Putin testa la sua nuova arma
di Federico Punzi
[12 gen 06]
Nell'arco di poche ore un accordo tra russi e ucraini sul nuovo prezzo
del gas siberiano destinato a Kiev è stato raggiunto. Un'intesa per 5
anni in cui Kiev si impegna a pagare più cara la bolletta del gas russo,
dagli attuali 50 dollari a ben 230 dollari (circa 190 euro), ma avendo
ottenuto da Mosca un aumento del 40% dei diritti di transito e di
comprare rifornimenti dall'Asia centrale a 95 dollari. Dunque non era
poi così difficile trovare un nuovo accordo che accontentasse le parti.
Se è vero che le rivendicazioni di Gazprom erano fondate (l'Ucraina
pagava un prezzo francamente fuori mercato e rubava quote di gas) è
anche vero che a Kiev non si poteva chiedere un aumento che non fosse
graduale, tale da non strozzare la sua economia, che la Bielorussia del
dittatore Lukhashenko, stretto alleato di Putin, guarda caso riceve
ancora un trattamento di favore, e che la clausola sul prezzo bloccato
fino al 2009 rivela il carattere tutto politico delle forzature di
Mosca.
Perché allora, da parte della Russia neo-autoritaria di Putin, ricorrere
a un atteggiamento così intransigente e aggressivo se poi un accordo si
è potuto trovare velocemente? C'era proprio bisogno di provocare questa
crisi? A quale scopo? Non di questione economica, ma di geopolitica si è
trattato. La sua rapida conclusione suggerisce che la crisi sia stata
provocata in modo strumentale da Putin per tenere a battesimo la sua
nuova arma di pressione internazionale da poco messa a punto: la leva
energetica da esercitare nei confronti di vicini riottosi e concorrenti
globali. Un disegno curato nei minimi dettagli che oggi assume ai nostri
occhi tratti inequivocabili.
Putin in questi anni ha pazientemente ri-nazionalizzato, attorno al
colosso Gazprom, le riserve energetiche russe, ricorrendo anche a una
campagna liberticida contro i cosiddetti oligarchi costata la galera
siberiana a Khodorkovskij, capo dell'ex colosso petrolifero Yukos. Ha
sapientemente coltivato buone relazioni personali con alcuni leader
occidentali, come Schroeder, Chirac e Berlusconi. Riportando d'autorità
sotto il controllo del Cremlino le risorse energetiche del paese Putin
persegue l'obiettivo non tanto di tutelare un settore strategico
dell'economia, quanto di farne un uso geopolitico, di dotarsi, nella sua
azione di politica estera, di un formidabile strumento di cui ha voluto
testare le potenzialità.
Fatte le debite proporzioni, si tratta del battesimo di una nuova arma,
come nel '45 il lancio della prima bomba atomica su Hiroshima servì
d'avvertimento all'Unione sovietica aprendo, dal punto di vista degli
armamenti, la Guerra Fredda. Il «nuovo deterrente» della Russia
postsovietica si chiama Gazprom, ha commentato ieri Enzo Bettiza su La
Stampa: «Né totalitaria né democratica, né alleata né avversaria
dell'Occidente, questa Russia spregiudicata e sfuggente come l'uomo del
Kgb che la guida ha assegnato al suo straordinario potenziale energetico
una valenza politica assoluta e, al tempo stesso, ha coniato
nell'irregolarità e nell'ambiguità il suo marchio di fabbrica
internazionale».
Il ricatto del gas pesa come un'ipoteca sulla giovane democrazia ucraina
e va certamente inteso come una forma d'intimidazione per la svolta
filo-occidentale del paese "arancione" che guarda sempre più all'Ue e
alla Nato. Putin spera già di condizionare le delicatissime elezioni
politiche danneggiando la presidenza Yuschenko, già indebolita da un
fronte riformatore in parte deluso e diviso al cospetto di un fronte
pro-russo guidato da Yanukovich in rimonta, ma il suo ricatto potrebbe
anche ricompattare gli "arancioni" dietro Yuschenko, visto come
vincitore nella crisi del gas.
Putin ha voluto sondare la reazione dell'Europa, dipendente in modo
cospicuo dal gas russo. L'avvertimento ha raggiunto le cancellerie
europee, soprattutto i nuovi membri dell'Ue, un tempo parte dell'impero
sovietico, i più dipendenti dalle forniture di Mosca e i più diffidenti
nei suoi confronti. La Russia ha fatto capire di voler giocare tutte le
sue carte, buone o cattive, per esercitare un ruolo globale da
superpotenza dell'energia. Per una volta l'America e l'Europa hanno
saputo fare fronte comune. Il Dipartimento di Stato Usa ha deplorato
pubblicamente l'uso dell'energia come arma di pressione politica
definendolo inaccettabile e l'Ue ha svolto un ruolo di mediazione che ha
favorito gli ucraini.
L'Occidente però ha finora chiuso gli occhi sulla vera questione, la
democrazia russa, e sulla condotta del Cremlino: l'accentramento
politico, con i governatori nominati direttamente da Mosca, le
restrizioni della libertà di stampa, il sistema giudiziario non
indipendente, la messa al bando delle ong, i crimini di guerra in
Cecenia, i legami con Siria e Iran. Bisogna riporre più fiducia nel
potere dell'Europa, perché se è vero che abbiamo bisogno del gas russo,
la Russia ha comunque bisogno di noi. E chissà che la sfida di Putin non
abbia sortito l'effetto opposto, cioè di aver svegliato, anziché
spaventato, l'Europa. Il prossimo G8, incentrato sulla sicurezza
energetica e ospitato proprio da colui che l'ha messa in pericolo nel
cuore dell'Europa, è un'occasione da non mancare, da parte dell'Unione,
di Stati Uniti e Giappone, per ricordare al presidente russo che se
vuole rimanere tra i grandi del mondo deve cominciare a comportarsi
responsabilmente.
12 gennaio 2006
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