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		Il triangolo del terroredi Gabriele Cazzulini*
 [04 ott 06]
 
        America del Sud. Al confine tra Brasile, Argentina e Paraguay uno 
        sconosciuto spicchio di crosta terrestre contiene uno degli snodi del 
        terrorismo islamico. Non è un luogo definito, ma una sorta di terra di 
        nessuno a cui tutti possono accedere. E’ la Tripla Frontera, la triplice 
        frontiera. Sulla cartina geografica, contraddistinta dall’incrocio dei 
        fiumi Iguazu e Paranà, è segnata la presenza delle cascate più grandi 
        del mondo, le cascate Iguazu. Tre grandi centri urbani, Ciudad del Este, 
        Foz do Iguazu e Puertu Iguazu, ognuno appartenente ad uno dei tre stati 
        confinanti, tracciano i vertici di un triangolo che sta rafforzando la 
        sua pericolosità internazionale.
		
		 
        Grazie alla prossimità geografica e ad una sorveglianza confinaria 
        praticamente inesistente, la Triple Frontera si è ritagliata fuori dalle 
        giurisdizioni nazionali per diventare una zona franca in mano alla 
        criminalità. Contrabbando, traffico di droga e riciclaggio di denaro 
        sporco sono da sempre i prodotti tipici di quest’area, che da sempre 
        calamita l’immigrazione clandestina. L’adesione degli stati della 
        triplice frontiera al Mercosur spalanca frontiere già prive di 
        controlli, mentre lo spazio aereo non è sorvegliato da alcun radar. I 
        tipi comuni sono facilmente immaginabili: sacoleiros che trasportano su 
        improvvisate valigie da profughi ogni genere di mercanzia, e paseros che 
        come topi ogni giorno passano bucando una frontiera-groviera. 
 I satelliti americani hanno incominciato a puntare questa sperduta e 
        ridotta zona non appena acquistò proporzioni preoccupanti la forza della 
        tradizionale colonizzazione di emigranti arabi, principalmente sciiti 
        libanesi, ma anche iraniani – la cui presenza è ben visibile nelle 
        numerose moschee. Il loro centro di stanziamento è Ciudad del Este, sul 
        versante paraguayano. E’ il vertice debole del triangolo perché il 
        Paraguay non ha adottato una legge contro il terrorismo dopo il 9/11, e 
        perché attraversare la frontiera è quasi un gioco da ragazzi, 
        facilitando ulteriormente l’infiltrazione di organizzazioni 
        fondamentaliste islamiche. A Ciudad del Este è ormai pronta l’imponente 
        diga idroelettrica di Itaipu, che ha fatto della città il secondo polo 
        economico del Paraguay. I suoi 240.000 residenti producono circa il 60% 
        del Pil, ed è la terza zona tax-free del mondo dopo Hong Kong e Miami, 
        ma anche un’area ad altissimo tasso di criminalità. La comunità araba è 
        diventata la spina dorsale per l’impetuoso sviluppo economico della 
        Tripla Frontera.
 
        Al di sotto di traffici di software piratato, nel 2001 la polizia locale 
        ha individuato una rete di finanziamento che trasferiva i proventi dei 
        traffici sul conto di un’ala estrema di Hezbollah (al Muqawama), 
        coinvolta nell’attentato contro l’ambasciata israeliana a Buenos Aires 
        del 1992. La credibilità della schedatura dell’area come altamente 
        pericolosa per l’attività terrorista è dimostrata dalla cronologia. Il 
        Dipartimento di Stato americano ha iniziato a monitorare la Triple 
        Frontera già nel 2000, un anno prima dell’attacco alle torri gemelle, 
        approfondendo i legami tra la comunità araba e i gruppi terroristi 
        operanti nel Medioriente. Anche il Mossad israeliano ha calcolato in un 
        20% la quota di finanziamento versata nelle casse di Hamas dalle 
        organizzazioni operanti sulla triplice frontiera, collegate in un 
        network di banche nordamericane ed europee. Ma fino al 9/11 la 
        situazione rimane in stallo per il timore delle autorità paraguayane di 
        entrare in conflitto con il potere economico della comunità araba, ormai 
        pilastro nazionale.
 Dopo il 9/11 però l’alleanza con gli USA prevale e Asuncion intraprende 
        un rastrellamento sulla Triple Frontera che scardina quella che si 
        scoprirà essere una collaudata rete di finanziamento, reclutamento e 
        sostegno di Hezbollah. Tra le centinaia di videocassette sequestrate in 
        uno dei tanti ipermercati dell’elettronica low-cost gestiti dalla 
        comunità araba, la polizia paraguayana rinviene abbondante materiale di 
        propaganda pro-Hezbollah. Si risale ad Assad Ahmad Barakat, fuggito nel 
        1985 dal Libano e figlio dell’autista di un politico libanese. Di giorno 
        commerciante, ma di notte collettore di fondi per Hezbollah, a cui 
        inviava tra i 25 e i 30 mila dollari al mese. Tra le carte di Barakat 
        spunta fuori la “smoking gun” che lo inchioda: una lettera di 
        ringraziamento per i suoi contributi, autografata da Hassan Nasrallah. 
        Indymedia e il carrozzone mediatico antiamericano provano a sgonfiare la 
        pericolosità della zona, in cui nessuno ha mai visto in faccia Bin Laden 
        o Nasrallah, sparando poi la solita cartuccia dell’imperialismo 
        americano. Parole che non cambiano la realtà dei fatti.
 
