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				The Corporation: assalto al 
				libero mercatodi Giampiero Ricci
 [22 mar 05]
 
              Nei gusti 
				cinematografari della sinistra massimalista contemporanea 
				spopola il genere del documentario, forma mediatica di 
				narrazione che innegabilmente si addice al proverbiale e mai 
				contestabile fatto che sono loro e solo loro gli araldi della 
				verità. Il fatto è che dire di questi documentari che raccontano 
				una fetta parziale della torta è molto molto limitativo. 
				Intendiamoci, nulla di male. Se la questione non fosse così 
				seria, tutto ciò avrebbe anche il suo lato comico, perché in 
				effetti, ad osservare bene ciò che si agita alla sinistra 
				estrema, a volte sembra di essere dentro la parata dei nazisti 
				dell’Illinois di “The Blues Brothers”, quella che si conclude, 
				non a caso, al cinema. “The Corporation”, il film di Jennifer 
				Abbott e Mark Achbar, tratto dall’omonimo romanzo di Joel Bakan, 
				è adesso nelle librerie per Fandango Doc in un cofanetto che 
				contiene DVD e libro di approfondimento. Forse il prodotto 
				migliore del genere di cui stiamo parlando, “The Corporation” 
				non è semplicemente una critica al modus operandi delle 
				Corporation Occidentali, al Capitalismo contemporaneo, è molto 
				di più.
 Il documentario si apre con un paragone tra le Corporation, la 
				Chiesa e il Partito Comunista, dichiarando in tono molto 
				scientifico che se ne vuole analizzare la forma, la natura, 
				l’impatto e il futuro per poi immediatamente affermare: “Le 
				Corporation sono delle creazioni artificiali paragonabili a dei 
				mostri che tentano di divorare più profitti possibili a spese di 
				chiunque”, mentre sullo sfondo Godzilla distrugge la città e 
				Moby Dick e Frankenstein imperversano. Ad onor del vero la 
				Chiesa aveva molto più che delle “Corporation” nelle grandi 
				congregazioni religiose, il Partito Comunista non ne aveva 
				bisogno, perché era tutto e tutto era al suo interno. Al loro 
				confronto, con buona pace di molti, le odiate Corporation sono 
				al più dei pallidi pretoriani di uno Stato Nazionale, da cui 
				peraltro mutuano la forma organizzativa e per statuto non 
				possono che seguirne le leggi democraticamente stabilite. Quindi 
				già il quadro di partenza in cui viene inserito il tema è per lo 
				meno improprio.
 
 La definizione che viene data delle Corporation nel film è 
				quella di “un gruppo di individui che lavorano insieme per il 
				conseguimento di alcuni obiettivi il principale dei quali è 
				ottenere legalmente sostanziosi, crescenti e duraturi profitti 
				per i proprietari dell’azienda”; il tutto viene snocciolato 
				sullo sfondo fosco di ciminiere che eruttano fumo tossico nella 
				notte, vampiri assetati di sangue e allora viene da chiedersi 
				chi sono mai i proprietari. Sono solo delle elité di 
				speculatori? Siamo ancora al trito, ritrito e vagamente 
				snobistico attacco al concetto di profitt ? Addirittura vogliamo 
				cancellare la Personalità Giuridica delle società commerciali? 
				Dobbiamo ricominciare a sgolarci sulla differenza tra 
				personalità giuridica e responsabilità civile? Mica siamo ancora 
				al “A Morte Il Capitalismo!”? E invece sì. Siamo ancora lì. Tra 
				i contributi chepuò vantare il film (meglio chiamarlo così) c’è 
				quello di Milton Friedman, premio Nobel per l’economia, un tempo 
				osteggiato e dileggiato dagli stessi signori che oggi lo 
				intervistano, per la sua riforma previdenziale liberista in Cile 
				che ha fatto di quel paese martoriato uno dei più stabili del 
				continente dimenticato. Veramente divertente il passo della sua 
				intervista dove si cerca in ogni modo di strumentalizzarne le 
				risposte. Il problema delle Corporation,semmai, è proprio il 
				loro essere organizzazioni burocratiche senz’anima ma pur sempre 
				composte da individui, obbligati a comportarsi nel rispetto se 
				non altro di diritti naturali come la vita, la libertà e la 
				proprietà altrui. Ma tant’è, sdilinquendosi nella responsabilità 
				collettiva l’etica comportamentale diventa un concetto 
				evanescente.
 
 Per indurre a comportamenti rispettosi almeno dei diritti 
				naturali varrà ricordare una ricetta liberale, quella 
				dell’utilitarismo individualista Frankliniano, da molti 
				considerato minimalista ma che rimane pur sempre efficace: 
				“l’onestà è utile perché da credito, e la puntualità, la 
				diligenza, la regolatezza idem e perciò esse sono virtù”. Detto 
				questo ascoltando i vari Noam Chomsky, Naomi Klein, Jeremy 
				Rifkin e compagnia cantante, ascoltando le loro ricette 
				corporative – e non nel senso che nel film viene associato alle 
				Corporation - mettendole insieme, allora diventa chiaro che per 
				loro la causa dei problemi legati alla questione dello sviluppo 
				squilibrato, delle risorse, dei media, dell’ambiente, dei 
				diritti umani viene associata semplicemente all’assenza di 
				Stato. Ma cos’altro e in più dovrebbe fare lo Stato? Pensando 
				alle simpatie baathiste dei vari Diliberto è lecito 
				preoccuparsi.
 
 22 marzo 2005
 
              
				ri.giampiero@tiscali.it   |