della mezzanotte il 
        piano entrò nella fase operativa. Uno dopo l'altro vennero bloccati i 
        treni in partenza per Berlino Ovest, quindi tutti i passaggi ferroviari 
        tra i due settori della città. Alle 0.30 carri armati e truppe 
        dell'esercito tedesco-orientale presero posizione sulla Unter den 
        Linden, la principale arteria di Berlino.
 
 All'una, quattromila uomini della prima divisione motorizzata di stanza 
        a Potsdam con 140 carri armati e 200 carri militari bloccarono tutte le 
        vie di uscita intorno al perimetro di Berlino Ovest. All'1.11 l'agenzia 
        di stampa della Ddr, l'Adn, batté il comunicato con il quale si 
        pubblicizzava una nota che i paesi del Patto di Varsavia avevano 
        indirizzato il venerdì precedente alla Camera popolare e al governo 
        della Ddr con la proposta "di stabilire alla frontiera occidentale di 
        Berlino un ordine che garantisca l'efficace controllo del territorio 
        intorno Berlino Ovest, comprese le frontiere della Berlino democratica". 
        All'1.50 giunse alle autorità di polizia tedesco-occidentali la prima 
        notizia su quanto, ormai da un paio d'ore, stava accadendo ad Est: le 
        vie di comunicazione ferroviarie della S-Bahn e della U-Bahn 
        (rispettivamente la metropolitana di superficie e quella sotterranea) 
        erano state interrotte nel settore orientale. Dalla stazione di 
        Gesundbrunnen, situata nel settore francese, giunse al quartier generale 
        della polizia di Berlino Ovest la conferma che tutti i treni erano stati 
        bloccati.
 
 Da quel momento le notizie rimbalzarono impazzite. Alle 2.30 venne 
        bloccato il passaggio attraverso la Porta di Brandeburgo. 
        Contemporaneamente, colonne militari si diressero verso la 
        Potsdamerplatz e gli altri punti di comunicazione terrestre tra le due 
        Berlino. Entrarono in azione anche i carri armati sovietici che presero 
        posizione nei punti strategici della città e nella Alexanderplatz. Alle 
        3.25 la Rias, la radio che trasmetteva dal settore americano, interruppe 
        i suoi programmi notturni per annunciare il blocco delle vie di 
        comunicazione. Alle 4.45, dei 60 varchi esistenti, ben 45 erano stati 
        chiusi: un'ora più tardi l'intera operazione fu completata. Alle 6.00, 
        in tutte le stazioni metropolitane di Berlino Est furono esposti 
        cartelli con la scritta: "Oggi nessun treno in partenza". Ai primi 
        berlinesi che si aggirarono assonnati per le vie della città si presentò 
        uno spettacolo allucinante: lungo tutto il perimetro del confine 
        cittadino era stato steso il filo spinato. Le 95 strade che collegavano 
        Berlino Est a Berlino Ovest erano state divise. A nessun abitante 
        orientale fu consentito di attraversare il confine senza un permesso. 
        Restarono aperti, ma strettamente sorvegliati dai militari, solo tredici 
        varchi. Nessun blocco venne posto al traffico tra Berlino Ovest e la 
        Repubblica federale tedesca. Nelle prime ore del mattino il quotidiano 
        occidentale Morgenpost uscì in edizione straordinaria con il titolo: 
        “Ost-Berlin ist abgeriegelt”, Berlino Est è sigillata.
 
 Il "bastione di difesa antifascista"
 
 L'evento tanto atteso e temuto si era dunque compiuto. La separazione 
        era cosa fatta. Nei giorni successivi, la barriera di filo spinato fu 
        rapidamente sostituita da un muro vero e proprio, al cui innalzamento 
        vennero impiegate brigate di lavoratori tenute sotto stretta 
        sorveglianza. Si trattava ancora di un muro modesto, quasi un muretto di 
        campagna, fatto di mattoni cementati uno sull'altro, alto appena un 
        metro e 25. Inesorabile, correva per 45 chilometri, dividendo campi e 
        strade, piazze e palazzi, fiumi e foreste. Nel corso degli anni verrà 
        fortificato e perfezionato per ben quattro volte assumendo quell'aspetto 
        spettrale che tante volte ha fatto da scenario alla letteratura e ai 
        film di spionaggio.
 
