L'Iraq dei coraggiosi
di Michael Novak*
[28 gen 05]
La stampa sembra dare per scontato che in Iraq assisteremo a una spirale
di violenza. Sembra addirittura desiderarlo. Molti corrispondenti,
soprattutto quelli della Associated Press ma non solo, riportano notizie
che danno animo al nostro nemico e tralasciano le storie che confortano
i nostri soldati. E’ una lamentela che ricorre nei blog militari e nelle
e-mail dei soldati sul campo. Le distorsioni della stampa hanno talmente
abbassato le aspettative per le elezioni del 30 gennaio, che il mondo
potrebbe sussultare per il loro risultato. La percentuale degli iracheni
che si recheranno alle urne potrebbe essere superiore a quella degli
americani nell’autunno scorso. Potrebbe superare il 70 per cento e fare
concorrenza al risultato dell’Afghanistan. Recenti sondaggi condotti in
Iraq dall’International Repubblican Institute indicano che oltre il 90
per cento degli sciiti ha intenzione di votare, le donne anche più degli
uomini. Alcuni membri dell’istituto che si trovano in Iraq raccontano
che gli sciiti non intendono in nessun modo farsi sfuggire l’occasione
della loro vita. I sondaggi mostrano anche che i curdi sono ancora più
fermamente decisi a votare. Messi insieme, questi due gruppi
costituiscono circa l’80 per cento della popolazione.
Persino fra il 20 per cento di popolazione irachena di origine sunnita
il numero di coloro che si recheranno alle urne potrà essere superiore
alle aspettative. I sunniti vivono nelle aree da cui proviene la maggior
parte della violenza e del terrore e ne sono le vittime più frequenti.
Non è strano che un numero sempre maggiore di loro voglia liberarsi di
questi criminali. Uno dei siti migliori che ho trovato per tenere
d’occhio la situazione politico-militare sul posto è
www.strategypage.com, che nelle ultime
settimane ha seguito gli spostamenti politici fra i sunniti. Aumenta il
numero di quelli che sono esasperati dai terroristi e cresce la parte
che vuole che i sunniti abbiano un ruolo nel nuovo Iraq, che non avranno
se boicotteranno in blocco le elezioni, come vorrebbero alcuni dei loro
leader. La migliore stima che ho ricavato dagli esperti del National
Endowmente for Democracy rileva che il 20-30 per cento degli elettori
sunniti registrati, potrebbe effettivamente recarsi al voto il 30
gennaio. Le analisi del sito web che ho menzionato prima mi fanno
credere che il numero potrebbe essere ancora più alto.
Gli iracheni, certo, si aspettano che i terroristi spargeranno molto
sangue nel giorno delle elezioni. Come uno di loro ha scritto sul
suo sito web, ha atteso così tanto la
possibilità di esprimere la sua volontà, che sarà ben felice di morire
facendolo. Crede che i terroristi non potranno uccidere tutti quelli che
vogliono votare. (Probabilmente cercheranno di uccidere i candidati o di
ammazzare molti americani nello stesso momento, in modo da dominare la
stampa). Ricorda l’umiliazione provata, quando era stato costretto a
ringraziare i suoi torturatori nei giorni di Saddam. Li aveva dovuti
ringraziare dopo che lo avevano torturato e picchiato, per paura che
facessero del male alla sua famiglia. Ricorda la sensazione di impotenza
e ha giurato di non provarla mai più. Naturalmente, un’elezione da sola
non può fare miracoli. Ma questa darà all’Iraq un’assemblea nazionale
eletta da una determinante maggioranza di iracheni. Poiché il potere
deriva dal consenso dei governati, il popolo iracheno avrà accumulato
più potere consensuale di ogni altro regime arabo attuale.
Da ora in poi, questa espressione della volontà popolare in Iraq
costituirà un potente argomento contro ogni cosiddetta insurrezione.
Queste forze assassine dimostreranno di essere solo la brutta frangia di
una piccola minoranza di non votanti. Questi terroristi avranno mostrato
al mondo intero il loro completo disprezzo per l’espressione della
volontà dei cittadini iracheni. Questi assassini si riveleranno come i
fascisti anti-democratici che sono. Potranno anche continuare a usare
slogan islamicisti, ma sono la disgrazia dell’Islam. Questi slogan non
nascondono i loro principi e i loro metodi fascisti. Stanno cercando di
impedire che in Iraq metta radici un governo dei cittadini, per i
cittadini e eletto dai cittadini. Vogliono calpestarne le tenere radici.
Forse possono riuscirci. Ma non in una terra di coraggiosi, come gli
iracheni stanno per dimostrarsi.
28 gennaio 2005
traduzione dall’inglese di Barbara Mennitti (da
National Review Online)
* Michael Novak - teologo, saggista ed ex
ambasciatore Usa all'ONU - è il direttore del Dipartimento di studi
sociali e politici dell'American Enterprise Institute. Collabora, tra
gli altri, con National Review, Commentary, The New Republic, The New
York Times Magazine e The Public Interest. Il suo ultimo libro si
intitola "Universal Hunger for Liberty".
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