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		La lucida follia di Ahmadinejaddi Paolo Della Sala*
 [21 nov 05]
 
 Dopo le recenti 
        dichiarazioni del presidente iraniano abbiamo assistito, sulla stampa 
        europea e italiana, alla consueta Fiera delle Banalità. Qualcuno si è 
        scandalizzato, un politico si è dichiarato sorpreso, qualcun altro 
        “dispiaciuto”. Possibile tanta ipocrisia? Le parole di Mahmoud 
        Ahmadinejad non rappresentavano una novità, ma la cifra di un programma 
        di governo predicato da mesi e anni. La domanda che ogni analista di 
        geopolitica deve fare è: “Perché?”. Detta in altri termini: “Cui prodest?”. 
        Ogni dittatore ha una ragionevole dose di follia, ma ciò non significa 
        che lo si debba considerare un pazzo da curare. Occorre invece cercare 
        la logica, per quanto perversa, che sta dietro le azioni dei regimi 
        totalitari. Il polverone sollevato dalle parole di Ahmadinejad può 
        diventare più leggibile. La dura lotta per il nucleare, infatti, non 
        giustifica dichiarazioni che vanno in direzione contraria alla 
        diplomazia che finora è servita per tutelare le indomite buone relazioni 
        con la UE e la Russia. Dunque si tratta di altro: bisognerà guardare 
        allo scacchiere mediorientale a partire dal quadro iracheno. In Irak 
        infatti è in corso un altro tentativo di sterminio, come denuncia uno 
        straordinario articolo di 'Omran Salman, giornalista del Bahrein, nel 
        quale si rovesciano in maniera galileiana i termini della guerra 
        irachena. Salman (l’articolo è disponibile in inglese sul sito
        www.memri.org) 
        sostiene che va bene lo scandaloso caso della prigione di Abu Ghraib, 
        d'accordo sugli errori della guerra “occidentale”, ma (c'è un ma) è “dai 
        tempi della Shoah contro gli ebrei che non si assisteva a un caso di 
        sterminio come quello perpetrato da Al Qaeda nei confronti della 
        popolazione sciita”.
 
 Ovviamente alla dittatura dei mullah non interessa la sorte dei 
        correligionari sciiti che vivono in Irak, dal momento che solo pochi 
        decenni fa i komeinisti mandavano i loro figli a saltare sulle mine di 
        Saddam pur di permettere al proprio esercito una avanzata di qualche 
        centinaio di metri e uccidere altri sciiti iracheni. Per l’Iran è invece 
        prioritario mantenere buone relazioni con Al Qaeda. Il migliore sistema 
        per avere un buon vicinato con Bin Laden ed evitare una guerra 
        interaraba è quello di fare fronte comune in nome della Nuova Shoah. In 
        questi termini la convenienza è duplice: Al Qaeda conduce la sua guerra, 
        ma nello stesso tempo costringe Teheran a un gioco nel quale tutti 
        ricattano tutti, nella migliore tradizione delle satrapie. A sua volta 
        l’Iran offre una sponda al traballante regime siriano, mirando a 
        sostituirlo in Libano, e trova accordi con gli alawiti e i palestinesi 
        nel sud del Libano (dove la struttura più organizzata resta quella dei 
        terroristi sciiti filo iraniani Hezbollah). Questo spiega la verminosa 
        minaccia contro Israele. Purtroppo non si tratta di boutades: l’Iran, in 
        combutta con Al Qaeda, mira a guidare l’intero fronte dell’integralismo 
        arabo mondiale. Solo in questo modo Ahmadinejad può riuscire a 
        conseguire un duplice risultato: sul fronte interno, continuare a 
        mantenere sotto scacco l’odiato regime saudita (altro obiettivo in 
        comune con Bin Laden). Sul fronte inter-arabo, passare a condurre il 
        fronte antioccidentale è il migliore salvacondotto, la migliore garanzia 
        di sopravvivenza politica. La capacità iraniana di tessere alleanze col 
        fronte del petrolio con Chavez in Venezuela, è un altro modo di 
        assicurarsi l’ammirazione degli arabi sanniti.
 
 Si tratta di correre sul filo del rasoio, per non ritrovarsi con la 
        guerriglia sunnita in casa. La stessa filosofia machiavellica guida le 
        scelte di Bin Laden: nonostante la “purezza” wahabita, il leader degli 
        stragisti sa di aver bisogno di stati e di nazioni “amiche”, per 
        ottenere armi, appoggi, azioni di controspionaggio e denaro, cose non 
        realizzabili da una organizzazione clandestina.
 Anche questa non è una novità: l’alleanza stato-Al Qaeda è già stata 
        siglata in Afghanistan, nel Sudan, in Africa, e in Irak. Ora è il turno 
        di una alleanza inedita tra wahabiti e sciiti fondamentalisti. Gli 
        stessi russi appoggiano l’Iran sperando di poter alleggerire la 
        pressione fondamentalista nel fronte interno, o si tratta più 
        semplicemente di forniture di armi? Nelle relazioni tra Mosca e Teheran 
        rimangono molti punti oscuri: è concepibile che Putin consegni armi 
        atomiche a chi appoggia già ora il terrorismo islamico nel Caucaso e nel 
        settore a nord dell’Afghanistan?
 
		
        21 novembre 2005
 * Paolo Della Sala è il titolare del blog 
		
		
		Le guerre civili
 
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