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				Paul Ginsborg, invettive senza 
				contenutodi Paola Liberace
 [30 apr 05]
 
              Sarà la lunga 
				abitudine di cattiva fama propagata dalla stampa internazionale, 
				che insegue Berlusconi; sarà la propensione diffusa nel mondo 
				dei media a prendere le distanze dal nostro presidente del 
				Consiglio; sarà infine che di questi tempi uno è abituato a 
				sentirsi sconfessare e pugnalare alle spalle da amici, alleati e 
				consociati. Fatto sta che quando poi capita di avere tra le mani 
				un articolo, uno solo, che si dissocia dal tiro al Berlusca, 
				stigmatizzando l’ennesimo libro persecutorio... Quando questo 
				succede, si resta spiazzati, meravigliati, quanto meno attoniti. 
				Questo accade a chi si procura una copia del numero di Aprile 
				del magazine Video Age International, rivista di settore 
				dedicata alla televisione in tutte le sue forme, edita a New 
				York. La rubrica di “Book review” (il cui sottotitolo recita 
				testualmente “il recensore cestina gli autori che cestinano i 
				loro soggetti”) prende di mira il nuovo libro di Paul Ginsborg 
				su Silvio Berlusconi, che tradotto suona “Televisione, potere e 
				patrimonio”. 
 Una breve premessa: l’inglese Ginsborg, a metà tra uno storico, 
				un sociologo e un girotondino, staziona da diversi anni nel 
				nostro paese, stipendiato dalle nostre Università e pubblicato 
				dai nostri editori, e ha di conseguenza voluto contribuire in 
				maniera rilevante alla nostra buona fama nel mondo, etichettando 
				di volta in volta gli italiani come “familisti”, “clientelisti” 
				e – orrore! – addirittura “cattolici”. In maniera 
				scientificamente impeccabile, utilizza spesso per suffragare le 
				sue posizioni prove schiaccianti tratte dalla personale, 
				inoppugnabile osservazione dei nostri concittadini. La piacevole 
				sorpresa è che, dove gli intellettuali nostrani farebbero la 
				fila per elogiare l’encomiabile lavoro dell’ancor più 
				encomiabile studioso, l’autore della recensione procede con 
				chiarezza e linearità alla demolizione, sia dal punto di vista 
				metodologico che contenutistico.
 
 Su quest’ultimo aspetto, il recensore si limita a osservare che 
				– anche senza sapere che l’autore è politicamente affine 
				all’area unionista – è evidente quanto sia severely prejudiced 
				contro Berlusconi. Oltre a non essere imparziale, come Ginsborg 
				vorrebbe far credere al lettore, il libro è per giunta scritto 
				male: l’andamento è poco coinvolgente, lo stile è goffo in tutti 
				i suoi dettagli, si fa un uso spropositato delle note, che 
				compaiono praticamente in ogni pagina (il più delle volte 
				inutilmente). La scarsa lunghezza del libro, il glossario 
				irrilevante e le questioni sintattiche già sottolineate, 
				continua il recensore, ne fanno un testo che ricorda in maniera 
				impressionante una scadente tesi universitaria. Passi, insomma, 
				il paragone con Mussolini, che ormai è diventato un classico del 
				genere; ma per dare un vero contributo sarebbe stato necessario 
				almeno tirare fuori un’opinione: ciò che Ginsborg, in tutto il 
				suo verboso almanaccare, non si perita di fare. Che finalmente 
				se ne sia accorto anche qualcun altro?
 
 30 aprile 2005
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