Quindici anni dopo. Berlino ai tempi del Muro
di Pierluigi Mennitti
Quando nella notte fra il 12 e il 13 agosto 1961 la settantasettenne
Frieda Schultze sentì uno scalpiccìo di scarponi militari salire dal
marciapiede sotto la finestra della sua casa, al numero 7 della Bernauer
Strasse a Berlino Est, non pensò neppure per un secondo di alzarsi dal
letto e affacciarsi incuriosita. Affondò la testa nel cuscino, in modo
da attutire il fastidioso rumore, e provò a riprender sonno. Pochi
giorni dopo, Frau Frieda Schultze pendeva dalla finestra del suo
appartamento al secondo piano, drammaticamente aggrappata al cornicione,
ancora incerta se lanciarsi nel vuoto per essere raccolta dal telone di
sicurezza che i vigili del fuoco di Berlino Ovest le avevano teso di
sotto o rinunciare a tutto e tentare, con il peso dei suoi settantasette
anni, di riguadagnare il solido pavimento della sua casa.
Il vecchio stabile nel quale abitava, sopravvissuto miracolosamente ai
bombardamenti della seconda guerra mondiale, correva proprio lungo la
linea di confine tra Est e Ovest. Gli appartamenti si trovavano ad Est,
la strada sottostante ad Ovest. Ma il nuovo confine murario, che da
qualche giorno divideva la città, si era intrufolato anche nelle sue
stanze, facendo di questo palazzo una vera e propria prigione: il
portone era stato sigillato e poliziotti e operai avevano iniziato a
murare le finestre del piano inferiore. Presto gli inquilini rimasti
sarebbero stati evacuati. Non c'era più tempo da perdere. Ma fu
l'irruzione dei Vopos nel suo salotto, accompagnata dal plateale lancio
di un lacrimogeno, a mettere fine a quell'indugio che da una decina di
minuti teneva con il fiato sospeso la piccola folla di berlinesi
occidentali radunatasi nel frattempo nella Bernauer Strasse. Frau Frieda
chiuse gli occhi, mollò il cornicione e svenne. Si risvegliò dopo
qualche minuto, alcuni metri più sotto, ancora avvolta nel telone dei
pompieri, finalmente nel settore occidentale della sua Berlino.
La decisione delle autorità sovietiche di bloccare tutti gli accessi tra
le due Berlino e addirittura di cingere i settori occidentali con un
muro che fisicamente impedisse qualsiasi contatto (e qualsiasi fuga),
non giunse del tutto inaspettata. Furono i tempi e le modalità a
cogliere di sorpresa i comandi occidentali. Se fin dal 1958 i servizi
segreti americani avevano intercettato istruzioni per la costruzione di
un muro tra le due Berlino, denominata in codice "Muraglia cinese", un
comunicato dell'Ufficio statale per la protezione della Costituzione di
Berlino Ovest assicurava, il venerdì 11 agosto 1961 (qualche ora prima
del via all'operazione "Muraglia cinese"), che "secondo informazioni
disponibili nessun evento inusuale" era atteso per il successivo
week-end.
I Flüchtlinge della Ddr
In realtà la situazione nella Ddr, la Repubblica democratica tedesca, si
era andata aggravando di anno in anno e, nell'ultimo lustro, le fughe di
cittadini, spaventati dalle riforme economiche stataliste imposte dalla
dirigenza comunista e dalle continue restrizioni alle libertà e ai
diritti civili, si andavano moltiplicando mettendo in forse la
legittimità e l'esistenza stessa del fragile Stato nato all'ombra di
Mosca. Si trattava di un esodo massiccio, qualitativamente devastante,
che coinvolgeva soprattutto giovani, medici, laureati, quadri dirigenti,
tecnici, commercianti, professori universitari: insomma, ad un tempo
l'élite e il futuro del paese. Berlino, grazie al suo particolare status
giuridico, era rimasta l'unica via di fuga da quando, nel 1952, le
autorità orientali decisero la progressiva chiusura delle vie di
transito tra i due Stati tedeschi e l'interruzione delle linee
telefoniche tra le due Berlino, in seguito alla firma di Stati Uniti,
Gran Bretagna e Francia a Bonn del Deutschlandvertrag, il trattato che
restituiva alla Repubblica federale tedesca una sovranità quasi piena.
