Viaggio a Barcellona tra antichi splendori e moderni fallimenti
di Domenico Naso
[13 giu 06]
“No estamos en España, estamos en Catalunya”. E’ questo il leit motiv
che accompagna il viaggiatore che a Barcellona si abbandona a confusioni
(o presunte tali) politico-culturali. A chi si lamenta ancora oggi delle
pittoresche intemperanze leghiste del passato, è fortemente consigliata
una full immersion nel folle nazionalismo catalano. Certo, la situazione
catalana è diversa: esiste un’altra lingua, un’altra origine
storico-culturale. Ma l’orgoglio catalano è davvero eccessivo, più
simile al fanatismo che ad una seria e coerente rivendicazione politica.
Te ne accorgi per strada, quando noti che da qualche anno le indicazioni
non sono più bilingue ma solo in catalano. Te ne accorgi parlando con la
gente che si offende (e risponde seccata) quando dici “Voi spagnoli…” o
“Qui in Spagna…”. E te ne accorgi soprattutto in questo periodo, con il
referendum sulla riforma dell’Estatut alle porte.
Il 18
giugno i catalani decideranno se dire Sì o No all’incosciente riforma
costituzionale di Zapatero e dei suoi sodali del PSC (Partito Socialista
Catalano), che di fatto rischia di disgregare lo Stato spagnolo. I
catalani sono divisi e discutono sul referendum. Badate bene, però: chi
ha optato per il No, nella maggior parte dei casi, lo ha fatto solo
perché giudica la riforma troppo morbida (sic), come ad esempio gli
estremisti della Esquerra Republicana.
Ma dopo i primi due o tre giorni di permanenza ci si abitua agli eccessi
nazionalistici di Barcellona e si inizia a conoscere anche il
caleidoscopico spettro di cose che offre. Il turista banale, il Marco
Polo “de noantri”, si accontenta di andare su e giù per la Rambla, con
due sole variazioni sul tema dedicate alle classiche tappe obbligate
alla Sagrada Famiglia e al Montjuic. Chi invece vuole conoscere la vera
Barcellona deve assolutamente tenere in considerazione i due cuori
pulsanti della città, così diversi tra loro eppure entrambi
rappresentativi dello spirito della capitale catalana: il Barrio Gotico
e l’Eixample.
Il primo è
un monumento al fallimento della società multiculturale europea.
Migliaia di immigrati (soprattutto maghrebini) hanno di fatto occupato
il Borne, il Raval, la Ribera, scegliendo così di autorecludersi in una
sorta di ghetto impenetrabile. Prostituzione, spaccio di droga,
criminalità: sono le caratteristiche di una zona bellissima e ricca di
storia, che oggi è vittima della decadenza culturale del nostro
continente.
L’Eixample, soprattutto la parte sinistra, è invece l’esatto opposto. La
libertà (perlomeno quella dei costumi) la fa da padrona. Il Gaixample è
un inno alla diversità, a partire da quella sessuale fino ad arrivare
alle semplici differenze di nazionalità. E’ il quartiere universitario,
il luogo di incontro delle migliaia di studenti europei che ogni anno
scelgono Barcellona come meta della loro esperienza Erasmus (immortalata
magistralmente dal recente film L’Appartamento Spagnolo). Quello che
colpisce il viaggiatore italiano che passeggia per le vie dell’Eixample
è l’assoluta naturalezza con la quale ciascuno vive la propria
sessualità. Insomma, magari la legge di Zapatero sui matrimoni
omosessuali non ci piace, però la libertà sessuale in Spagna (e in
Catalogna, ovviamente) è una meta raggiunta da tempo, ben prima che i
movimenti gay italiani salutassero con grida (smodate) di giubilo
l’arrivo alla Moncloa del “democratico” salvatore dei diritti José Luis.
Ma Barcellona (grazie a Dio) non è solo un paradiso sessuale. E’ altro.
E’ un modello economico, è una città ricca e produttiva che ha saputo
sfruttare al meglio la sua “diversità” (eccola che torna) rispetto al
resto della Spagna. I catalani si sentono un po’ come i nostri milanesi.
Pensano di lavorare e pagare le tasse anche per il resto del paese, e
non lo sopportano. Urbanisticamente, poi, la città è un vero gioiello.
L’Eixample, con la sua struttura perfettamente reticolare, dà al cuore
della città un aspetto ordinato e composto. Il modernismo di Gaudì (e
dei suoi allievi) prima e le Olimpiadi del ’92 poi, hanno completato
egregiamente l’opera. Barcellona può degnamente essere considerata,
dunque, una delle città più belle d’Europa.
Tutto quello che abbiamo scritto fino ad ora, tuttavia non può e non
deve farci dimenticare i problemi e le brutture di una città che rischia
di diventare un gran calderone all’interno del quale ci può stare tutto
e il contrario di tutto. Un’immensa Babele che maschera un relativismo
esasperato con un fantomatico e non meglio definito concetto di
“libertà”. Accanto alla libertà dei costumi, infatti, convivono cose
opposte e antitetiche, che rischiano di farci dimenticare quanto di
buono abbiamo elencato fino a questo momento. Un esempio banale: provate
a saltare o ad altalenarvi usando i poggiamano di una vagone della
metropolitana. Alla stazione successiva saliranno due agenti della
vigilanza che in catalano (non provate nemmeno a dire che non capite
l’idioma locale, per loro è uguale, continueranno a parlare così) vi
intimeranno con modi burberi di smetterla. Sono i grandi successi della
videosorveglianza, una delle mode più in voga nella Spagna confusa del
III millennio. Tutto è videosorvegliato: le strade, la metropolitana,
persino le scale mobili che portano al Parc Guell. Il tutto in perfetto
stile Grande Fratello (quello orwelliano, ovviamente). E i poliziotti
catalani (la Guardia Civil è stata sbattuta fuori dalla Catalogna in
nome dell’autonomia) somigliano sempre più agli agenti della
psicopolizia. Orwell oggi scriverebbe comunque il suo Omaggio alla
Catalogna? Crediamo di no. Purtroppo.
13 giugno 2006 |