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              L'Alessandro no-global di 
              Oliver Stonedi Giampiero Ricci
 [24 gen 05]
 
              Il discreto 
              successo di pubblico e critica di “Ogni maledetta domenica” 
              lasciava sperare che si fosse finalmente chiuso il periodo di 
              scarsa vena per il regista di “Platoon”, “Nato il 4 Luglio” e 
              “Wall Street”; invece l’opera cinematografica di Oliver Stone, che 
              negli ultimi anni si è dedicato più che altro a documentare Fidel 
              Castro e i gruppi terroristici protagonisti della seconda 
              Intifada, con “Alexander” finisce per conoscere un’altra pagina da 
              dimenticare. L’aspetto più disarmante nell’ultimo lavoro di Oliver 
              Stone è quello di aver realizzato un film che non riesce neanche a 
              stupire come vorrebbe riguardo al tema della sessualità di 
              Alessandro. Il tentativo artificioso è quello di sovrapporre 
              categorie e chiavi di lettura contemporanee ad uno dei personaggi 
              cui meno esse si addicono, al figlio del mondo antico e migliore 
              espressione e sintesi da esso prodotta. In questo modo si tramuta 
              in un grottesco e vuoto fricchettone no-global un uomo che portò 
              un esercito di 100.000 uomini attraverso il valico dell’Hinduukush 
              perché voleva vedere il monte su cui era incatenato Prometeo, non 
              per un vezzo da esteta ma per riaffermare il valore positivo 
              dell’uomo sul mondo e il suo sogno universale di rompere gli 
              equilibri imposti dallo status quo per porre le fondamenta, anche 
              con la forza, della convivenza tra i popoli nell’interesse di 
              tutti i popoli, sulla condivisione dei valori ellenistici aperti 
              alle influenze orientali.
 “Qualche imbecille - spiega Oliver Stone - su un quotidiano l'ha 
              paragonato a ‘Troy’ e al ‘Gladiatore’. Maledizione, come se quelli 
              fossero film storici. ‘Il Gladiatore’ era un gran film, ma non è 
              la storia di Roma. 'Alexander' è un film storico. La verità è che 
              gli americani conoscono a malapena la propria storia, che è lunga 
              poco più di 200 anni''. Al regista newyorkese, che trova sponda in 
              Europa e in Italia, proprio per il suo bilioso e proverbiale 
              sentimento di disprezzo verso i suoi concittadini, va detto che il 
              giustamente criticato “Troy” ha sceneggiatura e scelte narrative 
              più coerenti del suo “Alexander” e che “Il Gladiatore” è un 
              capolavoro, aldilà della verità storica, perché non racconta nel 
              dettaglio la storia di Roma e dei romani ma ne fa rivivere i 
              valori. A quali fonti, invece, abbia fatto riferimento Oliver 
              Stone per arrivare a certe scelte registiche, resta incerto. Prima 
              di tutto per quanto riguarda i personaggi: Eumene di Cardia, 
              segretario e incaricato della cancelleria reale che fu sempre 
              fedele al re e ai suoi eredi legittimi, nel film semplicemente non 
              c’è. Seleuco, colui che ereditò la parte maggiore del vasto impero 
              alessandrino inaugurando una stirpe, è a mala pena citato. 
              Tolomeo, a cui stona la parte del narratore perché in alcun modo 
              legato alle tradizionali fonti storiche che narrano l’epopea di 
              Alessandro, viene interpretato da un Anthony Hopkins fuori ruolo. 
              Non c’è traccia nemmeno di Callistene di Olinto, parente di 
              Aristotele e storico ufficiale della spedizione, morto dopo essere 
              stato accusato di cospirazione.
 
 Nel film Stone ci racconta un Alessandro che non è mai esistito, 
              un esteta tutto chiaroveggenza e misericordia, che compie atti 
              sbagliati in preda ai fumi del vino, in omaggio ad una visione 
              iconografica, idilliaca e fallace. Alessandro fu luce fulgida ma 
              anche ombra di morte, come si diceva del divino Dioniso e la 
              vicenda di Callistene, la distruzione di Tebe, vero momento di 
              inizio del suo regno, l’incendio di Persepoli, dove vendicando la 
              distruzione di Atene da parte di Serse divenne Alessandro Magno, 
              ma anche l’assassinio di Besso, suo nemico acerrimo nella 
              spedizione in Battriana, che punì legandone il corpo a due alberi 
              curvati in uno stesso punto per poi lasciarli rialzare con 
              violenza, squartandolo come fece il leggendario Teseo con il 
              brigante Sinis, testimoniano il suo lato oscuro, collerico, 
              altrettanto importante che del lato luminoso. Le scelte registiche 
              lasciano disturbati anche perché invece di utilizzare gli effetti 
              speciali e i 105 milioni di dollari per rappresentare i tanti 
              momenti topici della spedizione, si è preferito indugiare su danze 
              di eunuchi, ritenute evidentemente da Stone fondamentali per 
              raccontare la vicenda. Tutta l’epopea è ridotta a banchetti, 
              danze, balli, vino e ubriacature, tanto che, assurdo per assurdo, 
              dopo la comparsa di Raz Degan nei panni de – udite udite - il Re 
              dei Re Dario, in alcuni tratti ci si aspetta da un momento 
              all’altro la comparsa della Barale. Sarebbe stata perfettamente a 
              tono.
 
 Molti dubbi lasciano quasi tutte le scelta legate al casting : 
              sebbene si sopportino con piacere le labbra siliconatissime di una 
              Angelina Jolie un po’ fuori ruolo, si fa più fatica con Val Kilmer 
              nei panni di Filippo II, anche perché il biondo di Top Gun, 
              rimasto folgorato dalla interpretazione di Jim Morrison in The 
              Doors (sempre per la regia di Oliver Stone) non riesce proprio ad 
              uscire dalla parte. La recitazione di Farrell è povera, piatta, 
              poco curata, un Alessandro in chiave rockstar maledetta, un 
              po’viziato e fuori di testa, più che luce fulgida e ombra di 
              morte. A salvarsi nel film sono la scena dell’incontro del re con 
              il suo cavallo, Bucefalo, le ricostruzioni della battaglia di 
              Gaugamela (Raz Degan a parte), l’entrata in Babilonia, il valico 
              dell’Hinndukush e la spedizione in India. Molto probabilmente le 
              ragioni di un tale pasticcio vanno ricercate nella corsa che Stone 
              ha intrapreso per bruciare sul tempo l’altro Alessandro Magno, 
              quello di Baz Lhurmann, per la sceneggiatura, si dice, di Valerio 
              Massimo Manfredi (autore della trilogia bestseller, una delle 
              migliori versioni romanzate sulla vita del macedone), incappato in 
              ritardi dovuti a problemi legati alla scelta del casting (si sa 
              già che Leonardo Di Caprio sarà Alexandròs e Nicole Kidman 
              Olimpias). Nell’eccessiva strumentalizzazione del personaggio, 
              piegato alle ragioni di un messaggio politico, si consuma un 
              occasione mancata per vedere sul grande schermo Alessandro Magno 
              come meriterebbe.
 
				
				24 gennaio 2005     |