 La reazione americana è fulminea: già il 18 settembre 2001 il 
        Dipartimento di Stato americano include la Triple Frontera, l’Iraq e una 
        non meglio precisata area dell’Asia meridionale nel ventaglio delle tre 
        ipotesi per la controffensiva americana dopo il 9/11. Fautori di un 
        intervento militare in America del Sud sono il consigliere alla difesa 
        Michael Maloof (specializzato nel controllo sull’export per il 
        Dipartimento alla Difesa e poi figura chiave nell’investigare i 
        collegamenti tra Iraq e al Qaeda) e l’esperto di Medioriente David 
        Wurmser (fellow dell’American Enterprise Institute), successivamente 
        consigliere di Dick Cheney.
 
 Anni prima, tra il 1992 e il 1994, una raffica di attentati terroristici 
        insanguina l’America Latina: nel 1992 a Buenos Aires un’esplosione 
        contro l’ambasciata israeliana (29 morti), seguita due anni più tardi 
        nella stessa città da un ordigno contro l’Associazione di Amicizia 
        Argentino-Israeliana (96 morti) – nello stesso giorno (19 luglio) in cui 
        un’altra bomba fece esplodere aereo esplose in volo su Panama. Dito 
        puntato contro Ansarollah, i partigiani di Dio, costola di Hezbollah, 
        che rivendica la bomba sull’aereo. Ma ieri come oggi la diplomazia di 
        Teheran protegge i suoi fratelli libanesi. La mano non cambia, e neanche 
        l’obiettivo: la comunità israeliana in Argentina è la più cospicua dopo 
        quella nordamericana. La capacità di sferrare attacchi di tale portata 
        presuppone la presenza di un centro d’organizzazione. Ma per la perfetta 
        conoscenza del territorio richiesta in questo genere di operazioni è 
        improbabile che tale centro sia fuori dall’America Latina.
 Parentesi italiana tragicomica: il quotidiano Liberazione nel giugno 
        2004 raccoglie l’anonima dichiarazione di un agente dell’intelligence 
        argentina, il quale smentisce risolutamente che nell’area della triplice 
        frontiera fossero presenti cellule di al Qaeda, all’epoca bersaglio 
        numero uno degli USA. Ecco le sue parole: “dopo le stragi a Buenos Aires 
        in quell’area sono rimasti solo sostenitori di Hezbollah e di alcuni 
        gruppi radicali palestinesi”. E’ proprio vero.
 
 Dopo l’attacco all’Afghanistan e all’Iraq, gli USA adottano una 
        strategia differente, più silenziosa e protesa alla cooperazione. 
        Nell’estate 2004 avviano un’intensa attività diplomatica col Paraguay, 
        governo più vicino agli USA rispetto all’Argentina e al Brasile. Persino 
        Rumsfeld, numero uno del Pentagono, va in viaggio ad Asuncion, ad 
        esprimere il sostegno americano al neoeletto presidente Duarte, che è 
        anche il primo presidente paraguayano ad essere invitato alla Casa 
        Bianca. Il punto di svolta nelle relazioni bilaterali USA-Paraguay è un 
        incontro più riservato tra Luis Castiglioni e la coppia Cheney-Rumsfeld. 
        Oggetto della trattativa è stata l’adesione di Asuncion al CTFP (Counter 
        Terrorism Fellowship Program), istituito nel 2002 per “finanziare 
        ufficiali militari stranieri affinché frequentino istituzioni militari 
        statunitensi individuando centri regionali di addestramento non-letale”. 
        Il fondo consente al segretario alla difesa un budget annuale di venti 
        milioni di dollari. Il Paraguay beneficia degli investimenti del CTFP 
        per 340.000 $ nel 2003, 240.000 $ nel 2004, 200.000 $ per il 2005 per 
        ridursi a 100.000 $ nel 2006. I soliti dietrologi possono constatare 
        come i finanziamenti americani siano notevolmente inferiori a quelli 
        raccolti dai sostenitori dei terroristi.
 
