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		Uno scenario da guerra freddadi Pierluigi Mennitti
 [24 nov 04]
 
        A rivederlo 
        adesso tra gli scaffali fa quasi tenerezza, il saggio del politologo 
        francese Henri de Grossouvre, che solo un anno fa, in piena crisi 
        irachena, teorizzava un nuovo asse geopolitico fra Parigi, Berlino e 
        Mosca, la nuova alternativa della pace all’America guerrafondaia di 
        Bush. Pubblicato in Italia dall’editore Fazi, la nuova strategia 
        barcollava su un filo pericolante che univa un po’ fantasiosamente il 
        punto più occidentale a quello più orientale della grande pianura 
        europea. Appunto, Parigi a Mosca, passando attraverso la vecchia 
        capitale divisa della Guerra Fredda. Un asse continentale, alternativo a 
        quello euro-atlantico, il cui equilibrio - semmai ha rischiato di 
        esistere al di là della penna eccentrica di un accademico francese - sta 
        andando in pezzi in queste ore. L’epicentro del nuovo sisma che scuote 
        l’Europa è a Kiev, Ucraina. Dove quindici anni dopo si replica la lotta 
        della libertà contro la tirannide, della piazza contro l’apparato, della 
        democrazia contro il comunismo, seppure in versione post.
 Le vicende successive alla caduta del Muro di Berlino ci hanno vaccinato 
        dalla retorica della libertà. Eppure quello che sta accadendo in queste 
        ore nella Piazza dell’Indipendenza della capitale ucraina, piena 
        all’inverosimile di manifestanti e bandiere arancioni nonostante il gelo 
        e la neve, è l’eterno conflitto tra Est e Ovest, tra Russia e Occidente, 
        che ha segnato la storia d’Europa e quella mondiale prima e dopo la 
        seconda guerra mondiale. L’Ucraina come nuovo spartiacque, il fiume 
        Dnieper come un nuovo Rubicone, o di qua o di là, la Nato e l’Europa 
        sino alle porte di Mosca o la Russia e i cosacchi sino alle porte di 
        Varsavia. L’allargamento dell’Ue (e della Nato) ha spostato ad oriente 
        il confine del mondo libero e la Russia affamata dalla rovina economica 
        del comunismo ha abbozzato, ritirandosi dal campo. Ma non del tutto. 
        Utilizzando la politica e fidando nella distrazione degli europei, Mosca 
        ha lavorato all’interno delle due regioni confinanti a Ovest, la 
        Bielorussia e l’Ucraina. Ha sostenuto partiti post-sovietici, ha 
        coltivato l’ascesa di leader amici, Lukashenko a Minsk, Yanukovich a 
        Kiev, ha cercato di riassorbire all’interno della propria orbita le due 
        repubbliche sfuggite dal seno dell’Urss.
 
 Irritata dall’influenza americana nelle ex repubbliche sovietiche 
        dell’Asia centrale, rafforzata sull’onda della lotta al terrorismo 
        islamista e al regime talebano dell’Afghanistan, la nuova Russia di 
        Putin ha deciso di mettere i suoi paletti verso Occidente. Varsavia sì, 
        Minsk no. E Kiev neppure. L’Ucraina così è divenuto il nuovo fronte di 
        una guerra fredda che rischia di risorgere quindici anni dopo. Il Muro 
        di Berlino ricompare a mille e cinquecento chilometri più ad Est sotto 
        forma di brogli elettorali. Almeno questo sostiene il candidato 
        sconfitto, il filo-occidentale e liberale Viktor Yushchenko e tutte le 
        organizzazioni internazionali che hanno controllato la regolarità delle 
        elezioni. In un paese spaccato a metà, politicamente ma soprattutto 
        geograficamente, con le regioni dell’Ovest tutte con Yushchenko e le 
        marche orientali tutte con Yanukovich, la chiamata alla mobilitazione 
        del candidato liberale e lo stato d’allerta della polizia rischiano di 
        portare la situazione sull’orlo della guerra civile. Il richiamo ai 
        minatori della Crimea, che Yanukovich ha improvvidamente fatto l’altra 
        sera, rimanda a immagini rumene e riporta alla memoria le cupe e 
        drammatiche ultime ore di Ceausescu.
 
 Kiev, il terminale di molti progetti europei, dei corridoi 
        tranfrontalieri, la sede di tante aziende occidentali e italiane, la 
        capitale dell’allargamento prossimo venturo, rischia in queste ore di 
        cadere in un vortice che sa di passato. Putin, dopo un primo 
        sbilanciamento a favore del candidato filo-russo, è apparso questa 
        mattina più prudente e più possibilista. Il presidente della Repubblica 
        ucraina ha assicurato che le forze di polizia non interverranno. 
        Finalmente in giornata s’è mosso anche Barroso, chiedendo a nome dell’Ue 
        di interrompere il conteggio dei voti per verificare le accuse di 
        brogli. Sono ore delicate in cui l’Ucraina, l’Europa ma anche l’America 
        e la Russia si muovono sul filo di una crisi che, se non fermata in 
        tempo, potrebbe aprire scenari inattesi.
 
 24 novembre 2004
 
 pmennitti@ideazione.com
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