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              Mel Gibson, lo scandalo della Passionedi Aldo G. Ricci
 
 Mi sembra evidente che il crescendo di polemiche che ci ha 
              accompagnato alla data del 7 aprile per assistere finalmente 
              all’uscita dell’ultimo film di Mel Gibson, La Passione di Cristo, 
              risponda a una precisa logica commerciale. Ma questa, a mio 
              giudizio è solo una parte della verità, perché quello che si sta 
              muovendo intorno al film di Gibson non è solo gossip dei media per 
              lanciare un prodotto, è anche scandalo vero, indotto da un’opera 
              che va a toccare in profondità ferite mai rimarginate della 
              coscienza universale. Si tratta, ovviamente, e in primo luogo, 
              della ferita che è all’origine della nostra cultura e della nostra 
              civiltà cristiana, nella quale siamo nati e ci siamo formati. Una 
              ferita che nasce dal dolore e dall’ amore: il dolore di una 
              passione fatta di carne , sangue e morte, morte di un Dio che si è 
              fatto uomo; e amore, un amore universale capace dell’estremo 
              sacrificio per un’ umanità che da sola non può andare oltre la sua 
              contingenza intrisa di peccato. Una ferita che è uno scandalo in 
              sé, lo scandalo della Croce, del tormento del Giusto che scelse la 
              via della massima sofferenza e umiliazione per salvare una 
              speranza di salvezza umana che, vista sul teatro della storia, 
              2000 anni dopo quel sacrificio, non sembra ancora all’orizzonte. 
              Ma quella parte dell’umanità che si richiama alla tradizione 
              cristiana non sembra neppure capace di memoria, se pensiamo che in 
              un mondo in cui la religione, nelle sue versioni più integraliste, 
              sta tornando alla ribalta come strumento d’identità e di lotta per 
              la supremazia, il messaggio cristiano, al contrario, ha perso 
              negli ultimi decenni gran parte del suo impatto originario, 
              riducendosi, almeno nella versione prevalente, a buonismo 
              pacifista, politicamente ed ecologicamente corretto. Ne è un 
              sintomo la preoccupazione di molti opinionisti cattolici (più che 
              delle gerarchie) per le reazioni critiche nei confronti di un film 
              ‘colpevole’ soltanto di riproporre lo scandalo della Croce nella 
              sua sanguinosa realtà.
 
 L’allarme è stato suonato dagli ambienti più diversi. Hanno 
              cominciato le comunità ebraiche americane, denunciando i pericoli 
              di una rinascita dell’antisemitismo, per la crudezza delle scene 
              del martirio e il ruolo degli ebrei. Hanno proseguito gli ambienti 
              liberal americani , con il supporto di alcune chiese protestanti 
              (di solito, al contrario, piuttosto conservatrici), preoccupati 
              della rinascita di un fanatismo religioso cristiano. La reazione 
              del pubblico, che ha riempito le sale, uscendone colpito al cuore, 
              ha costretto però molti a rivedere le proprie posizioni. In Italia 
              si è andati anche oltre. Sergio Luzzatto, sul Corriere della sera, 
              ha individuato addirittura (ironicamente, ma non troppo) nella 
              Storia di Cristo di Giovanni Papini, intrisa, secondo 
              l’articolista, di antisemitismo, il testo ispiratore di Gibson, 
              che rincorrerebbe la platea sul terreno del pulp e dello splatter, 
              per aprire la strada, più o meno consapevolmente, a un ritorno di 
              vecchi fanatismi e di vecchi fantasmi. Non so se il film mi 
              piacerà, non avendolo ancora visto quando scrivo, ma questo non è 
              essenziale. Quanto lo ha preceduto mi basta per affermare 
              sommessamente che il clamore preventivo manifesta forse 
              l’attualità del messaggio, e che il mondo cristiano sta mal messo 
              se deve giustificarsi e sentirsi in imbarazzo per un tentativo di 
              riproporre, in tempi di ecumenismo e sincretismo religioso, lo 
              scandalo della Croce in termini realistici. Se bisogna chiedere il 
              permesso anche per questo, tanto vale chiudere i battenti.
 
              
              7 aprile 2004
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