E lungi dall'arrestarsi, la marea dei profughi aveva preso ad aumentare
alla media di 250 mila persone all'anno. Anzi, dopo le riforme
collettivistiche dell'economia varate nel 1959, i Flüchtlinge (come
venivano chiamati i fuggitivi) avevano ripreso a crescere, costringendo
la Ddr a varare nuove misure restrittive nella concessione dei visti e
dei permessi temporanei. Nulla sembrava fermare questa marea
inarrestabile e, ad ogni nuovo segnale di crisi o di inasprimento dei
controlli nella Germania orientale, il flusso cresceva. Nei primi mesi
del 1961 l'esodo raggiunse livelli impressionanti: 16.697 a gennaio,
13.576 a febbraio, 16.094 a marzo, 19.803 ad aprile, 17.791 a maggio,
19.198 a giugno, 30.415 a luglio. Centotrentamila persone in soli sei
mesi e il ritmo era destinato a crescere ancora. Di questi, la metà era
costituita da giovani sotto i venticinque anni. Quasi tutti, ormai,
fuggivano attraverso i valichi di passaggio dell'ex capitale.
La divisione della città simbolo
Nei primi mesi dell'anno la tensione a Berlino era tornata ai massimi
livelli. Per molti versi sembrava di rivivere i drammatici giorni del
giugno 1948, quelli del primo blocco sovietico, superato dall'epopea del
ponte aereo organizzato dagli americani e dai britannici, che per un
anno trasportarono ogni giorno, a bordo dei C-47, circa 6.400 tonnellate
di materiale all'aeroporto di Tempelhof. O quelli del giugno 1953,
quando la rivolta operaia contro il regime comunista di Berlino Est
venne repressa nel sangue dall'intervento dei carri armati sovietici. Si
tornava a respirare l'aria dei momenti più duri, nei quali il confronto
tra gli ex alleati - americani, britannici e francesi da un lato e
sovietici dall'altro - si concentrava ancora una volta su questa città
da sempre simbolo di qualcosa. Prima del militarismo prussiano degli
Hohenzollern, poi dell’eccentricità weimariana, quindi dell'incubo
nazista, infine, ridotta ad un cumulo di macerie morali e
architettoniche, simbolo della guerra fredda.
Da quando nel 1945 i tre Grandi (Roosevelt, Churchill e Stalin)
stabilirono a Yalta la divisione della Germania e quella di Berlino in
tre zone di influenza (che diventeranno poi quattro, con l'inclusione
della Francia tra le potenze vincitrici) la storia dell'ex capitale
tedesca percorrerà binari del tutto nuovi. Divisa in quattro settori e
retta nei mesi immediatamente seguenti alla capitolazione del Terzo
Reich da una Kommandatura quadripartita, Berlino sconterà molto presto
l'incrinarsi dei rapporti tra gli Alleati, la successiva rottura tra
sovietici e occidentali e la sua nuova e speciale collocazione
geografica all'interno della zona di occupazione sovietica che diventerà
la Ddr, la Repubblica democratica tedesca. Coordinate geografiche che è
necessario rammentare per inserire la storia del Muro nel contesto degli
equilibri internazionali postbellici e della guerra fredda che, di lì a
qualche anno, si dispiegherà in tutta la sua virulenza.
Come si arrivò alla decisione del muro
Il muro, dunque, fu solo lo sbocco finale di un confronto tra due mondi,
due sistemi di vita, due ideologie e fu la reazione di una parte, quella
comunista, alla capacità di attrazione e di fascino che l'altra metà del
mondo, quella liberale, democratica e capitalista riuscì ad esercitare
fin dai primi anni del dopoguerra.
Anno difficile il 1961. Il confronto con l'Occidente, la fuga dei
cittadini dalla Ddr, gli equilibri fragili di un sistema - quello delle
democrazie popolari dell’Europa orientale cementificatosi militarmente
nel Patto di Varsavia ed economicamente nel Comecom - che aveva da poco
superato il trauma della rivolta di Budapest e che tentava con fatica di
impostare solidi sistemi economici, sociali e politici in grado di
reggere la competizione con il mondo capitalista. Nel mese di marzo, il
presidente del Consiglio di Stato della Ddr (l’equivalente del
presidente della Repubblica), Walter Ulbricht, avanzò la proposta di
costruire una grande barriera di filo spinato lungo il confine delle due
Berlino. Il veto di Krusciov bloccò temporaneamente questa iniziativa.
