Troppo belli, ma non al
cinema
di Paola Liberace
[04 mag 05]
Ogni limite ha
una pazienza, avrebbe detto Totò. E così, anche senza esserci
mai uniti al coro degli apocalittici, va riconosciuto che era
oggettivamente difficile seguire l’ascesa irresistibile di
Costantino Vitagliano con il benché minimo barlume di adesione.
Adesione che pure avevamo riservato ad altri fenomeni mediatici
(onore a Pietro Taricone!), dissociandoci dai malpensanti
televisivi che ad ogni nuovo format, ad ogni nuovo reality show,
ad ogni ritorno di quasi-VIP sulle spiagge o nelle aie riprese
dalle telecamere grida allo scandalo. Ma Costantino no:
Costantino ha fatto vacillare questa fede nella coincidenza
televisiva tra ideale e reale, nel migliore dei mondi catodici
possibili, arrivando a farci dubitare che – anche in TV – la
crisi non sia solo un’invenzione dei soliti disfattisti, ciechi
alle magnifiche sorti e progressive del paese. E poiché,
passando a Wittgenstein (e non si dica che non siamo pop), “su
ciò di cui non si può parlare, si deve tacere”, abbiamo
preferito osservare un religioso silenzio sullo scempio che
delle proprie energie intellettuali, emotive e percettive hanno
fatto diversi milioni di concittadini, fedeli adepti della
risibile saga del gladiatore della Dabliù, la famosa palestra
dei Parioli.
Quale maggiore felicità, dunque, che apprendere del totale flop
al botteghino del film di Costantino e del suo amico Daniele
(anche lui frutto degli ultimi saldi di fenomeni da baraccone),
dallo sfidante titolo di “Troppo belli”? Sembrerebbe quasi che
il cinema si sia incaricato della nemesi dello scandalo
televisivo, facendo giustizia del tentativo di tradurre in opera
le inconsistenti vicende che hanno soggiogato innumerevoli ore
di palinsesto. E qui giù a ricordare tutti i casi in cui gli
eroi dello show business televisivo, ma anche musicale e
sportivo, non hanno retto alla prova cinematografica: l’Alberto
Tomba di “Alex l’ariete”, il Cesare Cremonini (ex Lunapop) di
“Un amore perfetto”, o, guardando oltre confine, la Britney
Spears di “Cross Roads” o la Mariah Carey di “Glitter”.
Eppure, l’equazione culturale e politica sarebbe sin troppo
facile: il cinema “impegnato” contro la TV “oppio dei popoli”,
che costringe quest’ultima a gettare la maschera all’apparir del
vero. In realtà, basterebbe la lunga storia di successi della
cosiddetta commedia all’italiana di produttori come i Vanzina e
i De Laurentiis, che ogni anno si conferma tra i migliori
investimenti cinematografici, a scompigliare questo quadro. E a
dargli una mano interverrebbe la lunga lista di film più o meno
“d’autore”, che di grande hanno avuto solo la delusione al
conteggio degli incassi: uno per tutti, il promettentissimo
“Pinocchio” dell’ex-oscarato Benigni. Il fatto è che, a guardare
meglio, ci si accorge che il film di Costa(nzo) è proprio
brutto; sicuramente peggio delle trasmissioni in cui il
personaggio è nato, è stato fatto crescere e svezzato (anche
queste made in Fascino). Sarà anche vero, come qualche critico
più avveduto di noi ha spiegato, che chi vede la TV non va al
cinema; il problema è però soprattutto; perché farlo, buttando
via soldi e (altro) tempo, se la bella faccia di Vitagliano è
visibile a gratis nei salotti catodici, e pure ripresa meglio?
04 maggio 2005
pliberace@yahoo.it
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