| 
      
      Martin Walser: le fortune di un autore troppo tedescodi Francesco Galietti
 
 In Italia pochi conoscono Martin Walser, perché la maggior parte delle sue 
      opere non ha mai avuto un'edizione italiana. Walser in Germania è 
      considerato uno dei massimi scrittori di tutta la letteratura tedesca ed é 
      veramente sintomatico che in Italia sia quasi del tutto ignorato. "Scrive 
      libri troppo 'tedeschi'", così venne liquidata la questione da Gian Enrico 
      Rusconi, uno degli studiosi italiani rosé che più si occupano di Germania. 
      Il che non sarà forse una frottola tout court, ma certamente non vale per 
      tutte le opere di Walser. Come il recente "Morte di un critico", edito in 
      Italia da Sugarco (€ 16,80), e tradotto da Francesco Coppellotti. Il 
      romanzo narra di come un terribile critico letterario, assurto al ruolo di 
      superstar mediatica, André Ehrl-Koenig, dopo aver condannato in una delle 
      sue apparizioni l'opera dello scrittore Hans Lach, venga da questi 
      apostrofato duramente, e, al termine di una serata mondana, Ehrl-Koenig 
      non venga più trovato. Hans Lach viene arrestato subito in quanto primo 
      indiziato per l'omicidio del critico: tutti gli elementi depongono contro 
      di lui. Solo Michael Landolf, scrittore esperto di mistica, cabala e 
      alchimia, non ci vuole credere. Da qui l'inizio del romanzo vero e 
      proprio, che culmina in un colpo di scena finale di cui non vogliamo 
      privare il lettore.
 
 Troppo scomodo per l'establishment
 
      Ora, il fatto 
      è che Martin Walser è autore divenuto estremamente scomodo per quello che 
      viene comunemente designato con il termine establishment. E' infatti 
      un'autentica celebrità in Germania, dove in molti sono soliti accostarne 
      l'eloquio ai grandissimi del mondo culturale tedesco: Hoelderlin, 
      Nietzsche, Thomas Mann. Un peccato terribile agli occhi dell'establishment 
      tedesco, soprattutto dopo che Walser è stato insignito nel 1998 del premio 
      per la pace da parte della comunità dei librai tedeschi. Il discorso che 
      l’autore pronunciò per l'occasione nella Paulskirche di Francoforte scosse 
      la coscienza tedesca. Walser si oppose fermamente al progetto di un 
      Memoriale per l'Olocausto di enormi proporzioni, da edificare proprio 
      davanti alla porta di Brandeburgo a Berlino: "un incubo dalle dimensioni 
      di un campo sportivo". Furono parole durissime, soprattutto se si 
      considera la tremenda fragilità tedesca su un tema, l'Olocausto, con cui 
      la Germania di oggi fa difficoltà a confrontarsi. Se in politica estera 
      Schröder e i membri del suo governo si sono infatti dimostrati piuttosto 
      disinibiti nel dar contro a Israele, in ambito culturale sul tema si 
      riscontra un forte malessere. La categoria di "antisemita" è usata troppe 
      volte a sproposito e quasi mai quando, invece, il fenomeno è palese. Un 
      esempio di uso improprio del termine "antisemita" è stato fatto proprio 
      con Walser, quando il responsabile delle pagine culturali della 
      Frankfurter Allgemeine Zeitung si rifiutò di anticipare dei passaggi del 
      romanzo "Morte di un critico" perché questo gli appariva intriso di 
      antisemitismo. Apriti cielo: il romanzo, invece di finire al macero o 
      andare incontro a un bottino di vendite alquanto misero, andò esaurito in 
      tutte le librerie tedesche. E così quello che a moltissimi tedeschi pareva 
      semplicemente un "instant book" (è l'opinione anche di Ernst Nolte) balzò 
      di prepotenza agli onori della cronaca. 
 Martin Walser e il Big Brother tedesco
 
