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        Germania 2005. Il rischio 
        consociativo di Pierluigi Mennitti
 [14 set 05]
 
 Solo un paese anziano e stanco come la Germania poteva spaventarsi di 
        fronte alla spinta innovativa proposta da Paul Kirchhof, il simpatico e 
        allampanato professore di Heidelberg catapultato da Angela Merkel alla 
        guida del Kompetenz-team della CDU per le questioni economiche e 
        finanziarie. Domenica in Germania si vota per rinnovare governo e 
        parlamento. E Kirchhof è stata la scelta migliore che la Merkel poteva 
        fare per dare contenuto e sostanza alla propria battaglia di riforma del 
        paese, che di riforme decise e incisive ha bisogno più di ogni altro in 
        Europa. Tanto è vero che i guru elettorali di Gerhard Schröder hanno 
        intuito il pericolo e sono corsi ai ripari nel modo più disonesto 
        possibile: spaventando l’elettorato e facendo passare Kirchhof per un 
        pericoloso tagliatore di sussidi e prebende. Se la CDU vuol avere ancora 
        una chance di successo nel voto di domenica e allontanare il rischio di 
        una Grosse Koalition, dovrebbe difendere le idee di Kirchhof fino 
        all’ultimo, enfatizzarle, farne la punta di diamante del ricostituente 
        economico con cui curare sette anni di malgoverno rosso-verde.
 
 Eppure la probabile cancelliera tentenna, non affronta con il piglio 
        dovuto la propaganda avversaria, anzi se ne lascia travolgere, 
        consumando il vantaggio nei confronti del suo avversario che solo un 
        mese fa era di 15 punti e che oggi si è molto ridotto. Ha richiamato in 
        campo l’esperto finanziario del partito, Friedrich Mertz, nel tentativo 
        di bilanciare e ammorbidire le proposte di Kirchhof. Dalla flat tax alla 
        flessibilità sul mercato del lavoro, si tratta in realtà di proposte in 
        grado di rimettere in cammino la depressa economia tedesca. Gli 
        elettori, dice la propaganda di sinistra, ne sono spaventati e non 
        vorrebbero rinunciare al costosissimo stato sociale. Ma gli altri? Si è 
        sicuri che il consenso scemato nelle ultime settimane non sia dovuto a 
        una certa debolezza carismatica che sta danneggiando la Merkel proprio 
        nel momento decisivo?
 
 La battaglia è sul filo del voto ed è aperta a molti risultati. La CDU 
        vuol governare in tandem con i liberali dell’FDP, guidati dall’insipido 
        Guido Westerwelle: devono raggiungere il 50 per cento dei consensi. 
        Dall’altra parte la coalizione uscente di SPD e Verdi non ha più il 
        consenso della maggioranza degli elettori. Ma i voti perduti, 
        soprattutto a sinistra, non si sono dispersi nell’astensionismo. Sono 
        stati raccolti dalla nuova lista dell’estrema sinistra (die Linke) nata 
        dalla fusione dei socialisti massimalisti di Lafontaine e dei 
        neo-comunisti di Gysi. I tre partiti di sinistra (SPD, Verdi, Linke) 
        guidano assieme il governo di Berlino ma una loro alleanza per il 
        governo federale è stata esclusa da Schröder. Questa volta c’è da 
        credergli. E tuttavia, questo sodalizio in negativo può togliere la 
        maggioranza al centro-destra. La soluzione, a questo punto, sarebbe 
        quella della Grosse Koalition, una santa (si fa per dire) alleanza tra i 
        due partiti maggiori, CDU e SPD. E’ già accaduto nella storia tedesca e 
        non sono stati gli anni migliori per il paese.
 
 I dati dei sondaggi cambiano di giorno in giorno, ma i trend delle 
        ultime settimane sono chiari. La CDU è in flessione, l’SPD in rimonta, i 
        Verdi stabili, in calo liberali e Linke. Ad oggi l’alleanza CDU-FDP 
        raggiungerebbe il 48,5 per cento e dunque non avrebbe la maggioranza per 
        governare. Ieri c’è stato il secondo confronto televisivo tra i 
        candidati alla cancelleria, confronto allargato ai leader di tutti i 
        partiti. I commentatori non hanno individuato un chiaro vincitore. Bene 
        è andata la Merkel, ma efficace e chiaro è apparso il cancelliere. E 
        tuttavia oggi i sondaggi segnano una nuova inversione di tendenza: la 
        CDU risale al 42 per cento (era al 40,5 quattro giorni fa), l’SPD cala 
        al 33,5 (era al 35 quattro giorni fa). Sostanzialmente stabili i partiti 
        più piccoli, con oscillazioni non superiori all’1 per cento: Linke 8, 
        Verdi 7, FDP 6,5.
 
 Ma seguire il dato dei sondaggi, quando la corsa è così serrata, serve 
        ormai a poco. Tutto si gioca sulle suggestioni e le speranze che i 
        candidati sapranno suscitare nelle ultime giornate di campagna 
        elettorale. Angela Merkel ha il timore di veder svanire una vittoria che 
        considerava ormai acquisita un mese fa. Gerhard Schröder è galvanizzato 
        da una possibile seconda resurrezione, dopo quella che tre anni fa gli 
        consentì di bruciare sul filo di lana il candidato del centro-destra 
        Edmund Stoiber. Il duo Lafontaine-Gysi spera di fare il pieno di voti ad 
        Est, dove i pronostici li danno al 26 per cento, seconda forza politica 
        subito dietro la CDU, e di far pesare questo dato nei futuri equilibri 
        della sinistra. Est e Ovest sono le due facce della Germania di oggi. A 
        quindici anni dalla riunificazione, si deve certificare il fallimento di 
        una lunga e costosa operazione. Sarà un’analisi che dovrà essere fatta 
        in altri articoli. Ma in queste elezioni peserà ancora lo scontro 
        rinnovato tra le due parti del paese, che è poi lo scontro di fondo tra 
        chi ha capito che la Germania deve uscire dall’era dello stato sociale e 
        chi si ostina a non volerne sapere. Uno scontro tra passato e futuro. Il 
        rischio, invece, è che alla fine l’elettorato non decida e che il paese 
        resti intrappolato nelle sabbie mobili di un compromesso neppure tanto 
        storico.
 
 14 settembre 2005
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