 Gli effetti della partnership diplomatica sono immediati. Il parlamento 
        paraguayano prima approva un’intesa per consentire all’esercito 
        statunitense di effettuare operazioni in vari punti del paese, per un 
        periodo di diciotto mesi, ovviamente rinnovabili. Poi la portata 
        dell’accordo si estende: il senato di Asuncion sottrae i militari USA 
        operanti sul suo territorio dalla giurisdizione del tribunale penale 
        internazionale, secondo analoghi accordi che gli USA stipulano con altri 
        paesi. Dalle parole ai fatti: i media locali scoprono che in prossimità 
        della Triple Frontera è in costruzione una base per qualche migliaio di 
        militari americani. La base include anche una torre di controllo ed una 
        pista aerea (doppia rispetto a quella della capitale Asuncion) per 
        velivoli da grandi trasporti (B52, C130 Hercules).
 Da ultimo, la pressione americana sui paesi della Triple Frontera 
        conduce nell’agosto scorso all’istituzione di un Centro Regionale di 
        Intelligence, localizzato proprio sul triplice confine. E’ un’iniziativa 
        congiunta USA-Brasile con la partecipazione di Paraguay e Argentina con 
        lo scopo di “sostenere gli sforzi del governo brasiliano nel combattere 
        gli illeciti che si verificano nella triplice frontiera mediante 
        l’intensificazione dei rapporti con gli organismi di sicurezza argentini 
        e paraguayani”.
 
 Localismo contro terrorismo
 
 Gli USA riescono così a controllare direttamente le ramificazioni 
        globali degli estremisti islamici nella triplice frontiera. La guerra al 
        terrore scava una nuova trincea nel paradiso latinoamericano dei 
        terroristi – questa volta senza ricorrere alle armi ed esporsi alla 
        visibilità internazionale. Ma senza neppure abbassare la guardia. E’ una 
        strategia inversa alla globalizzazione della lotta al terrore, che in 
        questo caso si ribalta nel suo opposto, cioè in una localizzazione del 
        conflitto in una superficie ridotta. Si tratta di una prospettiva che 
        colpisce il fronte anti-americano nel suo punto debole, cioè il 
        controllo del territorio interno. La presenza della base americana è un 
        deterrente a bassa intensità contro colpi di mano o sostegno clandestino 
        che, nel caso del terrorismo islamico, rappresentano entrambi 
        un’identica minaccia.
 
 Ma il senso della strategia americana fa maturare una lotta al 
        terrorismo a più ampio raggio. La Tripla Frontera è limitrofa allo 
        sterminato bacino acquifero del Guaranì, per il 70% in territorio 
        brasiliano, per il 20% in Argentina e il restante 10% diviso tra Uruguay 
        e Paraguay. Un milione e settecentomila chilometri quadrati capaci di 
        soddisfare il fabbisogno idrico di oltre settecentomilioni di persone – 
        un piatto troppo ghiotto per tenerlo lontano dalle voraci bocche dei 
        despoti in stile chavista. Oltre alla sete d’acqua, il bacino del 
        Guaranì potrebbe soddisfare la brama di potere del fronte 
        anti-americano, abile nel convertire le risorse naturali in armi puntate 
        contro Washington. Dall’oro nero all’oro blu il passo può essere 
        brevissimo, specialmente quando nel Mercosur è piombato il Venezuela. 
        Ancora una volta i no-global invocano l’espulsione dal Paraguay dei 
        soldati USA e, già che ci sono, anche della Banca Mondiale, accusata di 
        voler “imbottigliare” le acque del bacino del Guaranì. Ma guai a chi 
        tocca i terroristi.
 
 04 ottobre 2006
 
        * Gabriele 
        Cazzulini è il titolare del blog
        
        Joyce |