| 
        
		Il 
		diritto/dovere all'ingerenza democraticadi Federico Punzi*
 [14 apr 05]
 
        
		Democrazia e libertà sono bandiere 
		ancora a mezz'asta, quando non ammainate, nelle fila della sinistra. 
		Internazionalista quando a dover essere internazionalizzata era la causa 
		della classe operaia in chiave marxista, dopo la caduta del blocco 
		sovietico la sinistra è divenuta isolazionista oggi che occorre 
		promuovere libertà e democrazia nelle parti del mondo dove vivono popoli 
		oppressi. E i diritti umani vengono invocati col contagocce, 
		strumentalmente, quando servono agli atti di denuncia contro los 
		imperialistas americani e contro le loro multinazionali.
 L'interventismo democratico, fatto proprio dalla sinistra liberale di 
		Tony Blair, ha qualcosa da dire anche alla sinistra italiana? Quanto mai 
		opportune furono le domande poste dal direttore de il Riformista Antonio 
		Polito al segretario dei Ds Piero Fassino alla vigilia del III 
		Congresso. Perfetta la risposta suggerita, la citazione di Celestino 
		Migliore, osservatore permanente della Santa Sede presso l'Onu. «Ogni 
		stato ha la responsabilità di proteggere i suoi cittadini ma, quando non 
		è in grado o non è disponibile a farlo, quella responsabilità deve 
		essere assunta dalla più vasta comunità internazionale... In tale 
		contesto, nel corso dei recenti conflitti, abbiamo avuto modo di 
		ripetere questa convinzione a proposito della ingerenza umanitaria, 
		concepita come una sorta di legittima difesa, e di quanto tale ingerenza 
		si presenti come obbligo della comunità internazionale di garantire la 
		sopravvivenza degli individui di fronte all'azione o inazione di uno 
		stato o di un gruppo di stati».
 
 Non il «diritto» di ingerenza, ma il «dovere» di ingerenza è quello di 
		cui ha sempre parlato Marco Pannella fin dai primi anni '80, affinché 
		potesse «vigere» la Carta delle Nazioni Unite, che riconosce il diritto 
		«storicamente naturale» alla democrazia e alla libertà. Non si tratta 
		dell'esportazione della democrazia come sistema, spiegava Pannella 
		all'indomani dell'invasione dell'Iraq (2003), ma di «rimuovere gli 
		ostacoli frapposti all'esercizio della legalità e dei diritti 
		fondamentali», che sono storicamente riconosciuti come naturali per ogni 
		essere umano. Questa è la natura dell'«interventismo radicale», del 
		«dovere di ingerenza». In termini giuridici esiste il nostro «obbligo» a 
		intervenire per rimuovere quegli ostacoli.
 
 Un'enunciazione che porta a compimento un percorso che parte da lontano 
		(dai primi anni '80) di definizione del principio di ingerenza. Tutto 
		iniziò dalla lotta contro lo sterminio per fame nel mondo, quando 
		occorreva proclamare il "dovere di ingerenza" dell'Onu ovunque «l'arma 
		alimentare» venisse usata «a fini politici e di dominio provocando la 
		morte per fame di inerti popolazioni», e laddove le autorità legali 
		locali fossero «complici, se non sole responsabili dell'olocausto». 
		Partendo dal presupposto che la fame e l'ingiustizia nel mondo vanno 
		lette come «minaccia alla pace», una «rottura della pace o un atto di 
		aggressione», e che i responsabili possono essere identificati e 
		fermati. Per questo i radicali chiedevano all'Onu «l'estensione del 
		potere di polizia, basato sul principio di ingerenza, anche per i casi 
		di genocidio e per quelli di difesa di minoranze oppresse».
 
 Laddove sono negati i diritti naturali della persona umana cessa il 
		diritto positivo degli Stati alla propria sovranità, perché la 
		salvaguardia dei diritti umani sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite 
		non può conoscere frontiere e zone franche. Per questo, i radicali 
		furono sostenitori di una linea di ingerenza politica nei Paesi 
		totalitari dell'Est europeo da contrapporre alla stabilità e 
		all'equilibrio di forze militari tra i blocchi. In questa chiave vanno 
		lette le iniziative, anche a favore del disarmo, tese a superare 
		quell'equilibrio militare che assieme alla nostra sicurezza garantiva 
		l'oppressione dei popoli dell'Est. L'ingerenza e la nonviolenza, lungi 
		dal poter essere accostate al pacifismo equidistante, sono gli strumenti 
		di destabilizzazione delle dittature comuniste.
 