      In Italia è 
      stato Francesco Coppellotti, che aveva già tradotto il controverso 
      discorso alla Paulskirche, a lanciarsi nell'impresa di trasporre Walser 
      nell'italica favella. Sia detto da subito che non era certo un'impresa 
      facile. Sarà per il modo tedesco di fraseggiare, così lungo e barocco, 
      sarà per il ricorso frequente che Walser fa all'oratio obliqua, ma c'era 
      di che disperarsi. Il buon Coppellotti (vecchia conoscenza della sinistra 
      fin dai tempi in cui tradusse Alfred Sohn-Rethel e Ernst Bloch, Baeumler e 
      Reichelt) non si è perso d'animo e così oggi anche in Italia si può 
      leggere la causa di tanto scandalo. La cosa non è chiaramente andata giù a 
      chi non sopporta Walser. Troppo forti le analogie tra André Ehrl-Koenig, 
      il critico letterario-superstar del romanzo, e Marcel Reich-Ranicki, il 
      suo analogo nella vita reale. Reich-Ranicki incarna il Verbo mediatico, è 
      l'implacabile arbiter elegantiarum che può, egli solo, argomentare su cosa 
      sia bello e cosa no. Il suo pensiero è in perfetta sintonia con quello dei 
      principali quotidiani tedeschi, le pagine culturali del Die Zeit, della 
      FAZ e della Sueddeutsche Zeitung in un certo senso sono solo variazioni 
      sul tema: in Germania imperversa il Reich-Ranicki-pensiero, e 
      Reich-Ranicki è il Grande Fratello orwelliano che incombe su tutto il 
      panorama letterario tedesco. E' per questo che Martin Walser ha commesso 
      un peccato imperdonabile, perché ha attaccato Reich-Ranicki, e ha messo 
      sotto accusa l'establishment teutonico. "Questa notte all'ora zero si 
      contrattacca", l'esclamazione di Hans Lach, é vista come un terribile 
      gesto di insubordinazione, come quello di un Prometeo che disobbedisce 
      all'Olimpo. Poco importa se, ex post, l'editore tedesco e molti 
      commentatori si sono premurati di asserire che no, André Ehrl-Koenig non é 
      Marcel Reich-Ranicki, si tratta di un equivoco, é solo un divertissement 
      letterario... Chi aveva da capire, ha capito subito. E' per questo che 
      Marcel Reich-Ranicki in persona, montato su tutte le furie, ha attaccato 
      frontalmente Martin Walser, in una prolusione tenuta alla Ludwig 
      Maximilian Universität di Monaco di Baviera.
 L'Indice tira il sasso e nasconde la mano: la 
      recensione scritta sotto falso nome....
 
      Ma agli 
      italici sinistri la cosa non importa. Che volete che sia, commenta dalle 
      colonne dell'Indice dei libri del mese un fantomatico Giuliano Abate, 
      molto probabilmente nome fittizio di un vendicatore inferocito, è 
      certamente il curatore Coppellotti che prende un granchio mostruoso e vede 
      in André Ehrl-Koenig "l'ebreo Reich-Ranicki". Il tremendo censore, 
      rovesciando le solite accuse di antisemitismo non sull'autore ma 
      sull'interprete e curatore, aggiunge al proprio livore personale nei 
      confronti di Coppellotti anche dell' altro. Accusa l'interprete di aver 
      scopiazzato alla bell'e meglio ben metà della postfazione all'edizione 
      italiana da un testo critico tedesco, e, colpa gravissima, di non trovarsi 
      a suo agio "nelle malizie del discorso indiretto libero". Quando un 
      romanzo genera una carica di ferocia tale e fa tirare fuori dal cassetto 
      anche il meschino trucco dello pseudonimo, non può che trattarsi di un 
      romanzo "importante", ecco perché ci pare, in tutta franchezza, che "Morte 
      di un critico" non sia per nulla "troppo tedesco", ma adattissimo anche in 
      una nazione in cui non ne possiamo più dei sermoni dei fondatori di 
      Repubblica, dei mantra di Bocca e chi più ne ha più ne metta. 
      
      12 luglio 2004
 galietti@ragionpolitica.it
 
        |