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		Il secondo martire dell’Olanda tollerantedi Barbara Mennitti
 
 Chiunque abbia visitato l’Olanda nei giorni immediatamente successivi 
		all’omicidio di Pim Fortuyn, il leader politico assassinato da un 
		ecologista nel maggio del 2002, non sarà rimasto molto sorpreso dagli 
		eventi che in questi giorni stanno sconvolgendo Amsterdam e il resto del 
		paese. Tutti gli elementi della crisi del modello del multiculturalismo 
		tollerante, infatti, esplosero con quel colpo di pistola che tolse la 
		vita al primo uomo pubblico che aveva osato infrangere i tabù del 
		politically correct, parlando esplicitamente di “un’Olanda piena” e 
		puntando il dito contro l’inconciliabilità fra la minoranza musulmana e 
		i valori della società olandese. Il paese sembrava essersi risvegliato 
		improvvisamente da un lungo sonno ed era come se guardasse se stesso 
		inorridito, senza riuscire a riconoscersi. “Come abbiamo potuto lasciare 
		che si arrivasse a questo punto?”, si chiedevano gli olandesi smarriti, 
		parlandoci di zone della città completamente off-limits per i non 
		musulmani, di donne molestate per il loro abbigliamento e gay malmenati 
		da zelanti custodi della Sharia. Proprio nel paese che ha fatto della 
		tolleranza per gli usi e i costumi altrui la sua unica bandiera.
 
 Le stesse domande l’Olanda se le sta ponendo oggi, all’indomani 
		dell’omicidio del regista Theo van Gogh, reo di aver realizzato un corto 
		che denunciava le violenze subite dalle donne sotto la morale islamica, 
		in collaborazione con una deputata di origine somala. Il ventiseienne di 
		origine marocchina, che nonostante il doppio passaporto non doveva mai 
		aver sentito parlare di libertà di espressione, ha pensato bene di 
		punire l’infedele sparandogli mentre questi girava tranquillamente in 
		bicicletta per le strade di Amsterdam. Van Gogh, ferito, tenta di 
		fuggire a piedi, cade, il giovane marocchino lo raggiunge gli spara 
		altri otto colpi, poi lo sgozza, come un vero guerrigliero islamico, e 
		infine con un pugnale gli infilza nel petto un foglio con alcuni versi 
		del Corano. Con buona pace del mito del multiculturalismo. Dell’omicida, 
		arrestato poco dopo, si sa che intratteneva stretti rapporti con altri 
		correligionari noti per attività terroristiche e frequentava la moschea 
		salafita e wahabita di El Tawheed, dove si vendono libri che consigliano 
		di buttare gli omosessuali dai palazzi. Sempre in ossequio al 
		multiculturalismo. Con molta cautela, le autorità olandesi iniziano a 
		parlare di reti terroristiche, mentre proprio qualche giorno fa, 
		all’Aja, si è svolta un’operazione di antiterrorismo, conclusasi con 
		cinque arresti dopo un assedio durato una giornata intera.
 
 Come sosteneva il sociologo Herman Vuijsie, intervistato dal Foglio, 
		l’Olanda sta pagando gli errori del passato. Gli immigrati sono stati 
		inseriti nella tradizionale società “incolonnata” olandese, nella quale 
		i vari gruppi, protestanti, cattolici, liberali, socialisti hanno propri 
		partiti, radio, tv, ecc. Per anni il governo ha finanziato corsi di 
		lingua e cultura di origine per i figli degli immigrati, centri sociali 
		che venivano trasformati in moschee, garantito assistenza sociale e 
		edilizia popolare. Dall’altra parte, non si è insistito abbastanza sui 
		doveri dell’appartenenza ad una società e oggi l’Olanda si ritrova a 
		dover convivere con una comunità avulsa dal resto della società, che non 
		ne accetta le regole e spesso non ne parla nemmeno la lingua. E 
		soprattutto ne disprezza profondamente i valori fondanti. L’impressione 
		è che l’Olanda sia rimasta vittima della sua stessa tolleranza, della 
		sua indolenza, della sua vocazione commerciale che la porta naturalmente 
		ad evitare i conflitti. La paura è che il paese non sia attrezzato a 
		fronteggiare questa minaccia e a ripensare se stesso in una nuova 
		chiave. Ne è un triste indizio un altro fatto verificatosi poco dopo 
		l’omicidio di van Gogh. In suo onore, un artista suo amico ha dipinto su 
		un muro vicino alla moschea il quinto comandamento “Non uccidere”. I 
		responsabili del luogo di culto hanno chiamato le forze dell’ordine 
		denunciando la scritta “razzista”, che le autorità hanno prontamente 
		provveduto a cancellare. Bisognerebbe, invece, gridarlo forte: Quinto, 
		non uccidere.
 
        
        11 novembre 2004 
        
		bamennitti@ideazione.com
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