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		The Road Map to Where?di Marco Vicenzino*
 [02 nov 05]
 
 La storia forse ricorderà l’incontro tra Mahamoud Abbas e George Bush 
		come un esercizio diplomatico privo di sostanza. Infatti Bush continua a 
		sottolineare la necessità di porre fine alla violenza politica, di 
		smantellare le reti impegnate in tali attività e impedire a certe 
		organizzazioni di partecipare alle elezioni legislative palestinesi del 
		Gennaio 2006. E Abbas, in mancanza della credibilità, dell’abilità e di 
		uomini per soddisfare queste richieste, pone l’accento sulla necessità 
		di recuperare la Road Map. In ogni caso, la domanda che si pone è: una 
		Road Map per dove?
 
 Le forze di sicurezza dell’Autorità palestinese stanno lottando per 
		fronteggiare la potenza armata delle milizie, che in molti casi hanno la 
		meglio. Inoltre dall’inizio della seconda Intifada, alla fine del 
		settembre 2000, le forze israeliane hanno seriamente ridimensionato 
		l’infrastruttura dell’ ANP attraverso attacchi continui e massicci. Le 
		autorità israeliane hanno sempre sostenuto che l’ Autorità palestinese 
		sponsorizzasse il terrorismo. Come conseguenza di lungo termine si è 
		creato un vuoto di sicurezza, poi ricoperto dai gruppi militanti 
		palestinesi. E il ritiro unilaterale di Israele da Gaza ha accelerato 
		questo processo. Ma sebbene Israele abbia lasciato Gaza, ne controlla 
		ancora i suoi confini, l’accesso marittimo e lo spazio aereo. Per gli 
		abitanti di Gaza, l’occupazione continua e la loro economia non è in 
		grado di svilupparsi. Per gli israeliani, viceversa, le esigenze di 
		sicurezza non sono ancora soddisfatte. In più, ogni atto di violenza 
		porta con sé una sospensione del dialogo e gli stati d’animo continuano 
		a ribollire, soprattutto nel West Bank.
 
 Quello che è indispensabile per spingere avanti il processo di pace è un 
		impegno supportato da un capitale politico che Bush, Sharon e Abbas 
		stanno tentando di trovare. Ma Bush sta affrontando il momento più 
		difficile della sua presidenza, con un sostegno in calo sull’Iraq, le 
		conseguenze dell’uragano Katrina, una crescente insoddisfazione della 
		sua base politica riguardo le nomine alla Corte Suprema e infine la 
		possibilità di incriminazione di membri chiave del personale della sua 
		amministrazione. E queste situazioni complicheranno certamente la sua 
		capacità di gestione di pressanti questioni internazionali.
 
 In Israele poi il ritiro da Gaza ha quasi spaccato il Likud e Sharon è a 
		malapena uscito politicamente indenne da una votazione entro il suo 
		stesso partito. Il suo interesse è quello di mantenere uniti il Likud e 
		la larga coalizione di governo. Le elezioni israeliane avranno luogo 
		alla fine del 2006. Comunque sia, un significante riassetto della 
		politica israeliana rimane un realtà, considerando la possibile 
		creazione di un nuovo partito centrista, guidato da Sharon, col compito 
		di completare il processo di pace. Per molti non c’è alternativa a 
		Sharon. Alla sua sinistra ci sono figure come quella di Ehud Barak e 
		alla sua destra rimane Netanyau, entrambi ex primi ministri che sono 
		stati fondamentalmente incapaci di portare avanti il processo di pace. 
		Nell’Agosto del 2005, il presidente egiziano, Hosni Mubarak, è arrivato 
		ad affermare che Sharon è l’unico israeliano che può portare a 
		compimento un processo di pace.
 
 Invece Mahmoud Abbas, nonostante sia rispettato per la sua onestà e 
		modestia, rimane politicamente debole. Come capo dell’Autorità 
		palestinese, eredita un passato di corruzione, cattiva amministrazione e 
		incompetenza. La scadenza della Road Map è prevista per il gennaio 2006, 
		e deve essere rivista per riflettere le attuali circostanze in campo. 
		Tuttavia, un aggiornamento del processo sulla carta sarebbe di scarso 
		valore se non venisse accompagnato da un reale cambiamento. Il che 
		significa, sostituire il senso prevalente di frustrazione e di 
		impossibilità che continua radicalizzare i palestinesi, in particolare i 
		giovani, con uno slancio positivo. Il fallimento di questa possibilità 
		potrebbe segnare l’inizio della terza Intifada e quindi un'altra 
		opportunità persa per la pace.
 
 02 novembre 2005
 
 traduzione dall’inglese di 
		Marta Brachini
 
        
        * Marco Vicenzino è stato Deputy Executive 
		Director dell'International Institute for Strategic Studies statunitense 
		e docente di Diritto internazionale alla School of International Service 
		dell'American University di Washington. Come analista e commentatore di 
		affari internazionali, ha collaborato con Financial Times, Le Figaro, El 
		Mundo, El Pais, La Vanguardia, Al Hayat e Panorama.
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