Il Medio Oriente dopo Sharon
di Marco Vicenzino*
[12 gen 06]
L’impatto del probabile allontanamento di Ariel Sharon dalla politica
del Medio Oriente, a causa del serio ictus che l’ha colpito, modificherà
inevitabilmente il panorama politico israeliano e potrebbe segnare la
fine della Road Map, con enormi implicazioni per la pace e la stabilità
della regione e non solo. Per molti israeliani, Ariel Sharon era l’unica
figura politica contemporanea in grado di, e soprattutto dotata della
necessaria credibilità per, raggiungere un accordo di pace coi
palestinesi. E sebbene si discuta ancora sulle ragioni e gli scopi del
ritiro da Gaza, l’iniziativa di disimpegno è stata una chiara rottura
col passato ed ha dimostrato che la capacità d’iniziativa del premier
provoca regolarmente discussioni sia interne che internazionali.
Conosciuto come il bulldozer, il suo addio al partito Likud, di cui fu
membro fondatore negli anni Settanta, e la creazione del partito
centrista Kadima (Avanti) ha dato l’avvio a un riallineamento storico
nella politica israeliana ed ha dimostrato la sua determinazione al
raggiungimento di un accordo definitivo con i palestinesi in base ai
termini e alle condizioni poste da lui stesso, pienamente consapevole
delle sue forze e dei suoi limiti nel processo di pace.
Come incarnazione politica di Sharon, Kadima ha rappresentato il culmine
della sua carriera. E sebbene sia in testa in molti sondaggi per le
elezioni israeliane del 28 marzo, il futuro del partito rimane incerto.
Il vice primo ministro, e fedele consigliere di Sharon, Ehud Olmert
guiderà il governo alle elezioni e assumerà la leadership del nuovo
partito con la importante presenza di Shimon Peres, in un tentativo di
ottenere i voti decisivi del centro-sinistra. La migliore scelta di
Kadima potrebbe essere quella di promuovere un team, invece di un leader
unico, di rispettati politici d’esperienza come unica alternativa
percorribile per una pace con una garanzia di sicurezza. Il nuovo leader
del partito Laburista, Amir Peretz, guadagnerà difficilmente consensi
oltre quelli della base radicata a sinistra. Non gli basterà la sua
carriera di abile sindacalista per compensare la sua inesperienza e
mancanza di credibilità sul fronte della sicurezza, che rimane il
principale voting-factor e la prima preoccupazione per la maggior parte
degli israeliani. Il Likud, poi, sotto la leadership dell’ex primo
ministro Benjamin Netanyahu, trarrà grnde vantaggio dall’assenza di
Sahron. Per molti israeliani Netanyahu è l’unico che può assicurare
sicurezza per Israele. Andò al governo dopo la morte di Yitzak Rabin e
portò a termine gli accordi di Oslo. La storia può ripetersi. Una
vittoria di Natanyahu nelle elezioni del 28 marzo, come conseguenza
dell’allontanamento di Sharon o anche della sua morte, porrà fine
probabilmente a ogni tipo di ulteriore ritiro dal West Bank ipotizzato
da Sharon, porrà termine alla Road Map e staccherà la spina a un
processo che è già tenuto in vita artificialmente. Per molti palestinesi
le differenze tra Sharon e Netanyahu sono solo una questione di
sfumature.
I risultati delle elezioni legislative palestinesi del 28 gennaio
avranno un impatto inevitabile su quelle israeliane. Pur classificata
fra le organizzazione terroristica da Israele, Stati Uniti e Unione
Europea, Hamas otterrà un significante profitto politico. Qualche stima
prevede che più del 40 per cento dei seggi nel nuovo parlamento
palestinese potrebbe andare ad Hamas, determinado un ulteriore
slittamento verso destra in Israele. In altre parole, più voti per Hamas
si tradurranno possibilmente in più voti al Likud. Una vittoria del
Likud e una significante crescita di Hamas potrebbe esacerbare
ulteriormente l’ingorgo nel processo diplomatico. L’attuale senso di
paralisi ha contribuito a far crescere la frustrazione e il disincanto
dei giovani palestinesi e ha creato un ambiente volubile ed esplosivo
che potrebbe tramutarsi in una violenta rivolta a tutto campo segnando
l’inizio della terza intifada.
12 gennaio 2006
Traduzione di Marta Brachini
* Marco Vicenzino è stato Deputy Executive
Director dell'International Institute for Strategic Studies statunitense
e docente di Diritto internazionale alla School of International Service
dell'American University di Washington. Come analista e commentatore di
affari internazionali, ha collaborato con Financial Times, Le Figaro, El
Mundo, El Pais, La Vanguardia, Al Hayat e Panorama. |