Palahniuk, dal Fight Club alla ninna nanna
di Giampiero Ricci
Basta visitare il suo sito ufficiale, trovarlo lì, seduto che ti guarda
serio, le guance delineate da due rughe verticali. Ti accorgi subito che
c’è poco da ridere. Chuck Palahniuk indossa una maglietta con su scritto
“La prima regola del Fight Club è non parlare mai del Fight Club” e mentre
leggiamo il suo ultimo romanzo, “Ninna nanna”, quell’immagine ce l’abbiamo
davanti agli occhi. Ninna nanna, uscito in Italia ad ottobre del 2003, è
l’ennesima conferma di un talento cristallino: non soltanto tecnica
impeccabile e ispirazione tanto originale quanto stravagante ma anche, e
soprattutto, il tentativo di trovare una via spirituale attraverso i
percorsi dell’assurdo. Il protagonista è un reporter vedovo che si imbatte
nell’indagine sulla morte di un neonato, scopre di una filastrocca
africana che letta a voce alta, o anche solo recitata mentalmente, è in
grado di dare “la dolce morte”, si ritrova ad attraversare in lungo e in
largo gli Stati Uniti con la missione di evitare la diffusione della
piaga, finisce per diventare un serial killer.
Salito alla ribalta per il film di Fight Club, la cui trasposizione
efficace di David Fincher, già regista di Seven, ha contribuito alla
costruzione della sua immagine di autore cult, Palahniuk con i suoi
Survivor – che Edward Norton produrrà e interpreterà sempre per la regia
di David Fincher – Invisibile monster e soprattutto Choke (il cui titolo
in italiano è Soffocare) rivendica fieramente la sua provenienza pop. La
citazione seriale di Rumore Bianco in Soffocare, il cui protagonista,
Victor Mancini, studente italoamericano di medicina fallito,
sessodipendente ed esaurito, che si arrangia facendosi mantenere da
persone affezionatesi all’idea di averlo salvato dalla morte sicura per
soffocamento, sono evidenti omaggi all’italoamericano per eccellenza De
Lillo; ma ancora il valore del cibo, la ricerca materiale di una
dimensione spaziale vera, tangibile, sono solo alcuni esempi di come
l’autore di Portland si lasci legare volentieri a doppie mani al filo
d’Arianna che la generazione degli autori pop ha disperso tra le pieghe
dell’establishment culturale per metterne in discussione gli assunti.
Tutti gli ingredienti giusti : la serialità di Andy Warhol,
autoreferenziale come Chuck Close, l’irriverenza di Raushenberg, Chuck
Palahniuk utilizza un linguaggio stratificato che ha l’ambizione di
disseppellire concetti tabù come l’anima, lo spirito, il mistero. “Nei
miei romanzi c’è la parte peggiore di me ; io scrivo di cose penose.”
E’ tutto tranne che politicamente corretto, le sue storie non hanno
neanche lontanamente l’intenzione di porre questioni sociali, anzi
l’autore non perde occasione per rendere noto il fastidio e la noia che
gli provocano certi moralismi privi di qualsiasi visione prospettica sulle
ferite aperte di una contemporaneità evidentemente perplessa come i suoi
personaggi. Tutto ciò gli è valso l’accusa del New York Times, e finanche
di certa critica nostrana, di riuscire solamente ad arzigogolare storie
vuote. Ma per Palahniuk l’attenzione è tutta sull’individuo e sulla sua
capacità di arrivare al termine ultimo della umana psiche, senza
compassione alcuna, fino a trovare qualcosa che sia il più
approssimativamente possibile vicino alla verità.
“Forse non finiamo all’inferno per quello che facciamo. Forse finiamo
all’inferno per quello che non facciamo. Per le cose che lasciamo a metà.”
Religione, violenza e sesso rimangono anche in quest’ultimo lavoro aspetti
salienti della ricerca dell’autore. Tensioni pulsanti dell’essere umano ma
figlie di diverse nature che si combattono sotterraneamente, fino alla
schizofrenia, vero momento di divina lucidità a partire dal Tyler Durden
di Fight Club, fino al Carl Streator di Ninna nanna. E’ noto l’interesse
dello scrittore americano per le religioni antiche, a Palahniuk la
religione interessa come rituale del mistero, percorso per arrivare al
dunque. I suoi personaggi cercano una scorciatoia. “Cos’è che Gesù non
farebbe” torna spesso in Soffocare.
E’ noto anche come la sua estetica della violenza provenga da esperienze
personali traumatiche più che da finzioni letterarie ed è proprio qui la
differenza con Ellis, entrambi accomunati nel consacrare la violenza
rappresentandola non come un universo altro che si contrappone alla vita
di tutti i giorni, bensì in una dimensione quotidiana di persone che si
guadagnano da vivere in un modo o in un altro. Il sesso come verifica
quotidiana, come trasformazione del corpo, come dipendenza estrema.
Arriviamo fino al mutamento che Palahniuk interpreta come una dialettica
sulla perdita o l’acquisizione di potere. In Ninna nanna l’impossessarsi
da parte di una donna di un corpo maschile vuole dire acquisizione di
potere. “Forse nella mia famiglia c’era una vena di pazzia e aspettarono
vent’anni per lasciarmelo sospettare.” L’ex meccanico dell’Oregon di
origine boema, esperto in motori diesel, che candidamente ammette “Ho
cominciato a scrivere tardi, verso i 33 anni, perché non c’erano più tante
droghe da provare”, lì a Portland, dorme pochissimo, nella veglia si
rilassa immaginandosi in una bara e ama regalare agli ammiratori vomiti di
plastica autografati. Non ci resta che aspettare con ansia Guts
(Interiora), il prossimo romanzo
16 marzo 2004
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