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      Chi ha paura del libero mercato?intervista a Anthony De Jasay di Stefano Magni
 
 Il libero mercato ha sempre fatto paura agli Italiani, ma mai come in 
      questo periodo. Dopo gli scandali di Parmalat, di Cirio e dei bond 
      argentini, non passa giorno senza sentir parlare di proposte di nuove 
      regole per controllare il mercato, di nuove istituzioni e “authorities” 
      per controllare le banche, le imprese e la Borsa stessa. L’investitore 
      comune ha paura di essere truffato dai promotori finanziari e chiede 
      protezione dallo Stato. Ha paura che le notizie che circolano siano false 
      e siano sfruttate da “squali” pronti a speculare su ogni terremoto 
      provocato in Borsa. Ha paura dei paradisi fiscali e delle “zozzerie” che 
      vi si possono nascondere. Di sicuro il clima in cui si vive dopo l’11 
      settembre americano e l’11 marzo madrileno, non facilita la serenità 
      d’animo. Ma perché, qualsiasi cosa succeda, l’uomo della strada punta il 
      dito contro il mercato? E’ solo a causa degli intellettuali, quasi tutti 
      anti-capitalisti? O c’è una certa predisposizione naturale a temere la 
      libertà di commercio? Lo abbiamo chiesto al grande filosofo liberale 
      Anthony De Jasay, venuto a Roma, nella sede di Ideazione per presentare le 
      sue teorie più recenti: “La proprietà sotto la legge della jungla”. De 
      Jasay non ha paura del libero mercato, ma ha molta paura dello Stato e 
      della sua tendenza (che il filosofo giudica irreversibile) ad ingrandirsi 
      fino ad assorbire ogni aspetto della vita associata e ad imporre, in modo 
      del tutto arbitrario, gli interessi dell’élite politica ai suoi 
      cittadini/sudditi.
 
 Perché l’uomo di strada ha paura del libero 
      mercato?
 
 La risposta più semplice è che la gran maggioranza della gente comune trae 
      beneficio dallo Stato o spera di guadagnarci qualcosa in futuro. Possono 
      essere direttamente impiegati dello Stato, o pensionati, o persone che 
      hanno investito gran parte dei loro risparmi nei sistemi di previdenza 
      statali. Se si ammalano gli viene dato questo, se perdono il lavoro gli 
      viene dato quello… Per loro, tutto ciò che non è libero mercato è 
      un’assicurazione, un’eliminazione dei rischi. Pensano di sapere quello che 
      guadagneranno in un sistema statale, mentre non sanno quello che 
      guadagnerebbero in un sistema di libero mercato. Di solito ragionano così: 
      “Voi, solo voi liberali, dite che un sistema di mercato sarebbe il 
      migliore, perché ci sarebbe una crescita economica più rapida, più merci a 
      disposizione e che tutto il Paese diverrebbe più ricco, ma che ne sarà di 
      me?”
 
 In questi ultimi mesi la gente è rimasta 
      inorridita e spaventata da enormi frodi, come quella di Parmalat…
 
 Anche se l’ammontare delle frodi e delle ruberie è poco rilevante, se 
      espresso in percentuale rispetto al Pil, agli occhi dell’uomo della 
      strada, il fatto di sapere che sono stati rubati 5 milioni o anche meno, è 
      assolutamente orribile, inaccettabile ed è portato a rigettare quel 
      sistema che permette a qualcuno di rubare così tanti soldi. Ma all’uomo 
      della strada sfugge che anche in un sistema socialista si rubano 5 milioni 
      e spesso anche molto di più, solo che non viene fuori la notizia: è un 
      fatto che non diventa pubblico. Così possiamo leggere tanti argomenti 
      contro il libero mercato e a favore di una qualche forma di socialismo che 
      sono parzialmente basati su una mera illusione: quella secondo cui c’è una 
      parte della popolazione che è più pulita dell’altra, ma nella realtà 
      entrambe le parti sono sporche.
 
 Alcuni propongono di intensificare i controlli.
 
 Sì, si sono proposte un’infinità di cose: mettere controlli qua, creare 
      authority là… Ma tutto ciò si è sempre dimostrato inutile perché tutti i 
      tipi di controllo possono essere elusi. Quando si istituisce una nuova 
      forma di controllo, occorrono da sei mesi a un anno perché alcuni imparino 
      a scivolar via dalla nuova rete e poi alla fine il risultato è sempre lo 
      stesso. L’unico vero controllo è la competizione.
 
 Perché c’è così tanto odio nei confronti dei 
      paradisi fiscali?
 
 E’ solo una questione di invidia. Il fatto che in un paradiso fiscale non 
      si paghino le tasse genera invidia nella gente e nei governi. L’invidia 
      non è un sentimento molto salutare e non è nemmeno un bene promuoverlo 
      come valore. Non ci sono particolari ragioni per giustificare la 
      soppressione dei paradisi fiscali, se non la volontà di eliminare dei 
      privilegi che non tutti hanno.
 
              
              23 aprile 2004
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