 Tutte le abitazioni che sul lato orientale confinavano con la nuova 
        costruzione saranno abbattute. Il Muro di quarta generazione, costruito 
        a partire dal 1975, sarà composto da lastre di cemento armato 
        prefabbricate alte tre metri, unite l'una all'altra e sovrastate da una 
        copertura rotonda per evitare l'arrampicamento: saranno necessarie circa 
        45mila lastre per coprire l'intero perimetro. Alle sue spalle si 
        estenderà la cosiddetta "terra di nessuno", una lunga striscia di 
        sicurezza che correva parallelamente al Muro, tagliata da una barriera 
        metallica alta dai tre ai quattro metri, intervallata da 300 torri di 
        guardia con il filo ad alta tensione. Completavano i sistemi di 
        sicurezza 22 bunker, telecamere a circuito chiuso, cani poliziotto 
        alloggiati in 232 cucce lungo i punti strategici, una trincea 
        anti-veicoli, una lunga teoria di riflettori per illuminare a giorno 
        l'intera area. Per ventotto anni avrebbe rappresentato il confine più 
        controllato e più invalicabile del mondo.
 
 L'amara realtà delle sfere d'influenza
 
 In una sola notte, dunque, furono tranciati di netto legami familiari, 
        affetti, amicizie, abitudini e interessi economici. La guerra fredda 
        raggiunse forse il suo momento più drammatico. Lo sgomento e lo sdegno, 
        a Occidente, furono enormi. L'emozione e la paura, a Berlino, 
        raggiunsero i livelli di guardia. Mentre ad Ovest manifestazioni di 
        protesta spontanee e organizzate si succedettero una dietro l'altra, a 
        Est la popolazione cadde in uno stato di frustrazione e apatia. Le 
        cronache dei giornalisti che visitarono in quei giorni Berlino Est 
        riportarono impressioni di sconforto e di terrore: un angoscioso 
        silenzio s'impadronì dell'altra metà del cielo. Lungo il nuovo confine 
        della città, laddove il Muro non aveva ancora sostituito la barriera di 
        filo spinato, si radunavano le famiglie ormai divise per un ultimo 
        saluto.
 
 Ma lentamente, a Ovest come ad Est, la popolazione toccò con mano quanto 
        le regole della guerra fredda, del mondo bipolare e delle sfere di 
        influenza pesasse sulle speranze di un rapido ricongiungimento. Tutti 
        guardavano agli Alleati occidentali, speravano in un atto di forza che 
        spazzasse via il Muro, ma nessuno, a Washington, a Londra e a Parigi 
        voleva rischiare un terzo conflitto mondiale. Quanto era accaduto a 
        Berlino, nella notte tra il 12 e il 13 agosto, riguardava in fin dei 
        conti i sovietici e un loro Stato satellite. Nessuno dei tre punti 
        essenziali di Kennedy era stato violato. Il presidente della nuova 
        frontiera poteva tranquillamente continuare a veleggiare a bordo della 
        sua barca negli Usa. Nella calcolata assenza del cancelliere Konrad 
        Adenauer, che non intendeva drammatizzare ulteriormente la situazione, 
        toccò al borgomastro Willy Brandt affrontare l'emergenza, dando voce 
        alla rabbia dei berlinesi dell'Ovest e gestendone le emozioni nel quadro 
        di un delicato equilibrio internazionale.
 
