Iran e Corea del Nord: il rischio atomico degli
stati canaglia
di Rodolfo Bastianelli
[18 mag 06]
Tra le tante questioni che in questi ultimi anni la diplomazia si è
trovata ad affrontare, quella riguardante la proliferazione è stata
forse la più difficile da gestire. Ma i rischi della corsa all’arma
atomica non derivano tanto dalla crescita del numero di paesi dotati di
arsenali nucleari, quanto dal fatto che la maggior parte di questi sia
costituito da stati considerati sostenitori del terrorismo
internazionale e quindi in grado di esercitare un’azione
destabilizzatrice sugli equilibri e la sicurezza internazionale.
All’esclusivo club atomico inizialmente formato da Stati Uniti, Unione
Sovietica, Gran Bretagna, Francia e Cina, negli anni si sono aggiunti
prima Israele ed il Sudafrica – la cui forza nucleare è stata però
smantellata dopo la fine del regime dell’apartheid – poi India e
Pakistan, mentre è probabile che tra poco tempo a questi possano
aggiungersi anche l’Iran e la Corea del Nord, se riusciranno a portare a
termine i loro programmi.
Ed è da questo punto che si deve partire per comprendere se la sfida
portata avanti dai regimi di Teheran e Pyongyang costituisca una
minaccia per la comunità internazionale e se questa disponga di
strumenti e mezzi diplomatici adeguati per risolverla. Al primo di
questi interrogativi si può rispondere affermativamente, in quanto il
programma nucleare iraniano e nordcoreano costituisce un pericolo per
almeno due ragioni.
La prima è costituita dagli obiettivi che si propone il progetto portato
avanti da Iran e Corea del Nord: se un paese decide di dotarsi di una
forza nucleare è essenzialmente perché vuole disporre di uno strumento
di dissuasione con il quale controbilanciare lo stesso tipo di armamento
posseduto da una potenza rivale. E questa motivazione non sussiste per
Teheran e Pyongyang. Nessuno degli stati confinanti con l’Iran e la
Corea del Nord, infatti, posseggono armi nucleari e non va dimenticato,
inoltre, come le loro Forze Armate dispongano di un numero di effettivi
e di un armamento convenzionale di gran lunga superiore a quello dei
paesi vicini. Nel caso iraniano non regge neanche il pretesto che il suo
programma costituisca un contrappeso al possesso di armi nucleari da
parte di Israele. Quello israeliano era un progetto essenzialmente
difensivo, che il governo di Tel Aviv decise di realizzare negli anni in
cui non si intravedeva nessuna prospettiva di pace con i paesi arabi e
allo scopo di disporre di una forza di dissuasione da utilizzare come
estremo rimedio qualora in un conflitto le sue Forze Armate fossero
state sopraffate e la stessa esistenza di Israele posta a rischio.
Il motivo per cui Teheran e Pyongyang desiderano dotarsi di un arsenale
nucleare è esclusivamente politico. La Corea del Nord vede nell’arma
atomica uno strumento per garantire la sopravvivenza del regime di Kim
Jong Il, mentre l’Iran punta a dotarsi di un arsenale nucleare per
assumere il ruolo di difensore della causa islamica e per rafforzare la
sua immagine presso tutte quelle forze radicali contrarie a qualsiasi
apertura ad Israele ed agli Stati Uniti.
Ed è qui che entriamo nella seconda, e sicuramente più importante,
obiezione che si può sollevare sul programma nucleare di Teheran e
Pyongyang: la natura politica dei due regimi. Se a dotarsi di una forza
di dissuasione nucleare sono degli stati democratici – come fu il caso
della Francia quando decise di creare la propria “force de frappe” negli
anni Sessanta – per sole ragioni difensive è chiaro che il problema per
la comunità internazionale non si pone. Ma se a farlo sono un paese
chiuso al mondo esterno guidato da un dittatura paranoica o una
teocrazia che nega l’Olocausto e minaccia di distruggere un altro stato,
allora il discorso cambia.
L’Iran è considerato da tempo uno dei principali sponsor del terrorismo
internazionale, accusato di finanziare e sostenere diversi gruppi
islamici radicali responsabili di numerosi attentati e ritenuti contrari
al processo di pace in Medio Oriente. Paradossalmente, in questo quadro,
il programma nucleare nordcoreano finisce per suscitare meno
apprensione, in quanto il regime di Pyongyang punta più a mantenersi in
vita che non a destabilizzare gli altri paesi della regione.
Se negli anni della “guerra fredda” ad impedire a Mosca e Washington di
arrivare ad un conflitto fu la consapovolezza che l’utilizzo delle armi
atomiche le avrebbe portate alla reciproca distruzione, oggi, al
contrario, nessuno può prevedere quale sarebbe la reazione di un Iran o
di una Corea del Nord dotate di un arsenale nucleare di fronte ad una
crisi internazionale. In entrambi i Paesi non vi è alcun meccanismo di
controllo sull’operato delle Forze Armate che rappresentano solo uno
strumento del regime al potere e non esiste una precisa catena di
comando in grado di stabilire a chi spetterebbe un eventuale potere di
utilizzo dell’armamento nucleare nazionale. In sostanza, nessuno può
dire come e dove verrebbero custodite le testate e quali garanzie vi
sarebbero contro un loro improprio utilizzo.
Le opzioni di cui dispone la comunità internazionale sono alquanto
limitate. Ipotizzare un rovesciamento dei due regimi è del tutto
inverosimile: la Corea del Nord è chiusa a qualsiasi influenza esterna e
non vi è alcuna forma di dissenso organizzato ed in Iran, pur essendovi
sempre più ampi settori della popolazione contrari al regime, per il
momento non esiste alcuna alternativa concreta in grado di sostituirsi
alla teocrazia ed al contrario è possibile che in caso di un
aggravamento della crisi Ahmadinejad possa far leva sul nazionalismo per
ricompattare la popolazione. Improbabile appare anche l’ipotesi di
un’azione militare anche se nel caso dell’Iran, come hanno ricordato
alcuni osservatori, questa non si può escludere a priori. La limitatezza
delle soluzioni disponibili non deve però indurre la comunità
internazionale ad accettare passivamente la situazione, e questo oggi
vale soprattutto per Teheran. Proprio sui timori e le incertezze gioca
infatti il regime iraniano per portare avanti il suo programma nucleare
e porre così Stati Uniti ed Unione Europea di fronte al fatto compiuto.
Se si vuole evitare che il Medio Oriente sprofondi in una crisi dagli
esiti imprevedibili e far ripartire il negoziato tra Israele ed ANP si
deve impedire a Teheran di dotarsi dell’arma nucleare. Senza se e senza
ma.
18 maggio 2006
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