Ma la dirigenza tedesco-orientale aveva già delineato tre ipotesi di
intervento per bloccare l'emorragia di popolazione e riprendere il
controllo della situazione interna: la chiusura dei corridoi aerei
utilizzati dagli Alleati occidentali, la costruzione di un muro,
l'isolamento dell'intera Berlino dal resto della Ddr. L'ipotesi di una
barriera fisica fra le due parti dell'ex capitale cominciò a serpeggiare
nell'opinione pubblica. Il 15 giugno, durante una conferenza stampa
internazionale a Lipsia, la corrispondente della Frankfurter Rundschau
chiese ad Ulbricht se la posizione sovietica su Berlino comportasse la
fissazione di un confine di Stato alla Porta di Brandeburgo. La
risposta, rimasta famosa, fu: "Nessuno ha intenzione di costruire un
muro". Non dovette essere troppo convincente, se nei giorni successivi
alla conferenza di Lipsia il flusso dei profughi subì un'ulteriore
impennata. Il 25 luglio, in risposta a un bellicoso memorandum di
Krusciov sulla questione di Berlino, il nuovo presidente degli Stati
Uniti, John Fitzgerald Kennedy, annunciò i tre punti essenziali per gli
americani: il diritto degli Alleati occidentali a una presenza militare
a Berlino Ovest, il diritto di accesso dalla Repubblica federale al
settore occidentale della città, il diritto degli abitanti di Berlino
Ovest all'autodeterminazione e alla libertà. Nessuno di questi tre punti
"essenziali" servirà da deterrente alla costruzione del Muro perché
nessuno di essi sarà messo in discussione.
Il 13 agosto 1961: la notte del Muro
Che qualcosa stesse per accadere era ormai nell'aria. Nei primi giorni
di agosto, l'esodo raggiunse punte mai prima toccate: oltre 1.600
persone ingrossavano quotidianamente i centri di raccolta profughi di
Berlino Ovest. Eppure, quando il già citato comunicato dell'ufficio
statale per la protezione della Costituzione giunse sui banchi del
Senato di Berlino Ovest nel tardo pomeriggio di venerdì 11 agosto
("Nessun evento inusuale è atteso per il prossimo week-end"), tutti
tirarono un respiro di sollievo e si apprestarono, per il giorno
seguente, a invadere le spiagge sul Wansee.
Nelle stesse ore, a Berlino Est, un signore che avrebbe poi segnato la
storia della Ddr, Erich Honecker, allora componente del Politburo e
segretario del Comitato centrale della Sed (il Partito socialista
unitario), riceveva da Walter Ulbricht il via libera all'Azione X, il
piano segretamente messo a punto nei giorni precedenti per la
costruzione di un confine permanente tra la zona orientale di Berlino e
quella occidentale: il Muro, ovvero il "bastione di difesa
antifascista".
La sera del giorno successivo, sabato 12 agosto, Honecker assunse il
comando delle operazioni stabilendosi nel quartier generale della
polizia di Berlino Est, nella Keibelstrasse. Da quelle stanze, il futuro
leader della Ddr, affiancato da uno staff di otto persone, mosse
l'intera macchina operativa militare e politica. La polizia e gli uomini
della Nationale Volksarmee, affiancati dalle cosiddette Kampfgruppen,
unità paramiitari costituite da lavoratori, in sostanza l'esercito
privato della Sed, erano pronti a entrare in azione. Le truppe
sovietiche di stanza nell'ex capitale erano al massimo grado d'allerta.
Si attesero le prime ore di buio. Allo scoccare della mezzanotte il
piano entrò nella fase operativa. Uno dopo l'altro vennero bloccati i
treni in partenza per Berlino Ovest, quindi tutti i passaggi ferroviari
tra i due settori della città. Alle 0.30 carri armati e truppe
dell'esercito tedesco-orientale presero posizione sulla Unter den
Linden, la principale arteria di Berlino.
All'una, quattromila uomini della prima divisione motorizzata di stanza
a Potsdam con 140 carri armati e 200 carri militari bloccarono tutte le
vie di uscita intorno al perimetro di Berlino Ovest. All'1.11 l'agenzia
di stampa della Ddr, l'Adn, batté il comunicato con il quale si
pubblicizzava una nota che i paesi del Patto di Varsavia avevano
indirizzato il venerdì precedente alla Camera popolare e al governo
della Ddr con la proposta "di stabilire alla frontiera occidentale di
Berlino un ordine che garantisca l'efficace controllo del territorio
intorno Berlino Ovest, comprese le frontiere della Berlino democratica".
