McDonald's come Bush:
l'ultima spiaggia dei no-global hollywoodiani

di Marta Brachini
[01 apr 05]

Supersize Me! Il cibo diventa oggetto di un film “documentario” uscito nelle sale americane l’anno scorso e in arrivo in quelle italiane il prossimo otto aprile. Lo firma Morgan Spurlock, produttore di serie televisive commerciali e video musicali di New York, ammiratore dello stile fazioso di Michel Moore al cui libro “Downsize This” si è ispirato per il titolo. Ma, nella vita delle produzioni senza fondamento, quella di Spurlock non ha neppure sfiorato i successi di Fahrenheit 9/11, che già nella prima settimana di uscita era primo in classifica con un incasso complessivo di 24 milioni di dollari (e superando alla sesta i 109 milioni). Evidentemente il tema dell’obesità, più che popolare in America, non ha entusiasmato gran che. E’ entrato nelle classifiche solo alla terza settimana, al decimo posto con entrate di neanche 3 milioni di dollari, raddoppiando solo poco prima di scomparire dalla top ten. Forse lo scarso successo è da attribuire alla banalità della denuncia e alla gratuità dell’esplicito attacco, quando non aperto boicottaggio, a McDonald’s. E’ una palese mistificazione accusare i fast-food di essere causa diretta del soprappeso di molti americani. La salute fisica è in larga parte il risultato delle scelte individuali.

Candidato all’Oscar 2005, il “documentario” è un viaggio attraverso i McDonald’s di venti città americane durato trenta giorni durante i quali il protagonista-regista si nutre appunto della ricca offerta dei menù tre volte al giorno. Nel corso della sua “odissea del fast food” Spurlock vede il suo tasso di colesterolo salire fino alle stelle, il suo fegato gonfiarsi come una spugna e il suo corpo appesantirsi di ben 13 chili. Il risultato dell’impresa sono 250 ore di riprese e interviste da trasformare in denuncia sociale. Stando alla maggioranza delle critiche questo è un genere cinematografico che vuole denunciare ma non certo analizzare a fondo il problema dell’obesità in America. Dal Washington Post a Usa Today i paragoni con l’annosa questione dei danni arrecati dal fumo vengono naturali. Anche se, naturalmente, siamo ancora molto lontani ancora dal proibire il consumo di grassi nei locali pubblici!

“Tutti correranno a prendersi un’insalata in quei paradisi del biologico” è stata l’ipotesi di reazione del pubblico americano. La National Resource Foundation e la Natural Ovens Bakery sono infatti gli sponsor del sito web ufficiale del film e i potenziali partner di un progetto di riforma delle forniture nelle mense pubbliche americane. Anticipando le reazioni italiane, invece, si potrebbe prevedere un rafforzamento dello stereotipo dell’americano medio, mentre con orgoglio si riaccenderanno i vanti della nostra superiorità gastronomica o enogastronomica. Effetto possibile e scontato anche per un altro documentario in uscita nelle sale italiane, Mondovino di Jonathan Nossiter (Francia-Usa), che denuncia la globalizzazione dell’industria del vino, prodotto tanto caro alle aziende italiane alle prese con la certificazione di origine controllata e garantita. Per non parlare infine di come McDonald’s diventi facilmente simbolo del business globale, contro il quale nelle città di mezzo mondo si riversa la rabbia anticapitalista e, ovviamente, antiamericana. Ma anche questo è stato previsto: basta cliccare un link per acquistare una originale t-shirt Supersize col la M di McDonald’s rovesciata che diventa la W di Gorge Bush.

01 aprile 2005

m.brachini@libero.it

 

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