Gli Eels ci regalano il disco dell'anno
di Andrea Mancia
[12 mag 05]

La fama degli Eels, almeno in Italia, è soprattutto dovuta ad alcune perle pop-rock saccheggiate dalle colonne sonore di film hollywoodiani di grande successo, come "Cancer for the Cure" (American Beauty), "My Beloved Monster" (Shrek) o "Mr. E's Beautiful Blues" (Road Trip). Gli Eels, inoltre, sono anche i responsabili di un piccolo capolavoro di rock alternativo, l'album Beautiful Freak, che nel 1996 ha sconvolto i college americani restando per mesi ai vertici delle classifiche statunitensi. Ma la storia del gruppo di
Mark Rupert Everett, iniziata nel lontano 1992 con il debutto solista A man called E che già ne aveva fatto intuire l'assoluta originalità e le eclettiche doti di songwriter, ha raggiunto oggi il suo picco più alto con l'uscita di Blinking Lights and Other Revelations, uno straordinario doppio-cd partorito nel corso dell'ultimo decennio che, oltre rappresentare l'album migliore della pur splendida discografia degli Eels, si propone con forza come possibile disco dell'anno per il 2005.

Per "Entertainment Weekly", Blinking Lights è il "capolavoro assoluto che si nascondeva da sempre nel tetro cuore" di Everett. Mentre per "Alternative Press" si tratta di una "devastante e bellissima collezione di canzoni che si candida a diventare il miglior album dell'anno". A parte qualche eccezione, comunque, tutta la critica (una nutrita selezione di recensioni si può trovare online sul sito Metacritic.com) è concorde nel giudicare con voti altissimi l'ultimo lavoro degli Eels e nel considerarlo una sorta di summa delle produzioni che hanno garantito in questi anni ad Everett una base di appassionati numerosa e molto affezionata. Album anche molto diversi tra loro, come dimostrano le differenze - sostanziali e stilistiche - tra il delicatissimo miracolo pop del 2000, Daisies of the Galaxy, e l'incredibilmente ruvido Souljacker del 2001. Ma sono le stesse vicende personali di Everett, in realtà, ad aver causato questa serie vertiginosa di alti e bassi.

Figlio di Hugh Everett III, definito dalla rivista Scientific American "uno dei più importanti scienziati del 20° secolo" per i suoi studi sulla fisica quantistica e ispiratore di migliaia di autori di fantascienza con la sua teoria degli universi paralleli, Mark non segue le orme del padre e preferisce concentrarsi sulla musica. Tutto scorre liscio, più o meno, fino al 1996, anno in cui muoiono quasi contemporaneamente la madre (malata di cancro) e la sorella minore (suicida). Everett, che aveva già perso il padre qualche anno prima, piomba in uno stato di cupa depressione che lo porta però a dare vita allo splendido Electro-Shock Blues, che diventa quasi uno strumento per esorcizzare i propri fantasmi esistenziali. Con Daisies of the Galaxy gli Eels ritrovano, anche se a sprazzi, un po' di serenità e abbracciano un pop morbido d'autore appena "sporcato" dall'angoscia che affiora sotto la superficie. Ma già l'anno dopo, in Souljacker, Everett si atteggia a sociopatico duro e puro con un disco abrasivo e fantastico non solo sotto il profilo musicale. Nel 2004, con Shootenanny!, Mr. E abbandona l'angoscia per abbracciare una Weltanschauung più ottimista e leggera.

In tutti questi anni, Everett ha continuato a lavorare alla stesura di Blinking Lights and Other Revelations, fino a modellarlo nel miglior concept-album mai pubblicato dai tempi di The Wall dei Pink Floyd (ma forse sarebbe meglio dire di Roger Waters). Si parte con i toni cupi e disperati di "Son of a Bitch" (Down on my knees / Begging God please) e "Trouble with Dreams" (I'm walking down a lonely road / Clear to me now but I was never told), ma la luce in fondo al tunnel arriva abbastanza presto, già con "Suicide Life" (I'm so tired of living the suicide life / That ain't no reason to live), anche se la malinconia continua a serpeggiare in "Railroad man" (I feel like an old railroad man / Gettin' on board at the end of an age / The station's empty and the whistle blows / Things are faster now, this train is just too slow). In tutto il secondo disco, però, la sensazione che finalmente Everett abbia fatto i conti con il suo passato cresce di canzone in canzone. "Going Fetal" è un divertentissimo inno alla maturità (Everyone is going fetal / If you feel like your fate is sealed / Then just get down and curl all up /
Just like a little helpless pup alright)
. In "Dust of Ages" la volontà di ricominciare è ancora più esplicita (Bloodshot, and trembling, a new day has begun / The dust of ages / Settles on your days, and so you blow it all away / And get on your way). E l'apoteosi di questa consapevolezza viene raggiunta con "Old shit, New shit" (Nobody loves you, everyone cares / None of them know what's coming 'round the bend / Congratulations to me, many happy returns / I'm tired of the old shit, let the new shit begin) e con la struggente "I'm going to stop pretending that I didn't break your heart" (I didn't mean to hurt you / I didn't know what I was doing / But I know what I've done). Verso il finale dell'album si attraversano addirittura i confini dell'ottimismo più sfacciato, come in "Losing Streak" (My losing streak is done / I said my losing streak is done / If you can't hear me I said my losing streak is done) e in quel bizzarro testamento spirituale che risponde al nome di "Things the grandchildren should know" (I knew true love and I knew passion / And the difference between the two / And I had some regrets but if I had to do it all again / Well it's something I'd like to do).

Testi a parte, gli Eels dimostrano ancora una volta tutto il loro eclettismo musicale. Tanto che, amplificando una tendenza già presente nei loro album precedenti, sembra oggettivamente impossibile riuscire a catalogarli in un genere ben definito: dalle ballate voce e pianoforte (o chitarra acustica) si passa improvvisamente al pop più spensierato con massiccio uso di elettronica, al rock più duro, al folk con venature bluegrass, ai brani strumentali, quasi sussurrati, che Everett aveva già sperimentato nel 2003 con la colonna sonora di Levity. Il risultato complessivo è un album solido e ben prodotto, che malgrado la lunghezza (oltre 90 minuti) non rischia mai di annoiare. E che, come ormai capita soltanto raramente, cresce di livello - ascolto dopo ascolto - regalando emozioni inaspettate. Come ha scritto Marc Horan per PopMatters, Everett "è uno dei migliori songwriter americani, ed ha creato uno degli album più personali, intensi ed ispirati che vi potrebbe mai capitare di ascoltare". Sarebbe un vero peccato lasciarsi sfuggire l'occasione.

12 maggio 2005

* Andrea Mancia, caporedattore di Ideazione,
è il titolare del blog The Right Nation


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