Chi ha paura di Celentano?
di Paola Liberace
[25 ott 05]

Niente di nuovo sul fronte della via Gluck. La prima puntata della nuova trasmissione di Adriano Celentano è stata esattamente quella che si annunciava: piena di transfughi, di polemiche, di pause, di prediche e di musica. Tutto da copione: l’apparizione lampo di un minaccioso Santoro (che brandendo il microfono avverte che tornerà, e andrà fino in fondo… brrrr!), le evocazioni accorate a Prodi e Berlusconi e le parallele sparate contro Del Noce e Albertini, i sermoni contro banche, immobiliaristi e guerrafondai, i momenti “catartici” di silenzio (dovuti in realtà a una momentanea eclissi del suggeritore), le esibizioni politically correct di Ligabue e dei Negrita; e qua e là qualche zeppatina alla “sinistra”, nominata più per la cronaca che per reale intento di satira, perché non si dica che manca la par condicio.

Il vero protagonista, come al solito, è Celentano stesso, che combatte una battaglia tutta personale, forte della sua carica di “re degli ignoranti” (egregiamente ricoperta, c’è da dire). Il momento di “guzzantismo” lascia ben presto il posto a Joan Lui, ruolo in cui si muove con evidente maggiore agio. Le posizioni sono schiettamente anti-moderne: ecologista ante litteram, oggi il Molleggiato si attacca al traino del protocollo di Kyoto, di chi biasima Bush e il surriscaldamento terrestre per il disastro di Katrina, di chi preferirebbe creare migliaia – forse milioni – di senzatetto piuttosto che sopportare l’estetica di Corviale. In nome di un non meglio precisato “bello” e della “cultura” (che nasce dall’osservazione delle vetrine e delle insegne luminose - sic), Celentano ripensa alle “case di una volta”, quelle che rimpiante all’epoca della via Gluck facevano tanto anticonformismo e che oggi – attaccati come siamo ai loft e ai mono con angolo cottura – possono servirci tutt’al più come fuga arcadica da radical-chic. La nostalgia aleggia ovunque: quando si parla di guerre, l’argomento più forte restano le immagini di repertorio del Vietnam, e qualche video dei test atomici, sui quali tanta (bella) musica non basta a spiegare le realtà di trent’anni dopo. Immancabile, sempre nella stessa ottica, la polemica sulla televisione-spazzatura, con le immagini delle prove sostenute negli ultimi reality-show. Anziché farsi una bella risata, come probabilmente fanno i milioni di spettatori che si accalcano davanti al televisore per seguirli, Celentano canta tristemente, e anche qui ripensa a tempi migliori.

E’ questo il vero Molleggiato, per il quale probabilmente gli spettatori non voterebbero, ma che amano. Scaldarsi, auspicare riparazioni o addirittura censurare sarebbe perciò un errore; viene persino un po’ di magone, a vedere questo splendido animale da palcoscenico che snocciola il suo vangelo sulle ali di un “gobbo” non tanto efficiente (il capolavoro comico della serata non sono le esibizioni di Cornacchione e Crozza, ma l’entrata in scena di una inutile e spaesata Luisa Ranieri, che distrae Celentano al punto da farlo incartare più di una volta, dimenticando il copione). Più che il rock, o la politica, quello che colpisce è la bellissima scenografia, spettacolare nella sua aria tetra, che accompagna mutando i momenti dello show. A dispetto di questa graffiante ambientazione post-moderna, però, si sente odore di passato, di bei tempi andati, di età che avanza. Celentano è l’altra faccia di Baudo, che alla domenica sera rievoca la TV che fu, ma ne tiene ancora decisamente alta la bandiera.

25 ottobre 2005

 

 


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