 Gli americani spedirono a Berlino, il 19 agosto, il vice-presidente 
        Lyndon Johnson e, qualche giorno più tardi, l'eroe del ponte aereo, il 
        generale Clay. Il tutto si risolse con un rafforzamento del contingente 
        militare occidentale. Solo due anni dopo, nel giugno 1963, il presidente 
        degli Stati Uniti Kennedy giunse in visita a Berlino Ovest, accompagnato 
        dal cancelliere Adenauer. Fu un trionfo. La popolazione berlinese, 
        ancora traumatizzata dagli avvenimenti, seguì numerosissima la 
        processione presidenziale tra la Porta di Brandeburgo, il Checkpoint 
        Charlie e il palazzo comunale di Schöneberg, dove Kennedy, di fronte a 
        centinaia di migliaia di persone pronunciò la famosa frase: "Ich bin ein 
        Berliner". Oltre due decenni dopo, un altro presidente americano, Ronald 
        Reagan, fece vibrare le corde dell'emozione. Era il giugno 1987, in 
        piena era gorbacioviana, in un momento foriero di grandi cambiamenti. In 
        un discorso davanti alla Porta di Brandeburgo, profeticamente Reagan si 
        rivolse al suo collega sovietico: "Presidente Gorbaciov se ami la 
        libertà, vieni qui e tira giù questo Muro”.
 
 I saltatori del Muro
 
 La storia del Muro è una storia di sentimenti, di emozioni e anche di 
        cifre non sempre concondanti. Nei ventotto anni della sua esistenza, 
        5.043 persone riuscirono a fuggire nella Berlino occidentale, spesso, 
        ricorrendo a mezzi fantasiosi e a trovate geniali; 3.221 persone 
        fallirono la fuga e furono arrestate al confine; 150 morirono nel 
        tentativo di raggiungere la libertà, in maggioranza sparate dalle 
        guardie di confine, i Vopos. Infine, 118 furono ferite da colpi di arma 
        da fuoco. Sono numeri che variano da ricerca a ricerca e molti di essi 
        rischiano di rimanere sconosciuti nella loro entità per sempre. Quelli 
        che abbiamo riportato restano, dunque, puramente indicativi.
 
 Lo scrittore tedesco Peter Schneider, in un romanzo di successo del 1982 
        pubblicato anche in Italia, Der Mauerspringer (Il saltatore del Muro), 
        racconta la storia surreale di uomini che si fanno beffa del Muro 
        saltando, ripetutamente e per i più stravaganti motivi, l'insormontabile 
        confine tra le due Berlino. Di Mauerspringer, la storia del Muro è 
        piena. Il museo Haus am Checkpoint Charlie, che si trova sulla 
        Friedrichstrasse, al confine fra i quartieri Kreuzberg e Mitte, proprio 
        nel punto in cui sorgeva il gabbiotto delle forze militari occidentali, 
        espone nelle sue sale alcuni dei mezzi utilizzati in quegli anni per 
        superare la frontiera. Mongolfiere, teleferiche improvvisate, auto con 
        doppio fondo, tunnel sotterranei, travestimenti, tutto venne 
        sperimentato nel tentativo estremo di scappare. Una voglia di Occidente 
        che non risparmiò neppure le truppe tedesco-orientali chiamate a 
        sorvegliare il filo spinato dei primi giorni.
 
 Una delle foto più famose ritrae il diciannovenne Conrad Schumann, 
        ancora in divisa e con il fucile sulle spalle, che salta la barriera di 
        ferro all'altezza della Bernauer Strasse il 15 agosto 1962, 
        approfittando di un momento di distrazione dei suoi commilitoni. La 
        cifra dei disertori oscilla tra le duemila e le 2.700 unità. Resteranno 
        nella storia il giovane austriaco che noleggiò, in un concessionario 
        della Kurfürstendamm, una spider talmente bassa da passare sotto le 
        sbarre di uno dei punti di passaggio controllati, riuscendo così a far 
        fuggire fidanzata e suocera rimaste all'Est. I contorsionisti che 
        riuscirono a comprimersi nei bagagliai della Bmw Isetta, la monoposto 
        ritenuta tanto piccola da non aver bisogno di essere perquisita. I 
        quattro finti soldati russi, con tanto di uniformi rappezzate in casa, 
        che oltrepassarono il confine salutati con rispetto dai Vopos. I 57 
        abitanti di un condominio nella Bernauer Strasse che scapparono 
        attraverso un cunicolo sotterraneo faticosamente scavato nottetempo per 
        sei mesi. I tanti che sfidarono le pallottole dei militari di confine, 
        attraversando a nuoto fiumi e canali o approfittando di buchi nella rete 
        quando ancora la fortificazione non era stata completata.
 
