Il falco della democrazia alla Banca Mondiale
di Alessandro Gisotti
[25 mar 05]

La designazione di Paul Wolfowitz alla guida della Banca Mondiale “è la dimostrazione che l’impegno del presidente Bush a promuovere la democrazia non è solo retorica”. L’investitura dell’ex numero due del Pentagono alla World Bank è stata accolta con entusiasmo all’American Enterprise Institute, think thank simbolo del neoconservatorismo americano. In un articolo pubblicato sul Wall Street Journal dall’icastico titolo “Regime Change at the World Bank”, Allan H. Meltzer – visiting scholar all’AEI – sottolinea come la Banca Mondiale “possa e debba svolgere un ruolo determinante nella promozione della democrazia” in tutto il mondo. Un compito per il quale, secondo Meltzer, l’ex vice di Rumsfeld è, come si suol dire, la persona giusta al posto giusto. La Banca Mondiale, avverte sferzante, “è un’organizzazione che non funziona”, che “manca di leadership”. Un uomo dal polso fermo come Wolfowitz è dunque “una scelta ispirata”.

L’indicazione del teorico dell’esportazione della democrazia alla guida della World Bank ha raccolto vivo consenso anche nella redazione del Weekly Standard, il settimanale più influente dei neocon americani. In un lungo articolo, firmato da Stephen F. Hayes, viene messo l’accento sui giudizi negativi con i quali è stata accolta, in Europa, la nomination di Wolfowitz, dipinto con i tratti del pericoloso unilateralista. Tuttavia, nota Hayes, se l’architetto della guerra in Iraq è inviso alla classe politica del Vecchio Continente, le sue idee sono molto popolari nei Paesi che aspirano alla democrazia. E’ il caso del Libano. Nelle ultime settimane, rivela il Weekly Standard, Wolfowitz ha passato gran parte del suo tempo incontrando i leader riformisti libanesi. L’ex ambasciatore Usa in Indonesia, scrive Hayes, è sicuramente un convinto difensore della “democrazia liberale e della libera economia di mercato”. Che gli Europei “si oppongano a questo binomio – afferma polemico – la dice lunga molto di più su di loro che su Wolfowitz”.

Chi, invece, vede il falco neoconservatore come fumo negli occhi è il web magazine di sinistra Salon.com, tanto da paragonare il prossimo leader della Banca Mondiale niente meno che a Mr Magoo. Secondo Micheal Lind, Wolfowitz sarebbe una versione in carne ed ossa del miope protagonista del celebre cartone animato: entrambi procedono alla cieca, lasciando danni e confusione dietro di sé. Per il polemista di Salon, Wolfowitz è “l’Einstein dell’incapacità”: ha sbagliato valutazione sulla reale forza dell’URSS, quindi sulla minaccia rappresentata da Bin Laden, infine sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein e sull’opportunità di sostenere l’esponente dell’opposizione irachena Ahmed Chalabi. Un curriculum che, per Lind, non promette niente di buono.

Negativo, ma meno corrosivo, il giudizio formulato da Fareed Zakaria in un editoriale su Newsweek. L’autore del best seller “Democrazia senza libertà” auspica non che Wolfowitz cambi volto alla Banca Mondiale - come sperano molti sostenitori dell’ex viceministro della Difesa - ma piuttosto che la World Bank trasformi Paul Wolfowitz. Molti suoi fan, scrive Zakaria, lo ritengono il miglior presidente possibile per la Banca Mondiale, perché è convinto che “sono i dittatori la prima causa della povertà nel mondo”. Se, però, stiamo ai fatti, le cose raccontano una storia diversa: negli ultimi 50 anni, segnala Zakaria, il 90 per cento della riduzione della povertà è avvenuta nell’Asia dell’Est, quasi sempre sotto regimi autoritari come nel caso di Cina e Indonesia. Se otterrà il posto, conclude, Wolfowitz dovrà immergersi nella realtà della povertà, “riconoscendone l’urgenza e la complessità”.

Un inaspettato endorsment è arrivato, sulle pagine del liberal New York Times, da James P. Rubin, già figura di spicco nell’amministrazione Clinton e consigliere di Kerry durante la campagna elettorale dello scorso anno. Rubin marca una netta distinizione tra Wolfowitz e John Bolton, il tetragono politico nominato da Bush ambasciatore alle Nazioni Unite. Se, infatti, questi rifiuta alla radice le finalità dell’Onu, Wolfowitz appoggia l’idea che i Paesi avanzati debbano usare le proprie risorse per promuovere democrazia e prosperità nei quattro angoli del pianeta. Certo, Rubin non nasconde le molte e severe critiche a Wolfowitz per gli errori politici e militari compiuti in Iraq. Ma, evidenzia, si tratta di rilievi “sui mezzi non sulle motivazioni”. Queste ultime sono “lodevoli e in linea con la tradizione di idealismo in politica estera, che appartiene ad entrambi i partiti”. Per quanto riguarda poi i timori sull’unilateralismo di Wolfowitz, Rubin spiega che questa preoccupazione ha senso quando si ha a che fare con la sfera militare. “E’ in questo campo che gli Stati Uniti hanno una tale soverchiante potenza per cui l’azione unilaterale è un’opzione realistica”. Quando, però, si parla di programmi di sviluppo, “il multilateralismo è l’unica opzione possibile”.

25 marzo 2005

gisotti@iol.it

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