All'1.50 giunse alle autorità di polizia tedesco-occidentali la prima
notizia su quanto, ormai da un paio d'ore, stava accadendo ad Est: le
vie di comunicazione ferroviarie della S-Bahn e della U-Bahn
(rispettivamente la metropolitana di superficie e quella sotterranea)
erano state interrotte nel settore orientale. Dalla stazione di
Gesundbrunnen, situata nel settore francese, giunse al quartier generale
della polizia di Berlino Ovest la conferma che tutti i treni erano stati
bloccati.
Da quel momento le notizie rimbalzarono impazzite. Alle 2.30 venne
bloccato il passaggio attraverso la Porta di Brandeburgo.
Contemporaneamente, colonne militari si diressero verso la
Potsdamerplatz e gli altri punti di comunicazione terrestre tra le due
Berlino. Entrarono in azione anche i carri armati sovietici che presero
posizione nei punti strategici della città e nella Alexanderplatz. Alle
3.25 la Rias, la radio che trasmetteva dal settore americano, interruppe
i suoi programmi notturni per annunciare il blocco delle vie di
comunicazione. Alle 4.45, dei 60 varchi esistenti, ben 45 erano stati
chiusi: un'ora più tardi l'intera operazione fu completata. Alle 6.00,
in tutte le stazioni metropolitane di Berlino Est furono esposti
cartelli con la scritta: "Oggi nessun treno in partenza". Ai primi
berlinesi che si aggirarono assonnati per le vie della città si presentò
uno spettacolo allucinante: lungo tutto il perimetro del confine
cittadino era stato steso il filo spinato. Le 95 strade che collegavano
Berlino Est a Berlino Ovest erano state divise. A nessun abitante
orientale fu consentito di attraversare il confine senza un permesso.
Restarono aperti, ma strettamente sorvegliati dai militari, solo tredici
varchi. Nessun blocco venne posto al traffico tra Berlino Ovest e la
Repubblica federale tedesca. Nelle prime ore del mattino il quotidiano
occidentale Morgenpost uscì in edizione straordinaria con il titolo:
“Ost-Berlin ist abgeriegelt”, Berlino Est è sigillata.
Il "bastione di difesa antifascista"
L'evento tanto atteso e temuto si era dunque compiuto. La separazione
era cosa fatta. Nei giorni successivi, la barriera di filo spinato fu
rapidamente sostituita da un muro vero e proprio, al cui innalzamento
vennero impiegate brigate di lavoratori tenute sotto stretta
sorveglianza. Si trattava ancora di un muro modesto, quasi un muretto di
campagna, fatto di mattoni cementati uno sull'altro, alto appena un
metro e 25. Inesorabile, correva per 45 chilometri, dividendo campi e
strade, piazze e palazzi, fiumi e foreste. Nel corso degli anni verrà
fortificato e perfezionato per ben quattro volte assumendo quell'aspetto
spettrale che tante volte ha fatto da scenario alla letteratura e ai
film di spionaggio.
Tutte le abitazioni che sul lato orientale confinavano con la nuova
costruzione saranno abbattute. Il Muro di quarta generazione, costruito
a partire dal 1975, sarà composto da lastre di cemento armato
prefabbricate alte tre metri, unite l'una all'altra e sovrastate da una
copertura rotonda per evitare l'arrampicamento: saranno necessarie circa
45mila lastre per coprire l'intero perimetro. Alle sue spalle si
estenderà la cosiddetta "terra di nessuno", una lunga striscia di
sicurezza che correva parallelamente al Muro, tagliata da una barriera
metallica alta dai tre ai quattro metri, intervallata da 300 torri di
guardia con il filo ad alta tensione. Completavano i sistemi di
sicurezza 22 bunker, telecamere a circuito chiuso, cani poliziotto
alloggiati in 232 cucce lungo i punti strategici, una trincea
anti-veicoli, una lunga teoria di riflettori per illuminare a giorno
l'intera area. Per ventotto anni avrebbe rappresentato il confine più
controllato e più invalicabile del mondo.