 Rimarrà nella storia anche il diciottenne Peter Fechter che, nel 
        tentativo di ricongiungersi alla sorella rimasta a Berlino Ovest, tentò 
        con un amico, il 17 agosto 1962, una fuga quasi impossibile. Giunti a 
        ridosso del Muro, quasi all'altezza del Checkpoint Charlie, i due 
        giovani furono rapidissimi nello scavalcare la prima barriera metallica, 
        assai abili nel correre velocemente attraverso gli altri ostacoli, ma 
        non altrettanto fortunati giunti di fronte all'ultimo ostacolo: il Muro. 
        Ventuno colpi di pistola furono sparati da due guardie di frontiera 
        accortesi della fuga e, mentre il suo amico riuscì a superare indenne 
        anche l'ultimo ostacolo, Peter Fechter crollò colpito a morte nella 
        striscia di nessuno. Crepò dissanguato, mentre i soldati americani 
        dall'altro lato osservavano impietriti e impotenti e una folla di 
        berlinesi occidentali urlava inutilmente la propria rabbia. Passò più di 
        un'ora prima che il suo corpo, ormai esanime, fosse recuperato dai 
        Vopos. Anno dopo anno, con il perfezionamento del Muro, i tentativi di 
        fuga si faranno più rari ma non spariranno mai del tutto, fino ai giorni 
        immediatamente precedenti la caduta. L'ultima vittima fu Winfried 
        Frendenberg, caduto nel marzo 1989, qualche mese prima l'inizio della 
        svolta.
 
 Tutto in una notte: il 9 novembre 1989
 
 Nei decenni successivi, dunque, il Muro divenne quasi impenetrabile. E 
        più dei tentativi di fuga poté il lavoro delle diplomazie. I 
        lasciapassare natalizi, in vigore fin dal Natale 1963 e poi prolungati 
        fino al 1966, consentirono ai berlinesi occidentali di rivedere, almeno 
        in occasione delle feste e solo per ventiquattr'ore, i propri parenti 
        dall'altra parte del Muro. Sull'onda dell' Ostpolitik, l'accordo 
        quadripartito tra Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Unione Sovietica 
        del 1971 risolse alcune questioni giuridiche legate a Berlino, regolando 
        in maniera meno restrittiva le visite degli abitanti nei due diversi 
        settori della città. Lentamente anche il Muro, considerato da André 
        Malraux "il più brutto monumento di questo secolo", entrò a far parte 
        del paesaggio, pur mantenendo forte il suo significato di simbolo 
        dell'Europa e della Germania divisa: l'anormalità di Berlino divenne in 
        un certo senso normale. La città perse, con la stabilizzazione 
        dell'equilibrio bipolare internazionale, quel ruolo di Frontstadt e di 
        epicentro di ogni crisi e quasi si assopì su se stessa dopo tanta 
        tensione.
 
 Ma la storia riprese a correre per le vie di Berlino quindici anni fa, 
        nel 1989. La sconfitta della sfida gorbacioviana di riformare il 
        comunismo, il rapido sgretolamento della solidarietà tra i paesi del 
        Patto di Varsavia, il tracollo economico e produttivo, diedero vita a 
        nuove fughe dei cittadini tedesco-orientali, questa volta attraverso le 
        ambasciate di Bonn a Praga, Budapest e Varsavia. L'apertura dei confini 
        ungheresi e cecoslovacchi, poi le manifestazioni sempre più imponenti 
        nelle maggiori città della Ddr: Lipsia, Dresda, Magdeburgo, infine 
        Berlino Est. La caduta di Eric Honecker e l'ultimo disperato tentativo 
        di salvare il regime con la presidenza di Egon Krenz.
 
