Adrien Brody, vagabondo delle stelle
di Giampiero Ricci
[04 mag 05]
Resiste sul
grande schermo “The Jacket”, secondo lavoro di John Maybury dopo
l’ambizioso “Love is the Devil” in cui il regista tentò di
rendere filmograficamente la pittura di Francis Bacon risultando
però troppo oscuro e senza via d’uscita. L’attenzione del
regista verso emozioni e fughe oniriche dalla claustrofobica
ripetizione ossessiva del vivere contemporaneo è confermata
anche in questo lavoro dove però grazie all’interpretazione
magnifica di Adrien Brody e il suo enorme talento espressivo, il
film riesce a decollare.
Buona anche la performance del resto del cast, costituito da
Keira Knightley, Kris Kristofferson, Jennifer Jason Leigh, Kelly
Lynch, Brad Renfro, Daniel Craig, Jason Lewis. Jack Stark dopo
un esperienza come militare da cui riesce inspiegabilmente
indenne, rimane coinvolto nell’uccisione di un agente di polizia
e condannato al carcere psichiatrico. Qui viene sottoposto a un
“trattamento” sperimentale che consiste nell’isolamento in una
vera e propria “cella-cassetto” dopo essere stato obbligato ad
indossare la camicia di forza (jacket). In condizioni estreme
accade però che la mente di Stark viaggi aiutandolo a evadere
metafisicamente dalla costrizione. Attraverso il “trattamento”
Stark si vede trasportato nel futuro di una realtà alternativa
dove è morto in circostanze poco chiare e proprio nei giorni
seguenti all’inizio dei trattamenti. Finisce per non poterne
fare a meno e per provocare egli stesso la propria tortura,
spingendosi su una dimensione parallela, quasi ipertestuale
dell’esistenza.
Davanti a questo film, nella testa degli appassionati di Jack
London non può non passare più di un dubbio circa l’evidenza che
il regista abbia attinto alla vicenda di Darrel Standing narrata
nel romanzo “The Star Rover” (Il vagabondo delle stelle - 1915).
In “Star Rover Darrel Standing” deve scontare la pena di morte
mediante impiccagione. Anche Standing resta bloccato nella
camicia di forza per giorni. Come John Stark, per sfuggire alla
disperazione si abbandona al sogno, all’illuminazione, riuscendo
a sfuggire alla prigione e alle torture fisiche e psicologiche.
L’eterna battaglia tra mente e corpo si risolve con una laica
vittoria della prima sulla seconda. Darrel Standing, introdotto
alla pratica della "morte in vita", acquisisce la capacità di
"far morire" il proprio corpo fisico riuscendo così a rivivere
le sue esistenze anteriori, viaggiando così attraverso i secoli
e obbligandoci all’interno di una logica estraniante.
Il romanzo utopistico-spiritualista fu scritto da London mentre
progettava con la seconda moglie un giro per il mondo. Fu uno
dei momenti entusiastici della vita di questo controverso
maestro della letteratura mondiale, cui pure un mostro sacro
come Hemingway ha sempre dovuto moltissimo, senza riconoscerlo.
Anche John Maybury incappa nello stesso vizio. In un film dove
ci viene consegnato un Adrien Brody degno viaggiatore delle
stelle, non un accenno a London, non una citazione, neanche nei
titoli di coda. Ma al di là di questo, alla fine del film,
rimane comunque il pugno nello stomaco, il sogno di libertà che
pervade tutta la letteratura di London, il rapimento e il senso
delle connessioni profonde dell’esistenza rappresentate da Jack
Stark-Darrel Standing a rivelarci immancabilmente come fece
l’autore di San Francisco l’importanza della ricerca della
conoscenza vera che è sempre personale e anarchica.
04 maggio 2005
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