L'amara realtà delle sfere d'influenza
In una sola notte, dunque, furono tranciati di netto legami familiari,
affetti, amicizie, abitudini e interessi economici. La guerra fredda
raggiunse forse il suo momento più drammatico. Lo sgomento e lo sdegno,
a Occidente, furono enormi. L'emozione e la paura, a Berlino,
raggiunsero i livelli di guardia. Mentre ad Ovest manifestazioni di
protesta spontanee e organizzate si succedettero una dietro l'altra, a
Est la popolazione cadde in uno stato di frustrazione e apatia. Le
cronache dei giornalisti che visitarono in quei giorni Berlino Est
riportarono impressioni di sconforto e di terrore: un angoscioso
silenzio s'impadronì dell'altra metà del cielo. Lungo il nuovo confine
della città, laddove il Muro non aveva ancora sostituito la barriera di
filo spinato, si radunavano le famiglie ormai divise per un ultimo
saluto.
Ma lentamente, a Ovest come ad Est, la popolazione toccò con mano quanto
le regole della guerra fredda, del mondo bipolare e delle sfere di
influenza pesasse sulle speranze di un rapido ricongiungimento. Tutti
guardavano agli Alleati occidentali, speravano in un atto di forza che
spazzasse via il Muro, ma nessuno, a Washington, a Londra e a Parigi
voleva rischiare un terzo conflitto mondiale. Quanto era accaduto a
Berlino, nella notte tra il 12 e il 13 agosto, riguardava in fin dei
conti i sovietici e un loro Stato satellite. Nessuno dei tre punti
essenziali di Kennedy era stato violato. Il presidente della nuova
frontiera poteva tranquillamente continuare a veleggiare a bordo della
sua barca negli Usa. Nella calcolata assenza del cancelliere Konrad
Adenauer, che non intendeva drammatizzare ulteriormente la situazione,
toccò al borgomastro Willy Brandt affrontare l'emergenza, dando voce
alla rabbia dei berlinesi dell'Ovest e gestendone le emozioni nel quadro
di un delicato equilibrio internazionale.
Gli americani spedirono a Berlino, il 19 agosto, il vice-presidente
Lyndon Johnson e, qualche giorno più tardi, l'eroe del ponte aereo, il
generale Clay. Il tutto si risolse con un rafforzamento del contingente
militare occidentale. Solo due anni dopo, nel giugno 1963, il presidente
degli Stati Uniti Kennedy giunse in visita a Berlino Ovest, accompagnato
dal cancelliere Adenauer. Fu un trionfo. La popolazione berlinese,
ancora traumatizzata dagli avvenimenti, seguì numerosissima la
processione presidenziale tra la Porta di Brandeburgo, il Checkpoint
Charlie e il palazzo comunale di Schöneberg, dove Kennedy, di fronte a
centinaia di migliaia di persone pronunciò la famosa frase: "Ich bin ein
Berliner". Oltre due decenni dopo, un altro presidente americano, Ronald
Reagan, fece vibrare le corde dell'emozione. Era il giugno 1987, in
piena era gorbacioviana, in un momento foriero di grandi cambiamenti. In
un discorso davanti alla Porta di Brandeburgo, profeticamente Reagan si
rivolse al suo collega sovietico: "Presidente Gorbaciov se ami la
libertà, vieni qui e tira giù questo Muro”.
I saltatori del Muro
La storia del Muro è una storia di sentimenti, di emozioni e anche di
cifre non sempre concondanti. Nei ventotto anni della sua esistenza,
5.043 persone riuscirono a fuggire nella Berlino occidentale, spesso,
ricorrendo a mezzi fantasiosi e a trovate geniali; 3.221 persone
fallirono la fuga e furono arrestate al confine; 150 morirono nel
tentativo di raggiungere la libertà, in maggioranza sparate dalle
guardie di confine, i Vopos. Infine, 118 furono ferite da colpi di arma
da fuoco. Sono numeri che variano da ricerca a ricerca e molti di essi
rischiano di rimanere sconosciuti nella loro entità per sempre. Quelli
che abbiamo riportato restano, dunque, puramente indicativi.
