Munich 1972: la storia tra le righe del cinema
di Dimitri Buffa
[02 feb 05]

“Munich” lascia nell’immaginario solo i volti dei poveri ostaggi trucidati il 6 settembre 1972 all’aeroporto di Monaco e nel Villaggio olimpico dagli assassini arafattiani di Settembre nero. Il superfilm di Spielberg instilla sensi di colpa negli ebrei senza capovolgere il rapporto tra i terroristi e chi li combatte. Il problema però è se un agente del Mossad debba avere un dialogo interno così acceso mentre in fondo sta solo uccidendo biechi terroristi che potrebbero uccidere altri suoi connazionali. E francamente chi guarda il film dalla parte di Israele quasi esulta per ogni terrorista che viene eliminato dalla squadretta della morte messa insieme per l’operazione “ira di Dio”. Se invece l’intento era quello di provocare simpatia per le “vittime” della rappresaglia israeliana allora Spielberg ha sonoramente fallito il bersaglio. Per la cronaca ne hanno assassinati nove su tredici, poi hanno dovuto smettere. Tanto il terrorismo, all’epoca marxisteggiante (e non islamico) dei palestinesi, continuava ad avere l’appoggio internazionale degli Stati canaglia dell’epoca, tra cui l’Urss. E per ognuno che veniva eliminato dal Mossad altri sei ne prendevano il posto. E la battuta in bocca a uno della squadra di Avner è quella giusta: “mica possiamo ucciderli tutti”. Se si può fare un appunto a Spielberg è solo per il suo inutile buonismo, per i sensi di colpa quasi alla Woody Allen, in cui vorrebbe annegare il personaggio di Avner rendendolo così poco credibile.

Un uomo del Mossad non si farebbe mai così tanti scrupoli nell’eliminare un assassino nemico di Israele prima che compia altri omicidi terroristici. Altrimenti diventerebbe un personaggio da libretto d’opera. Più che da sceneggiatura per il cinema. Ottime invece le scene in flash back che riappaiono nella memoria di Avner (Eric Bana) ogni qual volta sta per premere il grilletto contro uno degli undici target del Mossad. E che ovviamente riescono a fargli vincere la sua riluttanza. Scene che gli entrano in testa persino mentre fa sesso con la moglie che ha dovuto attendere per sette mesi la fine della sua missione di morte e di “giustizia retributiva.” Le sequenze d’epoca dei funerali tenuti a Gerusalemme senza la presenza del premier Golda Meir, la donna che vinse la Guerra dei sei giorni nella primavera del 1967 insieme a tutta Israele, le note dell’hatikva suonate come marcia funebre, sono stratagemmi estetici che commuovono chiunque. Se questo è il film, la storia vera è un’altra cosa: sia l’organizzatore, Abu Daoud, sia il finanziatore, Abu Mazen, in fondo sono ancora vivi e con uno di essi Israele oggi ci tratta come si fa con un capo di Stato. E proprio Abu Daoud, mente dell’agguato di Monaco del 1972, sostenne in un libro autobiografico dal titolo inequivocabile, “Palestine: from Jerusalem to Munich”, che fu Abu Mazen a finanziare l’attentato di Settembre nero alle Olimpiadi in cui venne uccisa l’intera rappresentativa israeliana composta di undici atleti.

Ed ecco che dice oggi in proposito l’attorney israeliano Nitsana Darshan-Leitner, direttore dello Shurat Hadin Law center: “è ridicolo dipingere Abu Mazen come uno mai coinvolto nel terrorismo, visto che i suoi stessi sottoposti lo definiscono il finanziatore dell’attentato di Monaco, piuttosto speriamo che sia coerente con la sua posizione contraria alla lotta armata che è stata tenuta solo dopo gli accordi di Oslo del 1993”. “E’ forse logico che il tesoriere di Arafat nel 1972 – dice Darshan-Leitner che rappresenta gli interessi delle famiglie delle vittime di Monaco – non conoscesse l’uso dei soldi dati a Settembre nero, formazione che tutti sapevano essere emanazione diretta di Al Fatah?” In una lettera scritta a suo tempo, nel 2003, tanto allo stesso Bush quanto al cancelliere Schroeder, l’attorney israeliano chiese che fossero riaperte le indagini sulla strage di Monaco del 1972 “che di certo non è mai caduta in prescrizione” e che fossero accertate le eventuali responsabilità dell’attuale premier dell’Anp. La mossa era abile soprattutto dal lato diplomatico: nella strage morì anche un cittadino americano, David Berger, e poi la Germania, sul cui suolo si è consumato questo attentato, grazie al suo sacrosanto senso di colpa per la Shoah, è obbligata dalla propria storia ad avere un occhio di riguardo per Israele.

02 febbraio 2006

 

 


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