Il mondo fantastico di Big Fish
di Giampiero Ricci

Ogni artista ha un percorso. Quello di Tim Burton è dipinto sul suo viso. Quello di un uomo preso a cercare di afferrare qua e là qualcosa che gli sfugge. Prima di Big Fish nella sua filmografia spiccano Beetlejuice - spiritello porcello (1988), Edward mani di forbice (1990), Batman (1989), Ed Wood (1994), Mars Attacks! (1996), Il Mistero di Sleepy Hollow (1999) e un deludente Planet of the Apes - Il pianeta delle scimmie (2001). I suoi film sono rigorose architetture allegoriche dark, i personaggi (pensiamo solamente ad Edward mani di forbice) immersi in atmosfere oscure tipo notte dell’anima. Ma poi ogni volta succede qualcosa di particolare: il romanticismo che connota la sua ricerca estetica, riesce nel migliore dei casi a produrre universi fantastici, toccando con delicatezza lati dimenticati della nostra coscienza. Il bambino che è in noi, lo stesso che gli ha permesso di riesumare personaggi come quelli di Ed Wood, Bela Lugosi, i marziani di Mars Attacks, Batman, finisce per possedere i protagonisti e per condurre a messaggi tutto sommato rassicuranti.

A volere essere smaliziati si potrebbe immediatamente arguire che tutto ciò trova radici solide in ovvie ragioni commerciali, preso com’è il regista di Burbank - California, nella tenaglia tra cinema indipendente e Major Hollywoodiane, ma Tim Burton non è solo questo. La sua carriera inizia nel momento in cui, ancora ragazzo, produce “Vincent”, un cortometraggio d’animazione. E’ la storia di un bambino il cui idolo è Vincent Price (icona amata da Burton, insieme a Roger Corman e i B movie di Ed Wood) che a poco a poco si perde nell’amato mondo immaginario, fino a smarrire il contatto con la realtà. Tutto sommato il complesso rapporto con essa rimane ancora oggi il motivo conduttore dei suoi film ed anche dell’ultimo lavoro. Ispirato dall’omonimo romanzo di Daniel Wallace, Big Fish è film che dà corpo all’immaginazione visionaria di un padre, Edward Bloom, agente di commercio che viaggia per il paese poggiando i suoi occhi incantati su una società e un mondo autistico e pieno solo di meccanicismi vuoti, trasformando le persone che popolano la sua vita in un mondo fantastico di giganti, lupi mannari, fate, poeti, streghe, paesaggi e cittadine incantate.

Per suo figlio Will, Edward Bloom è una sorta di “clown”. Nato da un amore anch’esso favola, Will Bloom è realista più del Re, è metafora della nostra quotidianità, è votato ad accertare una verità per definizione comunque parziale. Solo nel toccante finale i due Bloom entreranno finalmente in sintonia, proponendoci una comunione possibile tra la nevrosi del nostro esistere e l’irrazionale, accompagnandoci così in una sinfonia di sentimenti tambureggiante verso la comprensione di un mondo ben più complesso che ciascuno di noi può ritrovare. Questo film, in cui si segnala l’interpretazione di Ewan McGregor e dell’ottima Helena Bonham Carter, insieme ad Ed Wood, rappresenta probabilmente il meglio della produzione di Tim Burton.

14 maggio 2004

 

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