Lo scrittore tedesco Peter Schneider, in un romanzo di successo del 1982
pubblicato anche in Italia, Der Mauerspringer (Il saltatore del Muro),
racconta la storia surreale di uomini che si fanno beffa del Muro
saltando, ripetutamente e per i più stravaganti motivi, l'insormontabile
confine tra le due Berlino. Di Mauerspringer, la storia del Muro è
piena. Il museo Haus am Checkpoint Charlie, che si trova sulla
Friedrichstrasse, al confine fra i quartieri Kreuzberg e Mitte, proprio
nel punto in cui sorgeva il gabbiotto delle forze militari occidentali,
espone nelle sue sale alcuni dei mezzi utilizzati in quegli anni per
superare la frontiera. Mongolfiere, teleferiche improvvisate, auto con
doppio fondo, tunnel sotterranei, travestimenti, tutto venne
sperimentato nel tentativo estremo di scappare. Una voglia di Occidente
che non risparmiò neppure le truppe tedesco-orientali chiamate a
sorvegliare il filo spinato dei primi giorni.
Una delle foto più famose ritrae il diciannovenne Conrad Schumann,
ancora in divisa e con il fucile sulle spalle, che salta la barriera di
ferro all'altezza della Bernauer Strasse il 15 agosto 1962,
approfittando di un momento di distrazione dei suoi commilitoni. La
cifra dei disertori oscilla tra le duemila e le 2.700 unità. Resteranno
nella storia il giovane austriaco che noleggiò, in un concessionario
della Kurfürstendamm, una spider talmente bassa da passare sotto le
sbarre di uno dei punti di passaggio controllati, riuscendo così a far
fuggire fidanzata e suocera rimaste all'Est. I contorsionisti che
riuscirono a comprimersi nei bagagliai della Bmw Isetta, la monoposto
ritenuta tanto piccola da non aver bisogno di essere perquisita. I
quattro finti soldati russi, con tanto di uniformi rappezzate in casa,
che oltrepassarono il confine salutati con rispetto dai Vopos. I 57
abitanti di un condominio nella Bernauer Strasse che scapparono
attraverso un cunicolo sotterraneo faticosamente scavato nottetempo per
sei mesi. I tanti che sfidarono le pallottole dei militari di confine,
attraversando a nuoto fiumi e canali o approfittando di buchi nella rete
quando ancora la fortificazione non era stata completata.
Rimarrà nella storia anche il diciottenne Peter Fechter che, nel
tentativo di ricongiungersi alla sorella rimasta a Berlino Ovest, tentò
con un amico, il 17 agosto 1962, una fuga quasi impossibile. Giunti a
ridosso del Muro, quasi all'altezza del Checkpoint Charlie, i due
giovani furono rapidissimi nello scavalcare la prima barriera metallica,
assai abili nel correre velocemente attraverso gli altri ostacoli, ma
non altrettanto fortunati giunti di fronte all'ultimo ostacolo: il Muro.
Ventuno colpi di pistola furono sparati da due guardie di frontiera
accortesi della fuga e, mentre il suo amico riuscì a superare indenne
anche l'ultimo ostacolo, Peter Fechter crollò colpito a morte nella
striscia di nessuno. Crepò dissanguato, mentre i soldati americani
dall'altro lato osservavano impietriti e impotenti e una folla di
berlinesi occidentali urlava inutilmente la propria rabbia. Passò più di
un'ora prima che il suo corpo, ormai esanime, fosse recuperato dai
Vopos. Anno dopo anno, con il perfezionamento del Muro, i tentativi di
fuga si faranno più rari ma non spariranno mai del tutto, fino ai giorni
immediatamente precedenti la caduta. L'ultima vittima fu Winfried
Frendenberg, caduto nel marzo 1989, qualche mese prima l'inizio della
svolta.
Tutto in una notte: il 9 novembre 1989
Nei decenni successivi, dunque, il Muro divenne quasi impenetrabile. E
più dei tentativi di fuga poté il lavoro delle diplomazie. I
lasciapassare natalizi, in vigore fin dal Natale 1963 e poi prolungati
fino al 1966, consentirono ai berlinesi occidentali di rivedere, almeno
in occasione delle feste e solo per ventiquattr'ore, i propri parenti
dall'altra parte del Muro. Sull'onda dell' Ostpolitik, l'accordo
quadripartito tra Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Unione Sovietica
del 1971 risolse alcune questioni giuridiche legate a Berlino, regolando
in maniera meno restrittiva le visite degli abitanti nei due diversi
settori della città. Lentamente anche il Muro, considerato da André
Malraux "il più brutto monumento di questo secolo", entrò a far parte
del paesaggio, pur mantenendo forte il suo significato di simbolo
dell'Europa e della Germania divisa: l'anormalità di Berlino divenne in
un certo senso normale. La città perse, con la stabilizzazione
dell'equilibrio bipolare internazionale, quel ruolo di Frontstadt e di
epicentro di ogni crisi e quasi si assopì su se stessa dopo tanta
tensione.
