Olimpiadi: l'antidoto alla par condicio
di Paola Liberace
[24 feb 06]
E alla fine è arrivata. Puntuale, come previsto, agli inizi di
febbraio, ha invaso il nostro paese, e ora si prepara a mietere
milioni di vittime innocenti: non stiamo parlando dell’influenza
aviaria, ma della mannaia che va sotto il nome di par condicio,
al cui confronto qualsiasi ceppo patogeno di origine asiatica
della peggior stirpe impallidisce e cade. Eccole, le vittime
predestinate: persone normali cui si impone lo status di
cerebrolese, telespettatori abitudinari dall’occhio pendulo e
dal divano deformato, equiparati a branchi di topi ammaestrati
da un flauto magico (mentre invece, se va tutto bene, a malapena
si accorgerebbero della banda di Stalingrado, dato il grado di
attenzione che tributano alle trasmissioni televisive); frotte
di aficionados che dovranno rinunciare a esibizioni di comici e
previsioni del tempo, a oroscopi mattutini e trasmissioni
enogastronomiche, tutte ugualmente passibili di presentare le
tracce del medesimo morbo: la faziosità televisiva.
Per fortuna, quest’anno è stato ritrovato in tempo un antidoto:
la trasmissione delle Olimpiadi invernali di Torino (proprio nel
momento in cui si cominciava a diagnosticare i primi casi di
tendenziosità). La maratona televisiva ha subito agito con
efficacia, ripristinando il giusto livello di acidità del
dibattito sulle presenze televisive; ha messo immediatamente in
circolo la giusta quantità di amor di patria pret-a-porter, che
per gli italici teledipendenti significa essenzialmente
l’ascolto dell’inno quattro volte al giorno (ma sempre
arrestandosi alla prima strofa) e un diffuso sventolio di
bandiere finalmente liberate dai cassetti. L’Olimpiade ha quindi
lenito i disturbi più evidenti con la nazionalpopolare sobrietà
delle sue incomprensibili competizioni (solo una telecamera
opportunamente manovrata può giustificare il grado di
spettacolarità percepita del curling, praticamente la nuova
passione sportiva nazionale, prontamente blobbata), e ha
prevenuto validamente persino gli scoppi dei focolai più
virulenti, quelli che di solito sfociano in dibattiti morettiani
(ma lo slittino sarà di destra o di sinistra? E il salto dal
trampolino? E se il bob a due è di area laica e radicale - vedi
alla voce Pacs - il pattinaggio artistico a coppie è
conservatore?).
Niente di questo, per fortuna, nelle immagini della Rai, che
hanno raccontato per alcuni giorni – finalmente sereni – una
bella storia di divertimento e di curiosità, svelando i limiti
che l’uomo può ancora superare: vincendo ori a trentasei anni
suonati, insistendo a racchettare contro ogni previsione,
rialzandosi e pattinando come cigni (pre-aviaria) dopo rovinose
cadute che avrebbero persuaso chiunque di noi alla sedia a
rotelle a vita. Non è solo merito dello sport, ma anche della
Tv, di una Tv fatta bene e senza remore, che ammanta di
meraviglia le azioni più semplici e insieme più sfidanti,
rivelandole in una luce che di per se stesse forse non avrebbero
avuto. E’ stato bello, seguire Torino 2006 in televisione:
spensierato, stimolante, quasi magico, come solo la Tv sa essere
- quando non è costretta in inopportuni bavagli..
24 febbraio 2006
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