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        USA: l’asinello di Buridanodi Alessandro Gisotti
 [19 
        ott 05]
 dal quotidiano L'Indipendente
 
 Ai Democratici sta venendo l’acquolina in bocca. Dopo due sonanti 
        sconfitte consecutive alle presidenziali contro l’odiato Bush jr e dieci 
        anni di insuccessi alle elezioni parlamentari, il partito dell’asinello 
        spera che il vento su Washington stia ora cambiando direzione. Il calo 
        di popolarità del presidente e le inchieste giudiziarie che coinvolgono 
        alcuni esponenti di spicco del partito Repubblicano inducono i 
        Democratici a guardare con fiducia alle elezioni di mezzo termine del 
        prossimo anno per il rinnovo parziale del Congresso e ancor più alla 
        sfida del 2008 per la Casa Bianca. C’è perfino chi si è inventato un 
        portachiavi che segna quanto tempo manca alla fine del secondo mandato 
        del presidente repubblicano. La pubblicità di questo singolare gadget si 
        trova anche sul sito web della storica rivista della sinistra americana, 
        The Nation. Bastano 8,95 dollari per acquistare il Backwards Bush, 
        batterie incluse. “Con il conto alla rovescia, il tempo passa più 
        velocemente”, è lo slogan dell’inventore del portachiavi. Il rinnovato 
        clima di ottimismo negli ambienti democratici non riesce, tuttavia, a 
        nascondere i problemi irrisolti di un partito, che ritrova la sua 
        compattezza solamente quando c’è da sferrare un attacco contro 
        l’amministrazione Bush.
 
 D’altro canto, un sondaggio reso noto nei giorni scorsi dalla Fox News 
        mostra come l’unico candidato democratico alla Casa Bianca con chance di 
        vittoria sia la senatrice Hillary Clinton. La ex First Lady uscirebbe, 
        però, sconfitta da un ipotetico confronto con i due repubblicani più 
        popolari del momento: l’ex sindaco di New York, Rudy Giuliani, e il 
        senatore dell’Arizona, John McCain. I Democratici non sembrano dunque 
        capaci di approfittare della fase di appannamento del Grand Old Party. 
        Troppo divisi, inutilmente litigiosi, eccessivamente condizionati da 
        gruppi esterni al partito. Una condizione di debolezza riemersa in tutta 
        la sua evidenza durante il dibattito al Senato per la ratifica della 
        nomina presidenziale del giudice John Roberts a capo della Corte 
        Suprema. La leadership democratica è apparsa indecisa, ha traccheggiato, 
        quindi ha scelto di opporsi alla nomina. Si è scoperto però che prima 
        dell’annuncio del voto contrario a Roberts, il leader dei senatori 
        democratici, Harry Reid, ha incontrato i rappresentanti di ben 40 gruppi 
        di pressione, dalle organizzazioni femministe alle associazioni per i 
        diritti degli afro-americani, tutti contrari, senza se e senza ma, al 
        nome indicato da George W. Bush.
 
 Ancora una volta, il partito Democratico ha così dato l’impressione di 
        essere succube delle lobby e privo di leader autorevoli. Critica, 
        quest’ultima che ha recentemente investito anche il capogruppo dei 
        Democratici alla Camera, Nancy Pelosi. La parlamentare californiana ha 
        infatti incontrato l’opposizione di parte dei suoi colleghi alla 
        proposta d’istituzione di una commissione indipendente d’inchiesta 
        sull’uragano Katrina. In realtà, si tratta di un problema strutturale 
        prima ancora che di persone. Guardando al risultato della sfida 
        Bush-Kerry del 2004, gli elettori si sono dichiarati per il 21 per cento 
        liberal, per il 34 conservatori e per il 45 moderati. “Questi numeri – 
        rileva l’editorialista del Washington Post, E. J. Dionne jr – 
        evidenziano che i Democratici liberal sono molto più dipendenti da 
        alleanze politiche con il centro rispetto ai Repubblicani conservatori”. 
        Per avere reali possibilità di vittoria in futuro, il partito 
        Democratico deve perciò tentare di sottrarre elettori al campo 
        conservatore. Qui però viene il difficile, perché, come sottolinea 
        Dionne jr, alcuni pensano che tale risultato si possa ottenere 
        diventando più moderati su temi come l’aborto; secondo altri, invece, 
        bisogna spingere sull’acceleratore del populismo per conquistare quegli 
        elettori a basso reddito, socialmente conservatori.
 
 Nel dibattito in corso nella sinistra americana, si è inserito da ultimo 
        uno studio di due intellettuali democratici vicini a Bill Clinton, del 
        cui staff hanno fatto parte negli anni della presidenza democratica. 
        Secondo il rapporto stilato da William A. Galston e Elaine C. Kamarck, 
        il partito dell’asinello può riconquistare la Casa Bianca soltanto 
        puntando al centro. Il documento dei due studiosi contrasta l’opinione 
        di quanti, nel partito Democratico, vorrebbero seguire l’esempio di Karl 
        Rove, lo stratega di Bush che ha sempre messo l’accento sul 
        rafforzamento della propria base elettorale piuttosto che sulla 
        conquista del voto degli indecisi. Lo studio di Galston e Kamarck, 
        sponsorizzato dal movimento centrista democratico “Terza Via”, sostiene 
        che lo zoccolo duro conservatore è più consistente di quello liberal. 
        Per questo, è la conclusione a cui giungono i due ricercatori, diventa 
        necessario pescare consensi nel centro moderato più di quanto faccia il 
        partito Repubblicano. In sostanza, viene riproposta la strategia di 
        Clinton del 1992, quando l’ultimo inquilino democratico della Casa 
        Bianca vinse le presidenziali sulla base di un programma riformista, che 
        metteva in discussione anche quei totem della sinistra come il welfare 
        state. Non sarà un caso se una svolta di questo tipo è stata già 
        intrapresa dalla candidata in pectore, Hillary Clinton, su temi 
        fondamentali quali famiglia e sicurezza nazionale.
 
 19 ottobre 2005
 
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