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		L’Europa assentedi Rodolfo Bastianelli
 [01 mar 06]
 
 La vicenda delle vignette satiriche sull’Islam ed i violenti disordini 
		seguiti in segno di protesta in molti Paesi musulmani hanno riproposto 
		non solo la solita immagine di un’Europa priva di una politica estera 
		comune ma evidenziato soprattutto la sua incapacità a comprendere quanto 
		sia pericolosa la minaccia portata dal fondamentalismo islamico. Davanti 
		alle violente dimostrazioni popolari ed ai toni radicali ed ostili 
		assunti da diversi governi mediorientali, l’Unione Europea non solo non 
		è riuscita ad esprimere una linea diplomatica comune ma soprattutto ha 
		mancato di far sentire la sua voce, riproponendo le solite divisioni ed 
		i consueti ondeggiamenti che da tempo contraddistinguono la sua azione.
 
 Ed è questo un problema che si presenta ormai dal momento in cui il 
		crollo del comunismo ha fatto emergere un nuovo scenario internazionale 
		che nelle capitali europee ben pochi sembrano aver afferrato. Se negli 
		anni della “guerra fredda” la contrapposizione tra le due superpotenze e 
		l’ombrello difensivo statunitense avevano congelato qualsiasi iniziativa 
		diplomatica e militare del vecchio continente, con la fine del blocco 
		sovietico l’Europa credette che il tempo delle crisi e dei conflitti era 
		ormai finito e che spendere tempo e risorse sulla politica estera e la 
		difesa non fosse più necessario. Prima la crisi in Jugoslavia poi il 
		conflitto bosniaco e quello in Kosovo dimostrarono però non solo quanto 
		erano illusorie le aspettative sul nuovo ordine internazionale, ma 
		soprattutto il fatto che senza un adeguato dispositivo di deterrenza 
		militare l’Europa non aveva nessuna possibilità di svolgere un ruolo 
		attivo nella risoluzione delle crisi neanche in aree vicine al suo 
		territorio.
 
 Ma sarà dopo gli eventi dell’11 settembre che l’inadeguatezza della 
		risposta europea apparirà ancora più evidente. Invece di rafforzare la 
		collaborazione con gli Stati Uniti ed Israele, il terrorismo ed il 
		rischio di una proliferazione delle armi di distruzione di massa hanno 
		allontanato l’Europa dall’altra sponda dell’Atlantico spingendola a 
		ricercare o l’improbabile via del “dialogo critico” oppure a fare 
		affidamento su un’istituzione come le Nazioni Unite che da tempo 
		attraversa una grave crisi di credibilità. E’ chiaro che nessuno invoca 
		il ritorno alle “politiche delle cannoniere” di ottocentesca memoria od 
		ai toni bellicosi di un tempo; ma è altrettanto ovvio che riproponendo 
		politiche di integrazione risultate fallimentari, rispolverando la 
		diplomazia dell’equidistanza e della neutralità sul modello di quanto 
		fatto negli anni Settanta o, peggio ancora, sognando di dar vita ad 
		internazionali pacifiste, non si va da nessuna parte. Se l’Europa vuole 
		veramente contrastare la minaccia terroristica deve prima di tutto 
		ripensare la sua politica estera di questi ultimi anni, dotarsi di 
		adeguati strumenti di analisi ed intelligence per comprendere i nuovi 
		scenari internazionali, avviare dei veri progetti di integrazione nella 
		difesa per disporre di una forza militare qualitativamente efficace e 
		soprattutto abbandonare i falsi perbenismi del “politically correct”.
 
 Dopo la bocciatura del progetto di costituzione avvenuta lo scorso anno 
		l’Unione Europea attraversa oggi una fase di profonda crisi ed 
		impopolarità, essendo vista dall’opinione pubblica di molti Paesi solo 
		come una struttura burocratica legata al mondo economico e finanziario. 
		Quest’Europa quindi deve cambiare, se non vuole trasformarsi in un forum 
		attento solo al controllo dei conti pubblici ed al rispetto dei 
		parametri della moneta unica.
 
 01 marzo 2006
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