 Un "dovere di ingerenza" che permea di sé anche l'europeismo dei 
		radicali, «che vuole essere momento di scontro politico fra la 
		concezione democratica-parlamentare e quella totalitaria, fra chi 
		privilegia i diritti della persona e chi li sottopone gerarchicamente 
		agli interessi dello stato, fra chi rivendica la necessità che il 
		diritto non sia limitato dalle frontiere e chi difende la barbarie in 
		nome della sovranità nazionale e del principio di non ingerenza».
 
 In un intervento sul Corriere della Sera (30 dicembre 1988), lo studioso 
		francese Maurice Duverger si chiedeva se «si oserà riconoscere che il 
		dovere di ogni cittadino e di ogni governo non è limitato dalle 
		frontiere degli Stati e che queste non potrebbero impedire in alcun caso 
		la prevenzione e la repressione delle violazioni della dignità umana». 
		Le democrazie «dispongono fin da ora di mezzi efficaci per incitare le 
		dittature a rispettare progressivamente i diritti dell'uomo; in primo 
		luogo il diritto dell'aiuto al Terzo e Quarto Mondo».
 
 Duverger sollecitava dunque, ha scritto Angiolo Bandinelli, «un nuovo 
		internazionalismo capace di abbattere il vecchio mito della sovranità 
		nazionale e della "non ingerenza", in nome dei diritti dell'uomo e del 
		cittadino... La promozione transnazionale dei diritti umani e civili 
		può, e ormai dovrebbe, divenire obiettivo politico di fondo per forze 
		politiche e civili consapevoli che il discrimine tra progresso e 
		reazione, tra libertà e dittatura, corre nel mondo di oggi lungo questa 
		linea. Che è linea di attacco, e non di mera difesa di enunciazioni 
		senza conseguenze».
 
 Oggi quel diritto/dovere di ingerenza è un principio pienamente 
		affermato, fatto proprio dalla politica estera dei governi di Tony Blair 
		e accolto anche oltreoceano. C'è dell'altro. Polito ha citato 
		l'arcivescovo, ma bastava andarsi a riprendere il recente articolo nel 
		quale James M. Lindsay e Ivo H. Daalder, entrambi esponenti di punta 
		della Brookings Institution, think tank di area clintoniana, sancivano 
		l'inadeguatezza delle attuali istituzioni internazionali (Onu e Nato) 
		avanzando la proposta di una nuova istituzione, una «formale» Alleanza 
		delle Democrazie: «Le principali minacce alla sicurezza nel mondo di 
		oggi giungono dagli sviluppi interni agli Stati. (...) In due dei tre 
		ultimi casi (Serbia, Afghanistan, Iraq) il Consiglio di Sicurezza ha 
		mancato di autorizzare esplicitamente l'uso della forza, nell'altro lo 
		ha fatto solo implicitamente. (...) Oggi, il rispetto per la sovranità 
		dello stato deve essere condizionata a come gli stati si comportano al 
		loro interno, non soLo all'esterno. La sovranità porta con sé una 
		responsabilità a proteggere i cittadini contro la violenza di massa e un 
		dovere a prevenire gli sviluppi interni che minaccino gli altri. I 
		regimi che falliscono nell'adempiere a questi doveri e responsabilità 
		dovrebbero perdere il loro sovrano diritto alla non-interferenza negli 
		affari interni».
 
 I due analisti sono pessimisti sulle possibilità di una "riforma" 
		dell'Onu: non è un problema di riforma del Consiglio di Sicurezza, o di 
		addestramento di forze di peacekeeping, o di fondi. Il problema vero è 
		che «i suoi principi fondanti sono obsoleti». Ubi major minor cessat. 
		Sancire il principio secondo il quale il diritto degli Stati alla 
		propria sovranità cede di fronte all'assenza di libertà, democrazia e 
		diritti umani sarebbe l'unico reale passo avanti possibile.
 
		
		14 aprile 2005 
        
        f.punzi@radioradicale.it 
        * 
        Federico Punzi è il titolare del blog 
		
        
        JimMomo 
		  |