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              Tv: lo specchio dei tempi che cambianodi Paola Liberace
 
 Il primo è stato il bambino a tavola. Guardando il nuovo compagno 
              della mamma con due occhioni che smuoverebbero i monti, gli porge 
              la più problematica delle domande (“mi vuoi bene anche se non sei 
              il mio papà?”). A questa segue una risposta positiva e 
              rasserenante (“ma certo che ti voglio bene!”): in questo modo, si 
              sostituisce alla distanza di sangue l’immediata vicinanza degli 
              affetti, che ne ha preso il posto nel nuovo modello di nuclei 
              familiari (poco importa che, nello specifico, l’obiettivo del 
              bambino fosse quello di sottrarre all’aspirante neopapà il piatto 
              di pastasciutta). Il più recente è stato ancora un bambino, un 
              altro figlio delle separazioni, che in un secondo spot presenta 
              agli occhi delle telecamere, da narratore “esterno”, la madre e il 
              suo nuovo aspirante papà, anche lui con figlio nato dalla 
              precedente unione, e tutti finiscono felici e contenti davanti ad 
              un piatto fumante.
 
 Sono queste famiglie atipiche l’ultimo riferimento del mondo 
              dell’advertising televisivo, passato negli ultimi mesi dai nuclei 
              patriarcali, felici sotto improbabili tetti campagnoli, alle 
              coppie scoppiate degli scenari urbani, alle convivenze con figli 
              al seguito, alle adozioni, insomma ai legami dovuti alla cultura, 
              più che alla natura. Gli elementi salienti di queste narrazioni 
              sono almeno tre. Anzitutto, nelle rappresentazioni pubblicitarie 
              la parola è affidata ai bambini, spesso i soggetti più colpiti 
              dalla trasformazione della struttura delle famiglie: proprio loro 
              vengono riproposti come i protagonisti positivi di un adattamento 
              a lieto fine, che porta ad una rinnovata e conciliante unità sotto 
              lo stesso tetto, davanti allo stesso desco. In effetti, e questo è 
              il secondo elemento interessante, proprio il fatto che si tratti 
              di spot di tipo “alimentare”, se da un lato mette in discussione 
              una tradizione, dall’altro conferma uno dei suoi elementi 
              fondamentali: il focolare domestico, incarnato dalla mensa, come 
              elemento di comunione e di concordia, emblema della protezione 
              offerta dal tetto familiare contro le avversità esterne. In questo 
              caso, la protezione del focolare agisce dall’interno, 
              neutralizzando le potenziali spinte centrifughe, riannodando e 
              garantendo i vincoli messi in discussione da tempi e modi della 
              formazione del nuovo nucleo. Non dimentichiamo, ed ecco il terzo 
              elemento notevole, che i piatti intorno ai quali si ricostituisce 
              l’unità sono preparati dalla mamma: moderna, sì, ma sempre ottima 
              cuoca (ed ecco passato il messaggio della bontà e genuinità del 
              prodotto reclamizzato).
 
 Un ulteriore elemento di tradizione che viene perpetuato: diverso, 
              e più rischioso, sarebbe stato mettere in discussione questi 
              segnali di continuità, che – in un contesto complessivamente 
              innovativo – rassicurano e attestano la legittimazione della 
              stessa innovazione. Come dire, niente paura: i bimbi continueranno 
              a fare i furbetti con i papà benevolenti, ad adocchiare sospettosi 
              i fratelli maggiori, salvo poi finire a talvolta felici e 
              imboccati dalla mamma. E se i papà non sono proprio papà e i 
              fratelli non sono proprio fratelli, la pappa è sempre la pappa, e 
              la mamma – ça va sans dire – è sempre la mamma.
 
 9 giugno 2004
 
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