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		Libano: prova di forza del movimento democraticodi Enzo Reale
 [15 mar 05]
 
 Il Libano fa sul serio. Più di un milione di persone si sono date 
		appuntamento lunedì nella Piazza dei Martiri di Beirut per ricordare al 
		mondo la differenza fra un'adunata di regime e un grido di libertà. In 
		troppi avevano già recitato il requiem per la rivoluzione dei cedri dopo 
		i colpi di coda del governo di Damasco: Hezbollah e militanti del Baath 
		in piazza e il fantoccio Karami di nuovo alla guida dell'esecutivo 
		libanese. Ma anche nell'ottobre 1989 la DDR celebrava i suoi primi 
		quarant'anni facendo sfilare le truppe del partito e dell'esercito: una 
		dimostrazione di forza, si diceva. Un mese dopo tutto era finito. C'è 
		chi dalla storia non impara. Mai. E' vero che la democratizzazione del 
		Medio Oriente è un processo lungo e tortuoso, che la reazione è sempre 
		in agguato, che le specificità nazionali rendono complicata la lettura 
		degli avvenimenti e impongono cautela. Ma è altrettanto vero che le 
		dinamiche di fondo di questa trasformazione sono facilmente 
		individuabili: la fine della paura e la nascita di una coscienza 
		collettiva anti-totalitaria.
 
 In questo senso il paragone con l'89 è appropriato. E' stato ancora una 
		volta l'american power a creare le premesse e le condizioni per 
		l'emergere del people power ed è dalla loro saldatura che dipende 
		l'esito del cambiamento in atto. L'opposizione libanese ne è consapevole 
		ed infatti le parole d'ordine della sua protesta sono coerenti con la 
		fermezza dell'amministrazione americana: via la Siria dal Libano e 
		libere elezioni. Paradossalmente il tempo gioca a favore delle forze 
		pro-democratiche e, nel contesto attuale, perfino il fatto che Karami 
		sia tornato al suo posto importa poco. Dimostrando la propria 
		indisponibilità a qualsiasi compromesso e lasciando ad un esecutivo 
		impopolare e indebolito la gestione degli affari correnti fino alle 
		elezioni, l'opposizione può sfruttare la pressione internazionale su 
		Assad. Adesso che perfino l'ONU pretende un calendario per la ritirata, 
		il ripiegamento delle truppe siriane - vedremo fino a che punto 
		effettivo - diventa, nelle intenzioni del dittatore, un tentativo di 
		uscire dall'angolo. Ma nei fatti è un passo decisivo verso 
		l'indebolimento del suo regime.
 
 Che Assad pensi di poter controllare il Libano soltanto attraverso gli 
		uomini dei servizi segreti non significa che sia davvero in grado di 
		farlo, soprattutto di fronte ad un risentimento popolare sempre più 
		diffuso. Allo stesso tempo, la possibilità che le componenti meno 
		estremiste di Hezbollah possano rientrare nel gioco politico, 
		abbandonando le armi, apre prospettive incerte per Damasco anche sul 
		fronte di una eventuale destabilizzazione dall'interno. In ogni caso se 
		la Siria dovesse scegliere la linea dura - la repressione - 
		oltrepasserebbe un punto di non ritorno: Assad sembra avere meno amici 
		disposti ad aiutarlo rispetto a Saddam; se decidesse di intervenire sul 
		processo elettorale il precedente dell'Ucraina avrebbe il suo peso; se 
		si facesse da parte in buon ordine i siriani prenderebbero coraggio. 
		Tutto può ancora complicarsi, è chiaro. Ma la primavera di Beirut 
		promette un'estate torrida a Damasco.
 
		
        15 marzo 2005 
        
		enzreale@gmail.com 
        * Enzo 
		Reale è il titolare del blog 
		1972 |