 Quindi, la sera del 9 novembre. Alle 18 il portavoce della Sed, Günter 
        Schabowski, si presentò ad una conferenza stampa internazionale per 
        rendere note le decisioni del Comitato centrale del partito, prese sotto 
        la duplice pressione dei fuggitivi e delle manifestazioni di piazza. 
        Annunciò che i cittadini tedesco-orientali avrebbero potuto ottenere, in 
        attesa di una più particolareggiata disposizione di legge, i visti di 
        uscita e di soggiorno per l'estero. Interrogato sulla data di validità 
        delle nuove disposizioni dal corrispondente dell'agenzia Ansa, Riccardo 
        Ehrman, Schabowski rispose, forse facendosi prendere la mano, "ab 
        sofort”, da subito, aggiungendo che le disposizioni riguardavano tutti i 
        punti di passaggio dalla Ddr alla Bdr e dunque anche quelli tra Berlino 
        Est e Berlino Ovest. Il Muro era caduto così come era stato costruito: 
        in una notte. Un'ora dopo ai varchi controllati da guardie di frontiera 
        a corto di informazioni si presentarono migliaia di cittadini. Passarono 
        tutti dall'altra parte dando vita a quella festa di gioia irrefrenabile 
        tra gli abitanti delle due Berlino ripresa dalle televisioni di tutto il 
        mondo. Alla Porta di Brandeburgo, centinaia di giovani al massimo 
        dell'euforia, ballarono tutta la notte su quello che da qualche ora non 
        era più il Muro invalicabile.
 
 Quindici anni dopo, i turisti che percorrono le strade di Berlino alla 
        ricerca delle tracce del Muro, restano con un palmo di naso. Tutto è 
        stato smontato, ridotto a macerie, a materiale per la riparazione delle 
        autostrade, a souvenir turistici. Qualche pezzo è stato recuperato e 
        sistemato in un altro punto della città. L'onda del nuovo ha travolto il 
        confine che per ventotto anni ha segnato la vita della Berlino divisa. 
        Eppure, anche se pochi lo sanno, un luogo dove ritrovare il vecchio, 
        "caro" Muro, nella sua collocazione originale, ancora c'è. Bisogna 
        scendereo fino al Treptowkanal e salire su una delle piccole 
        imbarcazioni ormeggiate lungo i bar all'aperto che rendono più allegre 
        le serate berlinesi. Una volta a bordo, si deve remare con forza, fino a 
        quando il canale non sfocia nel fiume Sprea. Meglio farlo di notte, 
        quando il buio attutisce la frenesia cittadina e la torre televisiva di 
        Alexanderplatz si specchia nelle acque scure del fiume. Entrati nella 
        corrente della Sprea, si piega a destra e poco dopo a sinistra. Bisogna 
        fare attenzione perché il Muro è proprio lì, in mezzo all'acqua, a 
        dividere ancora in due la città come fosse una diga. Se si lega la fune 
        a un ormeggio, si può salire attraverso la scala di metallo ormai 
        arrugginita, un tempo utilizzata dai Vopos, e camminare, magari saltare 
        e ballare come quei ragazzi quindici anni fa, sul Muro in mezzo 
        all'acqua. “You are leaving the American sector, Vri vriesgaietie is 
        sovietskie sektora, You are leaving the British sector, Vous quittez le 
        secteur français”. Oggi, a Berlino, non si esce e non si entra in nessun 
        settore. E’ finita la guerra fredda ma le speranze nate in quella notte 
        sono sprofondate nelle inquietudini del nuovo millennio.
 
        
        10 novembre 2004 
        
        pmennitti@ideazione.com 
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