Ma la storia riprese a correre per le vie di Berlino quindici anni fa,
nel 1989. La sconfitta della sfida gorbacioviana di riformare il
comunismo, il rapido sgretolamento della solidarietà tra i paesi del
Patto di Varsavia, il tracollo economico e produttivo, diedero vita a
nuove fughe dei cittadini tedesco-orientali, questa volta attraverso le
ambasciate di Bonn a Praga, Budapest e Varsavia. L'apertura dei confini
ungheresi e cecoslovacchi, poi le manifestazioni sempre più imponenti
nelle maggiori città della Ddr: Lipsia, Dresda, Magdeburgo, infine
Berlino Est. La caduta di Eric Honecker e l'ultimo disperato tentativo
di salvare il regime con la presidenza di Egon Krenz.
Quindi, la sera del 9 novembre. Alle 18 il portavoce della Sed, Günter
Schabowski, si presentò ad una conferenza stampa internazionale per
rendere note le decisioni del Comitato centrale del partito, prese sotto
la duplice pressione dei fuggitivi e delle manifestazioni di piazza.
Annunciò che i cittadini tedesco-orientali avrebbero potuto ottenere, in
attesa di una più particolareggiata disposizione di legge, i visti di
uscita e di soggiorno per l'estero. Interrogato sulla data di validità
delle nuove disposizioni dal corrispondente dell'agenzia Ansa, Riccardo
Ehrman, Schabowski rispose, forse facendosi prendere la mano, "ab
sofort”, da subito, aggiungendo che le disposizioni riguardavano tutti i
punti di passaggio dalla Ddr alla Bdr e dunque anche quelli tra Berlino
Est e Berlino Ovest. Il Muro era caduto così come era stato costruito:
in una notte. Un'ora dopo ai varchi controllati da guardie di frontiera
a corto di informazioni si presentarono migliaia di cittadini. Passarono
tutti dall'altra parte dando vita a quella festa di gioia irrefrenabile
tra gli abitanti delle due Berlino ripresa dalle televisioni di tutto il
mondo. Alla Porta di Brandeburgo, centinaia di giovani al massimo
dell'euforia, ballarono tutta la notte su quello che da qualche ora non
era più il Muro invalicabile.
Quindici anni dopo, i turisti che percorrono le strade di Berlino alla
ricerca delle tracce del Muro, restano con un palmo di naso. Tutto è
stato smontato, ridotto a macerie, a materiale per la riparazione delle
autostrade, a souvenir turistici. Qualche pezzo è stato recuperato e
sistemato in un altro punto della città. L'onda del nuovo ha travolto il
confine che per ventotto anni ha segnato la vita della Berlino divisa.
Eppure, anche se pochi lo sanno, un luogo dove ritrovare il vecchio,
"caro" Muro, nella sua collocazione originale, ancora c'è. Bisogna
scendereo fino al Treptowkanal e salire su una delle piccole
imbarcazioni ormeggiate lungo i bar all'aperto che rendono più allegre
le serate berlinesi. Una volta a bordo, si deve remare con forza, fino a
quando il canale non sfocia nel fiume Sprea. Meglio farlo di notte,
quando il buio attutisce la frenesia cittadina e la torre televisiva di
Alexanderplatz si specchia nelle acque scure del fiume. Entrati nella
corrente della Sprea, si piega a destra e poco dopo a sinistra. Bisogna
fare attenzione perché il Muro è proprio lì, in mezzo all'acqua, a
dividere ancora in due la città come fosse una diga. Se si lega la fune
a un ormeggio, si può salire attraverso la scala di metallo ormai
arrugginita, un tempo utilizzata dai Vopos, e camminare, magari saltare
e ballare come quei ragazzi quindici anni fa, sul Muro in mezzo
all'acqua. “You are leaving the American sector, Vri vriesgaietie is
sovietskie sektora, You are leaving the British sector, Vous quittez le
secteur français”. Oggi, a Berlino, non si esce e non si entra in nessun
settore. E’ finita la guerra fredda ma le speranze nate in quella notte
sono sprofondate nelle inquietudini del nuovo millennio.
10 novembre 2004
pmennitti@ideazione.com
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